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gli astuti vandali liberisti
- Subject: gli astuti vandali liberisti
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Sun, 30 Jun 2002 08:30:45 +0200
il manifesto - 26 Giugno 2002 Gli astuti vandali liberisti FRANCESCO INDOVINA Gli astuti vandali liberisti Possibile ci siano beni il cui fine non sia rendere? La Casa delle libertà sfrutterà monumenti e spiagge, boschi e ville. E il bel paese rischia di restarne spogliato Fare cassa, innanzitutto ma anche eliminare la tutela e la pianificazione territoriale, fare sanatorie sugli abusi, grandi opere senza controlli. Governando con piglio autoritario e autoreferenziale sotto l'imperativo del denaro FRANCESCO INDOVINA Il premio Attila, da destinare a quanti, persone o istituzioni, nel corso della loro attività portino distruzione alla struttura sociale, al patrimonio storico-ambientale e all'organizzazione del territorio del paese, dovrebbe essere assegnato, quasi di diritto, alla «casa della libertà», nonché ai governi espressione di tale maggioranza. Un'impostazione liberista sta sconquassando la società italiana in tutti i suoi aspetti, la necessaria modernizzazione del paese non è tanto un grimaldello, strumento in un certo senso raffinato, ma un piede di porco, che tutto sfascia. Come i barbari distruggono più di quanto ottengono, una furia vandalica verso la nostra società è in atto. Che i passati governi di centro sinistra siano stati investiti in parte della stessa filosofia liberista, è altra questione. L'idea che «ha da passà a nuttata» pare molto pericolosa. Liberismo e modernizzazione risultano compromissori per le coscienze, attraenti, entusiasmanti, ma anche mistificanti per il tasso di «imbroglio» che contengono. Il prossimo Documento programmatico del governo sembra avanzi la proposta di una riduzione delle imposte. Meno soldi allo stato, più disponibilità per i singoli e le famiglie. Tuttavia contemporaneamente si aumentano i ticket della salute e aumentano le tariffe dei servizi. Vistosamente il governo dà con la mano destra, mentre con la sinistra, di nascosto, infila la mano nei nostri portafogli. È in atto una vistosa ridistribuzione del reddito verso chi più ha. Ammettiamo che l'attuale sistema contributivo e la dinamica dell'occupazione non possano garantire le pensioni future, la soluzione è stata trovata con la pensione integrativa privata. I lavoratori sono invitati (obbligati, in certe versioni) a stipularne una; i fondi pensioni, si favoleggia, attraverso una gestione intelligente ed efficiente produrranno alti rendimenti, molto più alti che nel sistema pubblico, con benefici per gli assicurati. Sarebbe bene informarsi: i dipendenti pubblici della California dal pasticcio (si fa per dire) Enron, hanno subito una drastica riduzione dei loro investimenti pensionistici. Un caso? Non credo, la gestione delle imprese, delle borse e della finanza internazionale è sempre più caratterizzata da speculazione, filibustery, e spoliazioni che non garantiscono né i proprietari, né i consumatori, né i fornitori. Un aumento dei contributi verso il sistema pubblico poteva avere effetti migliori sul piano delle garanzie future, ma così sarebbe stato necessario che le imprese contribuissero e non si sarebbe alimentato il settore assicurativo (conflitti di interesse a parte). Tutto questo è fondato sull'esaltazione della scelta individuale: lo stato preleva meno soldi, le disponibilità di ciascuno aumentano e ciascuno decide liberamente dove curarsi, dove studiare, dove assicurasi, dove servirsi, ecc. La «liberazione» dall'oppressione statale è solo mistificazione: la maggioranza delle persone, non sto parlando solo dei poveri o dei meno fortunati, è oggettivamente obbligata ad andare all'ospedale pubblico o convenzionato e pagherà il «giusto» ticket, pochi sono quelli che potranno scegliere di curarsi in Svizzera o in Usa. La maggioranza sarà costretta alla pensione integrativa e verserà ad «efficienti» fondi pensioni quote mensili del suo reddito con la speranza che il suo fondo non sia coinvolto in qualche crac (tiene poco anche la Fiat). In sostanza dovremo tutti pagare di più. Provvedimenti approvati, in itinere, o presentati dal governo (Legge Obiettivo, Disposizione in materia di infrastrutture e trasporti, vari articoli delle finanziarie, ecc., nonché, recentemente, la formazione della Patrimonio spa e della Infrastrutture spa) hanno determinato un nuovo codice di comportamento nei riguardi del territorio e del patrimonio storico-ambientale. Tre i principi di fondo: fare cassa (un criterio che è stato, soprattutto negli enti locali, anche del centro sinistra), ridurre fino a eliminarla ogni ipotesi di pianificazione e, contro ogni federalismo, accentrare le decisione e renderle indiscutibili (al massimo si possono «migliorare»). Tutta la precedente legislazione di salvaguardia e di corretta gestione (Ronchey, Merloni, Compagna, Ronchi, ecc.) è