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i semi il denaro e la scienza
- Subject: i semi il denaro e la scienza
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Fri, 06 Sep 2002 06:46:14 +0200
il manifesto - 26 Luglio 2002 I semi, il denaro e la scienza MARCELLO CINI I semi, il denaro e la scienza In un mondo regolato dal mercato globale dove tutto, anche il sapere, è ridotto a merce di scambio, sono necessarie nuove regole per l'attività scientifica. Al pensiero meccanicistico va sostituito un pensiero evolutivo che valorizzi le differenze di culture, tradizioni e forme di vita. Contrastare la distruzione delle diversità può dunque essere un modo efficace per combattere le disuguaglianze MARCELLO CINI Il nuovo secolo si apre sotto il segno della trasformazione in merce del mondo della vita e del mondo del pensiero, del mondo delle idee e dell'informazione. Il bit è diventato l'unità di merce oltre che di informazione perché lo compriamo ogni giorno ogni volta che entriamo in internet, e la vita e il pensiero si riducono sempre di più a bit. C'è però una contraddizione tra la crescita del sapere, del potere dell'uomo, delle capacità di modificare oltre al mondo intorno a sé anche sé stesso, la sua natura biologica e la sua natura intellettuale, e questo meccanismo che invece regola tutto, le scelte in qualsiasi campo, sulla base di un unico parametro che è la merce e quindi il suo valore cioè il denaro. Da un lato si cominciano infatti a modificare le caratteristiche più profonde delle specie viventi e il modo come il nostro cervello funziona. Dall'altro tutto tende a essere ridotto a una sola dimensione, all'unica dimensione della valorizzazione del capitale, del profitto, della sua traduzione in denaro. L'enorme contraddizione in cui ci troviamo è che il mondo della vita e quello della cultura e della civiltà umana, - che si autoregolavano fino ad ora attraverso meccanismi complicati, complessi, caratterizzati da una enorme varietà di differenze, di stimoli, di nicchie, di forme di sviluppo - tendono a essere regolati da un'unica regola, da un'unica legge. E' dunque necessaria una profonda svolta nei meccanismi di selezione degli obiettivi e delle priorità delle nostre capacità di trasformazione del mondo. Questa sfida posta all'uomo dalla sua capacità di intervenire sui problemi della vita e della mente, si traduce, dal punto di vista della formazione della cultura e dunque degli strumenti che la scuola deve fornire per cercare di affrontare la svolta di cui ho parlato, in una forte accentuazione del peso del pensiero evoluzionista. Il salto fra il patrimonio delle scienze, della tecnologia, della conoscenza della natura accumulato dall'uomo fino alla fine del `900 e le conoscenze, i saperi che sta acquisendo varcando questa grande muraglia delle scienze della vita e della mente, consiste nel passaggio da una visione del mondo fondata sulla conoscenza delle grandi leggi della natura e della materia inanimata, (una visione macchinista del mondo), a una visione evoluzionista, fondata cioè sulla caratteristica principale del mondo della vita, che è quella del cambiamento attraverso processi evolutivi. Questi processi sono il frutto di un'alternanza di necessità e di aleatorietà, di una compresenza di vincoli e di mutamenti contingenti. I vincoli sono costituiti da divieti o da prescrizioni che selezionano i processi evolutivi compatibili, oltre che con le grandi leggi della termodinamica (conservazione dell'energia, della materia e crescita dell'entropia) anche con l'ambiente e con la storia. All'interno dei vincoli ogni mutamento che non è vietato può accadere. Si tratta di un punto di vista che si può riassumere dicendo che tutti i processi evolutivi sono il frutto di due momenti concettualmente distinti, entrambi necessari: da un lato la differenziazione degli elementi costitutivi di una «popolazione» omogenea - formata da organismi singoli o parti di essi, da raggruppamenti omogenei di individui o di entità collettive dotate di identità autonoma - per effetto di una molteplicità di fattori casuali o comunque imprevedibili ai quali si trova esposto in modo diverso ognuno di essi, e dall'altro la selezione, da parte del filtro rappresentato da vincoli esterni, di quelli che, per effetto della intervenuta diversificazione, hanno acquistato proprietà che li rendono più compatibili con l'esistenza dei vincoli stessi. Si tratta, è essenziale sottolinearlo, di momenti che coinvolgono soggetti diversi. Il momento della differenziazione è il risultato di interventi che modificano in modo diverso e imprevedibile ogni singolo elemento, mentre quello della selezione agisce sull'intera popolazione e la modifica nel suo insieme. Si tratta, direbbe Bateson, di livelli di tipo logico diverso, che non debbono essere confusi. Detto ciò, tuttavia, è ovvio che le modalità effettive di ogni processo evolutivo cambiano radicalmente a seconda della natura degli elementi dell'insieme, delle modalità