i semi il denaro e la scienza



     
 
il manifesto - 26 Luglio 2002 
 
I semi, il denaro e la scienza 
MARCELLO CINI
 
 
 
I semi, il denaro e la scienza 
In un mondo regolato dal mercato globale dove tutto, anche il sapere, è
ridotto a merce di scambio, sono necessarie nuove regole per l'attività
scientifica. Al pensiero meccanicistico va sostituito un pensiero evolutivo
che valorizzi le differenze di culture, tradizioni e forme di vita.
Contrastare la distruzione delle diversità può dunque essere un modo
efficace per combattere le disuguaglianze
MARCELLO CINI
Il nuovo secolo si apre sotto il segno della trasformazione in merce del
mondo della vita e del mondo del pensiero, del mondo delle idee e
dell'informazione. Il bit è diventato l'unità di merce oltre che di
informazione perché lo compriamo ogni giorno ogni volta che entriamo in
internet, e la vita e il pensiero si riducono sempre di più a bit. C'è però
una contraddizione tra la crescita del sapere, del potere dell'uomo, delle
capacità di modificare oltre al mondo intorno a sé anche sé stesso, la sua
natura biologica e la sua natura intellettuale, e questo meccanismo che
invece regola tutto, le scelte in qualsiasi campo, sulla base di un unico
parametro che è la merce e quindi il suo valore cioè il denaro. Da un lato
si cominciano infatti a modificare le caratteristiche più profonde delle
specie viventi e il modo come il nostro cervello funziona. Dall'altro tutto
tende a essere ridotto a una sola dimensione, all'unica dimensione della
valorizzazione del capitale, del profitto, della sua traduzione in denaro.
L'enorme contraddizione in cui ci troviamo è che il mondo della vita e
quello della cultura e della civiltà umana, - che si autoregolavano fino ad
ora attraverso meccanismi complicati, complessi, caratterizzati da una
enorme varietà di differenze, di stimoli, di nicchie, di forme di sviluppo
- tendono a essere regolati da un'unica regola, da un'unica legge. E'
dunque necessaria una profonda svolta nei meccanismi di selezione degli
obiettivi e delle priorità delle nostre capacità di trasformazione del mondo.

Questa sfida posta all'uomo dalla sua capacità di intervenire sui problemi
della vita e della mente, si traduce, dal punto di vista della formazione
della cultura e dunque degli strumenti che la scuola deve fornire per
cercare di affrontare la svolta di cui ho parlato, in una forte
accentuazione del peso del pensiero evoluzionista. Il salto fra il
patrimonio delle scienze, della tecnologia, della conoscenza della natura
accumulato dall'uomo fino alla fine del `900 e le conoscenze, i saperi che
sta acquisendo varcando questa grande muraglia delle scienze della vita e
della mente, consiste nel passaggio da una visione del mondo fondata sulla
conoscenza delle grandi leggi della natura e della materia inanimata, (una
visione macchinista del mondo), a una visione evoluzionista, fondata cioè
sulla caratteristica principale del mondo della vita, che è quella del
cambiamento attraverso processi evolutivi.

Questi processi sono il frutto di un'alternanza di necessità e di
aleatorietà, di una compresenza di vincoli e di mutamenti contingenti. I
vincoli sono costituiti da divieti o da prescrizioni che selezionano i
processi evolutivi compatibili, oltre che con le grandi leggi della
termodinamica (conservazione dell'energia, della materia e crescita
dell'entropia) anche con l'ambiente e con la storia. All'interno dei
vincoli ogni mutamento che non è vietato può accadere.

Si tratta di un punto di vista che si può riassumere dicendo che tutti i
processi evolutivi sono il frutto di due momenti concettualmente distinti,
entrambi necessari: da un lato la differenziazione degli elementi
costitutivi di una «popolazione» omogenea - formata da organismi singoli o
parti di essi, da raggruppamenti omogenei di individui o di entità
collettive dotate di identità autonoma - per effetto di una molteplicità di
fattori casuali o comunque imprevedibili ai quali si trova esposto in modo
diverso ognuno di essi, e dall'altro la selezione, da parte del filtro
rappresentato da vincoli esterni, di quelli che, per effetto della
intervenuta diversificazione, hanno acquistato proprietà che li rendono più
compatibili con l'esistenza dei vincoli stessi. Si tratta, è essenziale
sottolinearlo, di momenti che coinvolgono soggetti diversi. Il momento
della differenziazione è il risultato di interventi che modificano in modo
diverso e imprevedibile ogni singolo elemento, mentre quello della
selezione agisce sull'intera popolazione e la modifica nel suo insieme. Si
tratta, direbbe Bateson, di livelli di tipo logico diverso, che non debbono
essere confusi.

Detto ciò, tuttavia, è ovvio che le modalità effettive di ogni processo
evolutivo cambiano radicalmente a seconda della natura degli elementi
dell'insieme, delle modalità della trasmissione delle modificazioni subìte
alle generazioni successive, e dei fattori che caratterizzano la natura e
la struttura dei vincoli esterni che ne effettuano la selezione.