continuamente manomessa e disattesa, senza dire delle procedure di sanatoria, per lo più regionali, su tutti gli abusi. Infrastrutture, centri storici, rifiuti, rifiuti pericolosi, parchi, fiumi, organizzazione dello spazio, tutto è sottoposto a revisione, l'unico imperativo è quello del denaro (nella versione di far risparmiare alle imprese, di fare cassa, di governare con piglio autoritario e autoreferenziale). Su tale materia, Italia Nostra ha predisposto un dettagliato dossier sul quale fa una campagna politica da sostenere. In questi giorni l'attenzione dell'opinione pubblica è stata focalizzata dall'ultima trovata del nostro ministro del Tesoro: l'approvazione del decreto costitutivo delle società, Patrimonio spa e la Infrastrutture spa. Un'approvazione che ha messo in fibrillazione la stessa maggioranza, con scambio di insulti tra uomini di governo. Il principio è banale (volgare) e allettante: perché non fare fruttare l'enorme patrimonio, anche storico, artistico e ambientale del paese? Perché non trasformare un costo in un rendimento? Cosa osta a vendere caserme e palazzi? I beni demaniali sono proprio del tutto non cedibili? Non è bene che la concessione di essi renda bene? Perché il patrimonio artistico non possa essere gestito in modo da dare rendimenti? non può essere dato in garanzia? Tutte domande apparentemente legittime e, suadentemente, in attesa di risposte affermative. Che ci possano essere dei beni pubblici la cui finalità non sia il rendimento, che essi incarnino altri valori che sebbene non monetari non hanno minore ma, forse, maggiore valenza che gli euro, non pare a questa maggioranza immaginabile. Al massimo possono pensare che ci sono dei beni invendibili, perché non hanno mercato (come la fontana di Trevi), ma per quanto possibile direttamente o indirettamente devono poter rendere. L'intervento del capo dello stato è sembrato liberatorio dell'ansia nazionale; come è noto, ha accompagnato la firma della legge costitutiva delle due società prima citate, con una lettera al presidente del consiglio che richiama al «rispetto dei requisiti e delle finalità dei beni pubblici». Sono stati messi, come si dice, dei paletti, ma non c'è tanto da stare tranquilli, le trappole sono infinite. La dichiarazione del ministro dei beni culturali sull'impossibilità di fare una lista dei monumenti incedibili la dice lunga sulle riserve mentali. Questo non vuol dire che la formazione della lista sia facile, ma il ministro, ammesso che la dizione «monumento» non sia di per sé impedimento alla vendita, avrebbe potuto proporre di elaborare la lista del cedibile, mettendosi così a rischio. Non è nel suo stile. Né pare fornire tranquillità il fatto che il Cipe deciderà collegialmente cosa vendere, lì Tremonti la fa da padrone. L'affermazione che nessuno pensa di vendere il Colosseo ci inquieta. Vendere forse no, chi lo comprerebbe? ma valorizzarlo? Per esempio concedendolo a qualche società che possa usarlo come arena dei nostri tempi per eventi di violenza postmoderna (si ha presente il film Roller Ball), magari a questa stessa società potrebbero essere affidati, da una nuova legge Bossi/Fini, degli extra-comunitari clandestini per farne dei gladiatori dell'era postmoderna (ovviamente con il loro personale consenso, politically correct). Ma in questione non c'è il Colosseo o la fontana di Trevi, ma tutto il resto. Niente di più ragionevole, per esempio, di sdemanializzare e vedere le caserme inutilizzate, ormai in zone centrali. Ma il ministro per fare più cassa deve venderle con una destinazione d'uso la più remunerativa possibile. Non ci si potrà meravigliare che inventi una nuova tipologia di asta: le offerte saranno accompagnate dalla destinazione d'uso desiderata; chi vince decide anche la destinazione d'uso. Ma le amministrazioni locali che hanno piani, che hanno previsto destinazioni diverse, e ogni destinazione proietta effetti diversi sull'intorno e sulla città complessiva, che fanno? Semplice, abrogano i loro piani, per loro ha deciso il ministro e il vincitore dell'asta. Quello che vale per le caserme vale per ville, palazzi, ed ogni cosa che sia ammessa alla vendita. Il problema non è tanto che qualcosa possa essere sdemanializzato, venduto o valorizzato, ma l'impostazione generale che guida l'azione del governo, che suona: tutto è vendibile e valorizzabile tranne quello che solleva scandalo. Così tutto il patrimonio viene trasferito alla Patrimonio spa, la quale ne può cedere una parte alla Infrastruttura spa, che la userà come garanzia, e se la garanzia non andasse a buon fine verrà... ceduta. Il presidente della repubblica ha sottolineato che non può essere ceduto a Infrastrutture spa il patrimonio non alienabile, ma il patrimonio non alienabile non può essere definito, e così il cerchio si chiude ed il paese rischia; o qualcosa di più, di essere spogliato.
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