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fra occupazione e disoccupazione
- Subject: fra occupazione e disoccupazione
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Fri, 28 Jun 2002 18:15:06 +0200
il manifesto - 22 Giugno 2002 Il rischio è il loro mestiere AUGUSTO ILLUMINATI Il rischio è il loro mestiere Nomandi nell'interzona tra occupazione e disoccupazione. Due libri a confronti sulla precarietà AUGUSTO ILLUMINATI Braccati in cerca di una via di scampo. Si può dirlo in molti modi, certamente complementari anche in registri apparentemente eterogenei. Così, per esempio, Paolo Godani (Estasi e divenire. Un'estetica delle vie di scampo, Mimesis, pp. 265, 14.50 euro), fra molti temi, studia la fuga sul posto estatica e la fuga in velocità, l'impercettibilità raggiunta nell'immobilità e nel movimento balenante, il costituirsi complessivo di singolarità non sostanziali, ma intensive e metamorfiche in Nietzsche, Foucault, Deleuze. Sempre di un divenire si tratta, nella sparizione statica o nella dinamica della fuga, nella soppressione della volontà o nel nomadismo, ma di un divenire «minore» (riprendendo il termine deleuziano-guattariano riferito a Kafka), in cui non si passa più da un'identità all'altra, ma ci si scioglie in eventi discreti, individuazioni istantanee. La resistenza estenuata del melvilliano Bartleby e l'indistruttibile rotolar via del kafkiano Odradek, contrapposti alla fallimentare ostinazione della talpa, questi i segni (modelli sarebbe una parola troppo forte) dell'anonima singolarità dell'«oltreuomo», liberato dalle catene della legge e dalla somiglianza identitaria al volto di dio, ricondotto all'innocenza del divenire, spazio liscio su cui di volta in volta si increspano differenze di intensità. Clandestina per sottrazione agli spazi striati del potere, indiscernibile a livello molare, scivolando fra tutti i contagi e per tutto contagiare, la soggettività dissolta nel flusso del desiderio si muove al di fuori di ogni mancanza avvertita e di ogni compimento auspicato - puro divenire eccedente qualsiasi opera. Ma esistono queste creature palustri, i rocchetti imbattibili, i fantasmi della filosofia differenziale? Vivono, anzi «lottano insieme a noi». Sono i precari, il cui carattere «singolare» sta proprio nel vivere esperienze non generalizzabili, nell'esporre una mancanza, una difficoltà di descrizione comune. Naturalmente la loro condizione «oltre-umana» è assai complicata, insieme ricca e povera, potente e infelice, come efficacemente ci racconta Andrea Tiddi (Precari. Percorsi di vita tra lavoro e non lavoro, DeriveApprodi, Roma 2002, pagg. 136, euro 9,30). Immobili davanti al computer, fuggevoli come pony express, nomadi fra lavori intermittenti, instabili, tutti sospesi nell'interzona fra occupazione e inoccupazione, nell'eterno presente di una progettualità impossibile, essi testimoniano la condizione postfordista, dove per un verso è possibile sganciarsi dalla routine ripetitiva e meglio valorizzarsi, per l'altro la flessibilità è funzione di maggiore sfruttamento e completa deregolamentazione e individualizzazione del rapporto di lavoro. La novità delle prestazioni loro richieste sta nella messa in opera della relazionalità e del linguaggio e proprio a quel livello si apre la contraddizione, minuziosamente analizzata e un po' ingenuamente schematizzata, fra rifiuto del lavoro, autovalorizzazione, cooperazione costituente, comunanza del sapere, da un lato, sottomissione biopolitica al mercato dall'altro. Giano bifronte fra inclusione ed esclusione, fra cittadinanza e messa al bando, il precariato guarda i due mondi e si scinde a sua volta in figure realizzate e disgregate, comunque irriducibili all'antica e asfittica solidità biografica. Anche se con qualche corrività ed eccesso di scansione in fasi irreversibili (per esempio, l'individualizzazione dei premi di produzione non è una novità, ma la ripresa di una pratica corrente prima degli anni `60), l'analisi è corretta e soprattutto è giusta la conclusione: l'unica rivendicazione unificante la frammentazione sociologica del precariato, senza impossibili ritorni all'ideologia lavorista e al tempo di lavoro formale, è quella del reddito di cittadinanza, garanzia ricompositiva del tempo di vita e non sussidio di disoccupazione che sancisca una condizione di minorità ed esclusione. A quest'ultimo progetto che prima o poi, nella tetra veste di ammortizzatore sociale, arriverà anche da noi, completando l'opera bi-partisan impostata nel pacchetto Treu e nel Libro bianco di Maroni, viene contrapposta l'idea di un reddito incondizionato indipendente dalla prestazione lavorativa, che attenuerebbe quell'incertezza di reddito (non di status o di posto fisso) che è il vero problema delle figure precarie. Nel comune segno di Deleuze e Foucault, due autori tematicamente così diversi come Godani e Tiddi ci offrono una descrizione analoga (e forse similmente unilaterale) di una metamorfosi della soggettività moderna, un'estetica e una politica delle vie di scampo per differenziali energetici, migranti, lavoratori flessibili. Che, del resto, la filosofia si sposi con la quotidianità non ce lo dice l'inverosimile ricaduta del concetto heideggeriano di Sorge (cura) nel termine «badante» della legge governativa sull'immigrazione? La neolingua celtico-comunitaria recepisce perfettamente il lavoro di cura come essenza della prestazione flessibile e lo pone sulla linea di confine fra esclusione e inclusione, l'area della «sanatoria». Il sospetto bossiano che la «badante» possa essere una prostituta mascherata conferma l'intercambiabilità delle funzioni.
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