La necessità di salvaguardare la specificità dei diversi processi riguarda
in particolare il confronto fra evoluzione biologica ed evoluzione
culturale. E' ovvio infatti che la nostra specie differisce, nel bene e nel
male, da tutte le altre e dunque che non ha senso ricondurre banalmente
l'evoluzione delle società umane ai meccanismi dell'evoluzione biologica.
Questo comporta il rifiuto netto del cosiddetto socialdarwinismo di
Spencer, Galton e dei loro epigoni, inteso come lotta feroce per la vita di
tutti contro tutti - una visione che tra l'altro interpreta scorrettamente
lo stesso meccanismo di competizione biologica tra specie diverse - sia dal
punto di vista strettamente scientifico che da quello etico e sociale.

Detto questo, tuttavia, va sottolineato che differenze e somiglianze devono
essere esaminate confrontando livelli omogenei. Per esempio, è scorretto
confrontare i due processi senza ricordare che l'evoluzione culturale è
stata, dopo l'estinzione delle specie di ominidi precedenti a quella di
Homo sapiens, una evoluzione all'interno di una singola specie, dove non
esistono unità discrete isolate tra loro da una barriera riproduttiva, come
accade fra le diverse specie dell'evoluzione biologica, ma sistemi
socioculturali, separati soprattutto da barriere geografiche e da
tradizioni storiche, caratterizzati da un pool informazionale - fatto di
strumenti, oggetti, simboli, regole, usi e costumi, idee - assai meno
facilmente definibile di un pool genetico.

Rimane comunque un punto fermo. Senza una continua riproduzione di
diversità non c'è evoluzione. E senza evoluzione il mondo della vita si
estingue.

La prima cosa che un approccio evolutivo ci permette di fare è di cogliere
l'essenza dello sviluppo della società capitalistica al quale assistiamo,
distinguendo i due momenti diversi che ne sono alla base: quello della
differenziazione e quello della selezione. Partiamo anzitutto dal fatto che
fino a poco tempo fa la straordinaria multiformità del mondo della vita e
l'infinita varietà delle idee che costituiscono l'universo del pensiero
umano, sono state il frutto, ognuna nel proprio ambito, di processi storici
regolati da fattori naturali (geografici, climatici, catastrofici) e
sociali (culturali, economici, tecnologici) diversissimi, derivanti da un
ampio spettro di nicchie differenti, vincoli autonomi e intrecci originali
di caso e necessità. In altre parole l'azione congiunta del momento della
differenziazione e di quello della selezione ha avuto storicamente come
risultato l'accrescimento della diversità biologica e culturale.

E' pur vero che, con la nascita del capitalismo e con la mercificazione
crescente dei beni materiali, sia l'evoluzione biologica che quella
culturale sono state sottoposte a forti vincoli da parte del mercato
tendenti a produrre una diminuzione della diversità. Si è finora trattato,
tuttavia, di influenze indirette, mediate dal tessuto sociale, mai di
vincoli agenti direttamente sugli organismi viventi e sui cervelli umani.

Con l'acquisizione della capacità di trasformare gli uni e gli altri in
merce il capitalismo ha compiuto un salto di qualità. Anche se la crescita
impetuosa delle conoscenze e della loro potenzialità di generare novità -
dando origine a una varietà di beni in grado di soddisfare vecchi e nuovi
bisogni umani, di strumenti per modificare uomini e cose e di mezzi per
realizzare i fini più disparati - potrebbe di per sé contribuire a generare
diversità, il momento della selezione subisce un mutamento radicale. La
sostituzione della pluralità di vincoli naturali e sociali che hanno fino
ad ora regolato l'evoluzione delle molteplici forme della vita e del
pensiero, con il vincolo unico derivante dall'obiettivo della massima
valorizzazione del capitale è una semplificazione drastica le cui
conseguenze non sono ancora nemmeno lontanamente immaginabili.

Il merito di questo approccio è dunque di permettere l'individuazione
dell'obiettivo strategico degli attori sociali che intendono opporsi a
questa devastante semplificazione: reintrodurre una pluralità di vincoli
allo sviluppo, diversi da quello dominante della legge del mercato, che, se
non deve essere demonizzato, deve essere detronizzato dal suo attuale ruolo
di vincolo universale per venire ridimensionato in quello originario di
mezzo per equilibrare, evitando sprechi, appropriazioni indebite e
distribuzioni cervellotiche, la domanda e l'offerta di beni necessari e
intrinsecamente scarsi in una società complessa e articolata.

L'obiettivo è dunque di ricreare un variegato arco di nicchie naturali e
sociali protette dallo strapotere dei padroni del commercio internazionale;
di far nascere e rivitalizzare vecchie e nuove relazioni tra individui e
gruppi; insomma di ripristinare le mille sorgenti del flusso locale di
creatività, di iniziativa e di attività umane che rende fertile il tessuto
della società, erigendo argini contro l'alluvione del capitale globale,
che, trasformando tutto in merce, deforma la diversità, ricchezza della
vita, fino a ridurla alla sua orrida caricatura, la disuguaglianza.