della trasmissione delle modificazioni subìte alle generazioni successive, e dei fattori che caratterizzano la natura e la struttura dei vincoli esterni che ne effettuano la selezione. La necessità di salvaguardare la specificità dei diversi processi riguarda in particolare il confronto fra evoluzione biologica ed evoluzione culturale. E' ovvio infatti che la nostra specie differisce, nel bene e nel male, da tutte le altre e dunque che non ha senso ricondurre banalmente l'evoluzione delle società umane ai meccanismi dell'evoluzione biologica. Questo comporta il rifiuto netto del cosiddetto socialdarwinismo di Spencer, Galton e dei loro epigoni, inteso come lotta feroce per la vita di tutti contro tutti - una visione che tra l'altro interpreta scorrettamente lo stesso meccanismo di competizione biologica tra specie diverse - sia dal punto di vista strettamente scientifico che da quello etico e sociale. Detto questo, tuttavia, va sottolineato che differenze e somiglianze devono essere esaminate confrontando livelli omogenei. Per esempio, è scorretto confrontare i due processi senza ricordare che l'evoluzione culturale è stata, dopo l'estinzione delle specie di ominidi precedenti a quella di Homo sapiens, una evoluzione all'interno di una singola specie, dove non esistono unità discrete isolate tra loro da una barriera riproduttiva, come accade fra le diverse specie dell'evoluzione biologica, ma sistemi socioculturali, separati soprattutto da barriere geografiche e da tradizioni storiche, caratterizzati da un pool informazionale - fatto di strumenti, oggetti, simboli, regole, usi e costumi, idee - assai meno facilmente definibile di un pool genetico. Rimane comunque un punto fermo. Senza una continua riproduzione di diversità non c'è evoluzione. E senza evoluzione il mondo della vita si estingue. La prima cosa che un approccio evolutivo ci permette di fare è di cogliere l'essenza dello sviluppo della società capitalistica al quale assistiamo, distinguendo i due momenti diversi che ne sono alla base: quello della differenziazione e quello della selezione. Partiamo anzitutto dal fatto che fino a poco tempo fa la straordinaria multiformità del mondo della vita e l'infinita varietà delle idee che costituiscono l'universo del pensiero umano, sono state il frutto, ognuna nel proprio ambito, di processi storici regolati da fattori naturali (geografici, climatici, catastrofici) e sociali (culturali, economici, tecnologici) diversissimi, derivanti da un ampio spettro di nicchie differenti, vincoli autonomi e intrecci originali di caso e necessità. In altre parole l'azione congiunta del momento della differenziazione e di quello della selezione ha avuto storicamente come risultato l'accrescimento della diversità biologica e culturale. E' pur vero che, con la nascita del capitalismo e con la mercificazione crescente dei beni materiali, sia l'evoluzione biologica che quella culturale sono state sottoposte a forti vincoli da parte del mercato tendenti a produrre una diminuzione della diversità. Si è finora trattato, tuttavia, di influenze indirette, mediate dal tessuto sociale, mai di vincoli agenti direttamente sugli organismi viventi e sui cervelli umani. Con l'acquisizione della capacità di trasformare gli uni e gli altri in merce il capitalismo ha compiuto un salto di qualità. Anche se la crescita impetuosa delle conoscenze e della loro potenzialità di generare novità - dando origine a una varietà di beni in grado di soddisfare vecchi e nuovi bisogni umani, di strumenti per modificare uomini e cose e di mezzi per realizzare i fini più disparati - potrebbe di per sé contribuire a generare diversità, il momento della selezione subisce un mutamento radicale. La sostituzione della pluralità di vincoli naturali e sociali che hanno fino ad ora regolato l'evoluzione delle molteplici forme della vita e del pensiero, con il vincolo unico derivante dall'obiettivo della massima valorizzazione del capitale è una semplificazione drastica le cui conseguenze non sono ancora nemmeno lontanamente immaginabili. Il merito di questo approccio è dunque di permettere l'individuazione dell'obiettivo strategico degli attori sociali che intendono opporsi a questa devastante semplificazione: reintrodurre una pluralità di vincoli allo sviluppo, diversi da quello dominante della legge del mercato, che, se non deve essere demonizzato, deve essere detronizzato dal suo attuale ruolo di vincolo universale per venire ridimensionato in quello originario di mezzo per equilibrare, evitando sprechi, appropriazioni indebite e distribuzioni cervellotiche, la domanda e l'offerta di beni necessari e intrinsecamente scarsi in una società complessa e articolata. L'obiettivo è dunque di ricreare un variegato arco di nicchie naturali e sociali protette dallo strapotere dei padroni del commercio internazionale; di far nascere e rivitalizzare vecchie e nuove relazioni tra individui e gruppi; insomma di ripristinare le mille sorgenti del flusso locale di