l'etica perduta dei legami sociali



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Mercoledì 16 Ottobre 2002 ore 16:17  
 
 
 
 
 L'etica perduta dei legami sociali
  
   di Alain Touraine Per molto tempo abbiamo creduto che i conflitti
sociali aperti, spesso violenti, del XIX secolo fossero mitigati dal
progresso delle politiche sociali. Abbiamo anche ritenuto che l'era dei
totalitarismi fosse terminata e che la democrazia progredisse ovunque nel
mondo, anche se in modo fragile e parziale. Ora, ciò che progredisce, ciò
che trionfa, non sono i negoziati e il diritto, ma la violenza. Il
terrorismo. Gli attentati dell'11 settembre non sono l'unica manifestazione
di questo trionfo, ma indicano che il movimento islamico è passato alla
violenza. I Paesi dell'Islam avevano tentato di modernizzarsi, di
occidentalizzarsi, ma avevano fallito, ad eccezione della Turchia, dove
però ciò è avvenuto a un costo sociale elevato. In seguito avevano tentato
di creare Stati islamici, tentativo riuscito in parte, soprattutto in Iran,
anche se l'indebolimento di questi regimi è ovunque evidente. E ciò ha
comportato la formazione di un tipo di azione ben diverso, basato sulla
volontà di distruggere un mondo occidentale in cui questi militanti erano
stati istruiti ed erano ben integrati. Al-Qaida e lo stesso Bin Laden sono
gli esempi più evidenti della sostituzione di un obiettivo
politico-religioso con atti di distruzione del mondo occidentale, accusato
di rifiutare l'Islam. Palestinesi e israeliani, dal canto loro, sono
costretti nello stesso campo chiuso da una violenza senza via d'uscita. La
violenza dei giovani. A tutt'altro livello - quello dell'esperienza
personale di una grande parte della popolazione - la presenza della
violenza e il ricorso a questa da parte di individui giovanissimi ci
rivelano che l'indebolimento delle famiglie e della vita collettiva e
l'importanza della disoccupazione e dell'esclusione duratura hanno
comportato una diffusione della violenza che può essere arrestata
unicamente tramite misure di repressione che mettono in pericolo le nostre
politiche di educazione e di integrazione. L'Africa. Un altro fatto
importante è sufficiente a convincerci dei progressi del caos e della
violenza: la distruzione di una grande parte dell'Africa ad opera della
guerra, dei conflitti etnici e dell'Aids. Ci troviamo così di fronte a un
interrogativo angosciante: come far indietreggiare la violenza, quando le
soluzioni che avevamo costruito intorno al Welfare State ci appaiono sempre
più inefficaci e al tempo stesso sempre più costose? Tre grandi ordini di
risposta ci vengono proposti: Il primo ordine di risposte. Il primo è la
globalizzazione delle istituzioni e della vita politica che tentano di
creare ordine nel disordine. È vero che si sviluppa una vita politica e
sociale mondiale: gli istituti finanziari internazionali, le grandi
organizzazioni umanitarie, gli incontri del G7 e del G8 e ora i movimenti
anti-globalizzazione sono, come lo sviluppo delle stesse reti finanziarie
ed economiche, elementi di formazione di una società mondiale. Ma il potere
del denaro non sembra essere preso in considerazione dalla maggior parte
dei tentativi. E non ci sentiamo protetti da processi che si sviluppano
così lontano da noi e di fronte ai quali siamo così spesso portati ad
avvertire la nostra impotenza anziché le nostre speranze. Il secondo. Un
secondo ordine di risposte, molto più modesto ma più vicino all'esperienza
vissuta, si sviluppa rapidamente e in modo particolare nella società
italiana così come nel pensiero tedesco e in quello anglo-americano. Si
tratta di ricostruire ciò che è stato definito come il legame sociale, che
il termine tedesco Bindung traduce in modo più giusto e che nutre uno
spirito comunitario liberato delle derive comunitariste. Su questo punto si
rafforzano vicendevolmente diversi temi: quello della solidarietà, definita
come la priorità della difesa dei più poveri, che rafforza le interazioni e
ciò che, in particolare per l'Italia, è stato definito come il capitale
sociale; e anche quello dell'autostima, definita anche come il
rafforzamento del "self" grazie alle rappresentazioni positive che abbiamo
gli uni degli altri. Tutto si basa sulla vita di comunità locali nelle
quali i rapporti diretti sono stati preservati o ristabiliti. Ma si solleva
rapidamente un'obiezione: il rafforzamento dei legami sociali nei gruppi
meno distrutti può ridurre l'ampiezza dell'esclusione, del caos e della
violenza? In questo caso si pensa alla celebre opposizione di Norbert Elias
tra "insider" e "outsider". A livello mondiale non assistiamo forse al
rafforzamento delle barriere che proteggono i primi contro i secondi?
Cerchiamo tuttavia di non cedere a un pessimismo sistematico. Il terzo. Ciò
ci porta a un terzo ordine di risposte, sempre più presente almeno nel
nostro tipo di società, e che il più delle volte definiamo come l'appello
all'etica. Anche se questo termine è talmente utilizzato che si consuma in
fretta, esso reintroduce un'idea che era stata pressoché eliminata dalla
nostra fiducia nel progresso e negli interventi dello Stato: l'idea che i
diritti umani debbano imporre dei limiti a tutti gli aspetti della vita
sociale, proprio perché quest'ultima è invasa dalla violenza.
L'organizzazione sociale e politica, distrutta da meccanismi economici e
sociali sempre più incontrollabili è, al contrario, rafforzata dall'appello
a princìpi riconosciuti come fondatori della vita sociale, e più forti di
qualsiasi principio sociale. Questo tipo di risposta deriva la propria
forza dalla capacità di mobilitare gli individui e i gruppi contro ciò che
definiamo scandali, umiliazioni, ingiustizie e disuguaglianze sempre più
evidenti. Ma anche in questo caso si sollevano rapidamente delle obiezioni
contro il carattere eroico di tali proposte, che stimolano il rispetto e
l'ammirazione anziché una mobilitazione massiccia. Ma sarebbe già un
progresso importante se uscissimo dal sentimento di impotenza e di
pessimismo che ci dominava e ancor più se rinunciassimo a una fiducia
divenuta insopportabile nei meccanismi "naturali" di correzione delle
patologie sociali. Le società non guariscono dalle proprie malattie più
naturalmente di quanto facciano gli individui dalle loro. Non diamo quindi
la priorità a un tipo di risposta piuttosto che a un altro, ma all'urgenza
di riprendere la parola, di scambiare pareri, di proporre iniziative,
anziché sentirci travolti nel caos. Il modo migliore per lottare contro la
violenza è sentirci responsabili del nostro avvenire personale e collettivo
anziché sentirci dominati da forze incontrollabili.