fra occupazione e disoccupazione



     
il manifesto - 22 Giugno 2002 
 
Il rischio è il loro mestiere 
AUGUSTO ILLUMINATI
 
 
Il rischio è il loro mestiere 
Nomandi nell'interzona tra occupazione e disoccupazione. Due libri a
confronti sulla precarietà
AUGUSTO ILLUMINATI
Braccati in cerca di una via di scampo. Si può dirlo in molti modi,
certamente complementari anche in registri apparentemente eterogenei. Così,
per esempio, Paolo Godani (Estasi e divenire. Un'estetica delle vie di
scampo, Mimesis, pp. 265, 14.50 euro), fra molti temi, studia la fuga sul
posto estatica e la fuga in velocità, l'impercettibilità raggiunta
nell'immobilità e nel movimento balenante, il costituirsi complessivo di
singolarità non sostanziali, ma intensive e metamorfiche in Nietzsche,
Foucault, Deleuze. Sempre di un divenire si tratta, nella sparizione
statica o nella dinamica della fuga, nella soppressione della volontà o nel
nomadismo, ma di un divenire «minore» (riprendendo il termine
deleuziano-guattariano riferito a Kafka), in cui non si passa più da
un'identità all'altra, ma ci si scioglie in eventi discreti, individuazioni
istantanee. La resistenza estenuata del melvilliano Bartleby e
l'indistruttibile rotolar via del kafkiano Odradek, contrapposti alla
fallimentare ostinazione della talpa, questi i segni (modelli sarebbe una
parola troppo forte) dell'anonima singolarità dell'«oltreuomo», liberato
dalle catene della legge e dalla somiglianza identitaria al volto di dio,
ricondotto all'innocenza del divenire, spazio liscio su cui di volta in
volta si increspano differenze di intensità. Clandestina per sottrazione
agli spazi striati del potere, indiscernibile a livello molare, scivolando
fra tutti i contagi e per tutto contagiare, la soggettività dissolta nel
flusso del desiderio si muove al di fuori di ogni mancanza avvertita e di
ogni compimento auspicato - puro divenire eccedente qualsiasi opera.

Ma esistono queste creature palustri, i rocchetti imbattibili, i fantasmi
della filosofia differenziale? Vivono, anzi «lottano insieme a noi». Sono i
precari, il cui carattere «singolare» sta proprio nel vivere esperienze non
generalizzabili, nell'esporre una mancanza, una difficoltà di descrizione
comune. Naturalmente la loro condizione «oltre-umana» è assai complicata,
insieme ricca e povera, potente e infelice, come efficacemente ci racconta
Andrea Tiddi (Precari. Percorsi di vita tra lavoro e non lavoro,
DeriveApprodi, Roma 2002, pagg. 136, euro 9,30).

Immobili davanti al computer, fuggevoli come pony express, nomadi fra
lavori intermittenti, instabili, tutti sospesi nell'interzona fra
occupazione e inoccupazione, nell'eterno presente di una progettualità
impossibile, essi testimoniano la condizione postfordista, dove per un
verso è possibile sganciarsi dalla routine ripetitiva e meglio
valorizzarsi, per l'altro la flessibilità è funzione di maggiore
sfruttamento e completa deregolamentazione e individualizzazione del
rapporto di lavoro.

La novità delle prestazioni loro richieste sta nella messa in opera della
relazionalità e del linguaggio e proprio a quel livello si apre la
contraddizione, minuziosamente analizzata e un po' ingenuamente
schematizzata, fra rifiuto del lavoro, autovalorizzazione, cooperazione
costituente, comunanza del sapere, da un lato, sottomissione biopolitica al
mercato dall'altro. Giano bifronte fra inclusione ed esclusione, fra
cittadinanza e messa al bando, il precariato guarda i due mondi e si scinde
a sua volta in figure realizzate e disgregate, comunque irriducibili
all'antica e asfittica solidità biografica. Anche se con qualche corrività
ed eccesso di scansione in fasi irreversibili (per esempio,
l'individualizzazione dei premi di produzione non è una novità, ma la
ripresa di una pratica corrente prima degli anni `60), l'analisi è corretta
e soprattutto è giusta la conclusione: l'unica rivendicazione unificante la
frammentazione sociologica del precariato, senza impossibili ritorni
all'ideologia lavorista e al tempo di lavoro formale, è quella del reddito
di cittadinanza, garanzia ricompositiva del tempo di vita e non sussidio di
disoccupazione che sancisca una condizione di minorità ed esclusione. A
quest'ultimo progetto che prima o poi, nella tetra veste di ammortizzatore
sociale, arriverà anche da noi, completando l'opera bi-partisan impostata
nel pacchetto Treu e nel Libro bianco di Maroni, viene contrapposta l'idea
di un reddito incondizionato indipendente dalla prestazione lavorativa, che
attenuerebbe quell'incertezza di reddito (non di status o di posto fisso)
che è il vero problema delle figure precarie.

Nel comune segno di Deleuze e Foucault, due autori tematicamente così
diversi come Godani e Tiddi ci offrono una descrizione analoga (e forse
similmente unilaterale) di una metamorfosi della soggettività moderna,
un'estetica e una politica delle vie di scampo per differenziali
energetici, migranti, lavoratori flessibili. Che, del resto, la filosofia
si sposi con la quotidianità non ce lo dice l'inverosimile ricaduta del
concetto heideggeriano di Sorge (cura) nel termine «badante» della legge
governativa sull'immigrazione? La neolingua celtico-comunitaria recepisce
perfettamente il lavoro di cura come essenza della prestazione flessibile e
lo pone sulla linea di confine fra esclusione e inclusione, l'area della
«sanatoria». Il sospetto bossiano che la «badante» possa essere una
prostituta mascherata conferma l'intercambiabilità delle funzioni.