creatività, di iniziativa e di attività umane che rende fertile il tessuto della società, erigendo argini contro l'alluvione del capitale globale, che, trasformando tutto in merce, deforma la diversità, ricchezza della vita, fino a ridurla alla sua orrida caricatura, la disuguaglianza. E' questa la grande sfida, il mutamento culturale profondo che il pensiero evolutivo deve dare a tutto il sapere che la scuola deve trasmettere alle nuove generazioni, a tutti i saperi che dobbiamo avere per affrontare il futuro. Questo mutamento si basa dunque su tre punti fondamentali: Un avvicinamento nella scuola fra la cultura scientifica e la cultura storica. Una cultura fondata sul pensiero evoluzionista fornisce la base di questo avvicinamento, perché sia i processi storici della civiltà umana che quelli evolutivi della vita e del pensiero hanno questa componente di casualità che costituisce la base per la nascita del nuovo, hanno questa alternanza di necessità e di aleatorietà che fa evolvere la realtà. Questo significa che conoscenza scientifica e conoscenza storica non sono più due forme fondamentalmente diverse di spiegazione del mondo fra loro incompatibili. Un'attenuazione del solco che separava il sapere scientifico dai valori. Oggi, infatti, questa separazione, codificata nel dogma della avalutatività della conoscenza scientifica che ancora sta alla base della deontologia professionale degli scienziati, comincia a essere rimessa in discussione. La ragione principale infatti che rende la cultura scientifica così ostica alla stragrande maggioranza delle persone non sta tanto nell'astrattezza dei suoi concetti o nel rigore formale delle sue deduzioni, quanto nella sua estraneità rispetto alle cose ritenute importanti nella vita di ognuno. E' dunque l'immagine tradizionale di una scienza che ha per scopo di ridurre la complessità della vita, e in particolare della mente e dell'animo umano, a interazioni elementari fra atomi o molecole, che respinge istintivamente la maggior parte delle persone. Una rivalutazione del valore della diversità. Certo, è ancora vero, anzi è sempre più vero, che la differenza fra le due estremità della scala che va con continuità dall'uomo più ricco del mondo al più povero è sempre più abissale, e dunque sempre più moralmente scandalosa. Non basta tuttavia indignarsi per questo scandalo per farlo cessare. Una volta scesi sul terreno del capitale, assumendo il denaro come unità di misura di tutte le cose, e quindi anche dell'ingiustizia sociale, il capitale ha già vinto. Pochi sono disposti a dare a chi sta peggio una parte di ciò che ha, e chi lo fa, lo fa soltanto perché lo spinge una motivazione che non è stata ancora ridotta a merce. Come ha argomentato con grande lucidità Amartya Sen nel suo libro fondamentale La disuguaglianza, «l'idea di uguaglianza deve confrontarsi con due differenti tipi di diversità: 1) la sostanziale eterogeneità degli esseri umani e 2) la molteplicità delle variabili in base alle quali l'uguaglianza può essere valutata». Se non si tiene conto di questa multidimensionalità del problema non solo non lo si può nemmeno sfiorare, ma si rischia grosso. Al limite, anche Pol Pot voleva l'uguaglianza, ma semplificava troppo il concetto. Proporsi come obiettivo diretto l'eliminazione delle disuguaglianze rischia dunque di diventare, al meglio, soltanto una nobile intenzione incapace di raggiungere risultati concreti. Le cose cambiano se si coglie il nesso che lega l'aumento delle disuguaglianze e la distruzione delle diversità. Tanto per dirne una il povero è più povero anche perché gli si è data una lattina di Coca Cola in cambio di tradizioni millenarie che gli arricchivano la vita. O ancora, il piccolo produttore di un prodotto tipico unico, diverso, va in miseria perché il surrogato standardizzato prodotto da una multinazionale costa meno. Contrastare la distruzione delle diversità può dunque essere un modo più efficace di combattere le disuguaglianze. La contraddizione fondamentale della società del capitale globale sta infatti nella spinta a ridurre tutto all'omogeneità indifferenziata della forma di merce, da un lato, e nella necessità di soddisfare attraverso il mercato bisogni individuali e collettivi che investono tutto l'arco infinito delle esperienze umane, dall'altro. Tanto per fare un esempio, deve ridurre a merce sentimenti ed emozioni, gioie e dolori, bellezza e sacralità, e al tempo stesso deve convincere i consumatori che queste merci sono esperienze «vere» che possano essere vissute nel loro senso pieno anche dopo essere passate attraverso il filtro del mercato. Se questo è il senso del processo di globalizzazione, occorre porre la questione della difesa della diversità - diversità degli individui, diversità delle culture, diversità delle forme di vita - al centro dell'azione volta a contrastarne le tendenze più pericolose e distruttive. In questo modo la prospettiva cambia radicalmente.
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