E' questa la grande sfida, il mutamento culturale profondo che il pensiero
evolutivo deve dare a tutto il sapere che la scuola deve trasmettere alle
nuove generazioni, a tutti i saperi che dobbiamo avere per affrontare il
futuro.

Questo mutamento si basa dunque su tre punti fondamentali:

Un avvicinamento nella scuola fra la cultura scientifica e la cultura
storica. Una cultura fondata sul pensiero evoluzionista fornisce la base di
questo avvicinamento, perché sia i processi storici della civiltà umana che
quelli evolutivi della vita e del pensiero hanno questa componente di
casualità che costituisce la base per la nascita del nuovo, hanno questa
alternanza di necessità e di aleatorietà che fa evolvere la realtà. Questo
significa che conoscenza scientifica e conoscenza storica non sono più due
forme fondamentalmente diverse di spiegazione del mondo fra loro
incompatibili.

Un'attenuazione del solco che separava il sapere scientifico dai valori.
Oggi, infatti, questa separazione, codificata nel dogma della avalutatività
della conoscenza scientifica che ancora sta alla base della deontologia
professionale degli scienziati, comincia a essere rimessa in discussione.
La ragione principale infatti che rende la cultura scientifica così ostica
alla stragrande maggioranza delle persone non sta tanto nell'astrattezza
dei suoi concetti o nel rigore formale delle sue deduzioni, quanto nella
sua estraneità rispetto alle cose ritenute importanti nella vita di ognuno.
E' dunque l'immagine tradizionale di una scienza che ha per scopo di
ridurre la complessità della vita, e in particolare della mente e
dell'animo umano, a interazioni elementari fra atomi o molecole, che
respinge istintivamente la maggior parte delle persone.

Una rivalutazione del valore della diversità. Certo, è ancora vero, anzi è
sempre più vero, che la differenza fra le due estremità della scala che va
con continuità dall'uomo più ricco del mondo al più povero è sempre più
abissale, e dunque sempre più moralmente scandalosa. Non basta tuttavia
indignarsi per questo scandalo per farlo cessare. Una volta scesi sul
terreno del capitale, assumendo il denaro come unità di misura di tutte le
cose, e quindi anche dell'ingiustizia sociale, il capitale ha già vinto.
Pochi sono disposti a dare a chi sta peggio una parte di ciò che ha, e chi
lo fa, lo fa soltanto perché lo spinge una motivazione che non è stata
ancora ridotta a merce.

Come ha argomentato con grande lucidità Amartya Sen nel suo libro
fondamentale La disuguaglianza, «l'idea di uguaglianza deve confrontarsi
con due differenti tipi di diversità: 1) la sostanziale eterogeneità degli
esseri umani e 2) la molteplicità delle variabili in base alle quali
l'uguaglianza può essere valutata». Se non si tiene conto di questa
multidimensionalità del problema non solo non lo si può nemmeno sfiorare,
ma si rischia grosso. Al limite, anche Pol Pot voleva l'uguaglianza, ma
semplificava troppo il concetto.

Proporsi come obiettivo diretto l'eliminazione delle disuguaglianze rischia
dunque di diventare, al meglio, soltanto una nobile intenzione incapace di
raggiungere risultati concreti. Le cose cambiano se si coglie il nesso che
lega l'aumento delle disuguaglianze e la distruzione delle diversità. Tanto
per dirne una il povero è più povero anche perché gli si è data una lattina
di Coca Cola in cambio di tradizioni millenarie che gli arricchivano la
vita. O ancora, il piccolo produttore di un prodotto tipico unico, diverso,
va in miseria perché il surrogato standardizzato prodotto da una
multinazionale costa meno. Contrastare la distruzione delle diversità può
dunque essere un modo più efficace di combattere le disuguaglianze.

La contraddizione fondamentale della società del capitale globale sta
infatti nella spinta a ridurre tutto all'omogeneità indifferenziata della
forma di merce, da un lato, e nella necessità di soddisfare attraverso il
mercato bisogni individuali e collettivi che investono tutto l'arco
infinito delle esperienze umane, dall'altro. Tanto per fare un esempio,
deve ridurre a merce sentimenti ed emozioni, gioie e dolori, bellezza e
sacralità, e al tempo stesso deve convincere i consumatori che queste merci
sono esperienze «vere» che possano essere vissute nel loro senso pieno
anche dopo essere passate attraverso il filtro del mercato.

Se questo è il senso del processo di globalizzazione, occorre porre la
questione della difesa della diversità - diversità degli individui,
diversità delle culture, diversità delle forme di vita - al centro
dell'azione volta a contrastarne le tendenze più pericolose e distruttive.
In questo modo la prospettiva cambia radicalmente.