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mobilita' flessibile, rivoluzione
- Subject: mobilita' flessibile, rivoluzione
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Fri, 25 Oct 2002 06:50:36 +0200
il manifesto - 17 Ottobre 2002 La rivoluzione della mobilità flessibile Il tramonto dell'auto, soffocata dal suo stesso successo, e della mobilità privata, suggerisce nuove strade. Il trasporto pubblico flessibile, cioè a domanda. In modo da aggiungere ai treni e ai bus urbani car sharing, car pooling e taxibus, cioè un surplus di organizzazione e di «sistema». Ma le amministrazioni comunali dovrebbero crederci, e investirvi denaro e intelligenze GUIDO VIALE L'elettronica è una risorsa di governo dei sistemi, e il sistema da governare non è il singolo veicolo, che l'industria automobilistica sta imbottendo sempre più di gadget per cercare di renderlo più sicuro, più attraente, più comodo; bensì l'insieme della mobilità. Ci troviamo ormai di fronte a fenomeni grotteschi, come gli studi - in cui vengono dilapidati miliardi di dollari - per introdurre nelle auto - e nelle autostrade - sistemi elettronici di guida automatica dei veicoli: per metterli tutti in fila, a velocità costante, lungo un tracciato predefinito, ciascuno con il suo bel motore che consuma energia e scarica inquinanti, esautorando completamente il ruolo dell'autista. Ma allora, non era meglio il treno? E' forse con ricerche di questo tipo che si vorrebbe salvare la Fiat? Ed è per fare questo tipo di ricerca che a Torino è stato aperto - il momento non poteva essere peggiore - un corso di laurea in ingegneria dell'automobile? Lo sviluppo della rete apre le porte, nel settore della mobilità di passeggeri e merci, come in molti altri campi, al trapasso dall'economia del possesso all'economia dell'accesso. La rete rende superfluo disporre di un'auto personale per andare dove si vuole, quando si vuole e con chi si vuole; e permette di disporre di un'auto - di qualsiasi tipo di auto: con o senza autista, da soli o in forma condivisa, e di qualsiasi tipo e modello, a seconda dell'uso che se ne vuol fare - o di un equivalente mezzo di trasporto, in qualsiasi momento e in qualsiasi punto di qualsiasi città occidentale, per tutto il tempo in cui la si usa, permettendo ad altri di fare altrettanto. Ma senza abbandonare un veicolo inutilizzato per una media di 22 ore al giorno a ingombrare la strada - rallentando gli spostamenti di chi effettivamente si muove - e a incidere pesantemente sui nostri bilanci personali, su quelli delle amministrazioni cittadine e dello stato, e sullo stato dell'ambiente. Questi sistemi si chiamano - in gergo - Drts (Demand responsive Transport System, cioè trasporto a domanda), ovvero trasporto pubblico flessibile, taxibus, taxi collettivo, car sharing, car pooling (oltreché, beninteso, trasporto pubblico di massa su linee urbane di forza e sulle tratte interurbane, bicicletta e un più intenso uso dei piedi) e possono costare meno sia a noi che all'erario, sia a chi gestisce i sistemi di mobilità o le infrastrutture di trasporto che ha chi ne subisce impatti e conseguenze non sempre piacevoli. Qualsiasi risorsa destinata a potenziare questi sistemi è un investimento sul futuro. Qualsiasi risorsa gettata nel miglioramento qualitativo dei veicoli attuali o nella cosiddetta «fluidificazione del traffico» a parità di veicoli in circolazione è una dilapidazione irresponsabile di ricchezza. Ma per imboccare una strada del genere bisogna crederci: cioè investire risorse e individuare i soggetti giusti. Questi ultimi non sono e non credo che possano essere rappresentati dall'industria automobilistica. Sostenere che la riconversione della Fiat passi attraverso il suo impegno nella promozione del trasporto urbano flessibile è un non-senso. Certamente il trasporto urbano ed extraurbano continuerà ad avere bisogno di veicoli - e quindi anche di automobili - adatti alle nuove funzioni. E questo richiede non solo officine meccaniche e catene di montaggio, ma anche laboratori di ricerca, uffici di progettazione, reparti di sperimentazione: cioè una parte di quel patrimonio di risorse umane di cui si paventa giustamente la dispersione. Ma il compito di riorganizzare la mobilità urbana è di chi ha la responsabilità della gestione del territorio; e non può essere delegato. Un secolo fa, in presenza di sviluppi tecnologici che rendevano possibile raggiungere la totalità dei cittadini - e soprattutto le classi più povere - con servizi fino ad allora appannaggio dei ricchi, alcune municipalità si assunsero la responsabilità di produrre e fornire gas, luce, acqua, trasporti, rifiuti, comunicazioni, ecc. Ne nacquero diverse società municipalizzate che per quasi un secolo hanno caratterizzato il panorama industriale dell'Italia e che oggi vengono dimesse. Ma non dovrebbe venir dimesso il governo di queste funzioni, anche perché, dove i privati sono subentrati alle società pubbliche, non sempre i risultati sono stati brillanti. Oggi, di fronte a sviluppi tecnologici che rendono possibile rivoluzionare i sistemi della mobilità urbana, azzerando la causa principale dell'impasse in cui è incappata la nostra vita quotidiana, occorre uno sforzo analogo per restituirne il governo ai rappresentanti della cittadinanza; ed anche per riassorbire, nella nuova filiera del trasporto pubblico al servizio di tutti, una parte almeno di quella manodopera che l'industria automobilistica sta liquidando. E' sbagliato spingere i lavoratori ad aggrapparsi ad un relitto che affonda: la salvezza sta in un sistema di garanzie e nei progetti che guardano al futuro. Non è detto che lo sforzo delle amministrazioni locali debba assumere nuovamente la forma di una società municipalizzata: può essere un consorzio di soggetti pubblici e privati, in modo da realizzare al meglio quella sacrosanta distribuzione delle responsabilità che è il volto positivo del principio di sussidiarietà. Certamente non è facile per un'amministrazione locale cambiare il segno di un modo di agire che si radica nell'ostinazione senza sbocchi dei nostri comportamenti. Ma è importante trovare un accordo sulla direzione da imboccare. Un sistema di mobilità flessibile impone soglie di ingresso al di sotto delle quali le funzionalità della rete sono precluse. Per questo vanno studiate attentamente ex-ante. Il car sharing non può essere organizzato, come ora, con 10 vetture: ce ne vogliono, solo per partire, 10.000 per ogni grande città, con la certezza, per di più, di un rientro degli investimenti solo a lungo termine. Per fare il taxi collettivo non si può partire con meno di 1000-2000 vetture - e occorre fare i conti, senza demonizzarli ma senza nascondere i problemi - con la forza contrattuale e soprattutto elettorale del mondo dei taxisti. Per fare il taxibus, o altre forme di Drts, con cui sostituire il trasporto di massa nelle ore e sui tracciati in cui è maggiormente sottoutilizzato, occorre investire in mezzi adatti e soprattutto in campagne serie di comunicazione (da questo punto di vista Milano rappresenta forse l'esempio peggiore che si possa immaginare). Per ottimizzare la distribuzione delle merci - ai negozi e a domicilio - occorre mettere a disposizione dei piccoli trasportatori le risorse necessarie per «fare sistema» associandosi. E soprattutto, per fare tutto ciò, bisogna avere la forza politica di imporre e di far rispettare i divieti: ma solo una volta che si siano garantite alternative praticabili e convenienti. Non è vero che oggi non ci sono risorse per intraprendere uno sforzo del genere. Se il denaro che oggi viene gettato nel pozzo senza fondo delle metropolitane - che non sono altro che un gigantesco pedaggio che la città paga per far sì che alcune linee di forza del trasporto urbano di massa non interferiscano con il traffico di superficie (cioè per permettere alle auto private di occupare gratis tutto il suolo pubblico) - o in quello dei sottopassi, dei sovrappassi, dei sistemi di semafori «intelligenti» e quant'altro la moderna ingegneria civile mette a disposizione della perpetuazione dello stato di cose presente, se quel denaro venisse utilizzato per finanziare in misura adeguata progetti di car pooling, car sharing, taxi collettivo, taxibus e linee tranviarie di superficie comode e veloci, in cinque anni il volto di una città italiana cambierebbe radicalmente. E ai turisti convocati da tutto il mondo, per esempio per assistere a una manifestazione sportiva su cui si sono investiti miliardi destinati a lasciare le cose come prima, non si farebbe trovare una città intasata dal traffico e magari sconvolta da cantieri che non si è riusciti a chiudere in tempo, ma un sistema di mobilità veramente innovativo, in grado di promuovere in tutto il mondo i risultati raggiunti a livello locale dall'industria del trasporto urbano; e, al suo seguito, anche quel che resta dell'industria automobilistica locale.
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