la liberta' salvera' la globalizzazione



dal corriere.it
 Martedì 4 Giugno 2002 
 
 
ANTEPRIMA Il premio Nobel per l’economia, l’indiano Amartya Sen, indica
limiti e prospettive del mercato planetario. Con un obbligo: difendere la
democrazia

La libertà salverà la globalizzazione


Esce oggi Globalizzazione e libertà, raccolta di saggi di Amartya Sen,
Premio Nobel per l’economia ’98. Del volume (Mondadori, pagine 168, euro
14,60) anticipiamo due brani dal capitolo «La libertà e il nostro futuro». 
Qualunque tipo di libertà analizziamo, dobbiamo prendere in esame sia
l’importanza che ha in sé sia il suo ruolo strumentale. A proposito delle
libertà politiche, si sente chiedere, a volte, se «contribuiscano allo
sviluppo». Di fatto, una risposta negativa (che include l’obiezione, così
spesso sostenuta, che la democrazia sia nemica della crescita economica) ha
corroborato tendenze politiche autoritarie in diverse regioni del pianeta,
dall’Asia orientale all’America latina. La prima cosa da osservare per
valutare questa linea di argomentazione è che questo modo di porre la
domanda disconosce un aspetto cruciale: le libertà politiche e i diritti
democratici sono elementi costitutivi dello sviluppo. La loro rilevanza non
deve essere stabilita indirettamente, per mezzo del loro contributo al Pil.
Che siano ricchi o poveri, se non godono delle libertà politiche i
cittadini sono deprivati di un elemento fondamentale per una buona vita.
Tuttavia, una volta riconosciuta questa connessione, dobbiamo sottoporre la
democrazia all’analisi che ne consegue, poiché esistono altri tipi di
libertà. Vale la pena di notare, in questo contesto, che ampi studi
comparativi non hanno fornito supporto empirico alla convinzione che la
democrazia sia dannosa alla crescita economica. In effetti, l’evidenza
indica, piuttosto incontrovertibilmente, che la crescita è favorita da un
ambiente economico accogliente anziché dalla durezza del sistema politico. 
Allo stesso modo sembra chiaro che la democrazia e i diritti politici e
civili tendono a rinforzare libertà di altra specie (come la possibilità di
sopravvivere e la sicurezza economica), dando voce alle persone in
condizioni di deprivazione o più vulnerabili. Il fatto che nessuna grande
carestia si sia mai verificata - persino nel caso di nazioni molto povere
nel corso di gravi crisi alimentari - in un paese democratico con elezioni
regolari, partiti di opposizione e un’informazione relativamente libera,
illustra in modo semplice l’aspetto più elementare della forza protettiva
delle libertà politiche. Nonostante le sue molte imperfezioni, la
democrazia indiana ha generato incentivi politici sufficienti a evitare
carestie di grandi proporzioni (l’ultima delle quali si verificò quattro
anni prima dell’indipendenza, nel 1943), mentre la maggiore carestia di cui
si ha memoria si è verificata in Cina nel 1958-61 e ha provocato quasi 30
milioni di morti. Proprio ora, i due paesi colpiti dalle carestie di
maggiore entità sono tra i più nettamente dittatoriali, vale a dire Corea
del Nord e Sudan. 
La forza protettiva della democrazia è in effetti capace di fornire
sicurezza in misura molto più estesa di quanto riescano a farlo i tentativi
di prevenzione delle carestie. Il povero nella Corea del Sud o in Indonesia
potrebbe non essersi preoccupato troppo per la democrazia nel periodo del
boom economico, quando le condizioni di vita di tutti sembravano migliorare
nella loro totalità. Ma quando l’economia è entrata in crisi, la democrazia
e le libertà politiche e civili hanno cominciato a mancare disperatamente a
chi vedeva cambiare i propri mezzi economici e la propria vita in maniera
del tutto inaspettata. Da un punto di vista generale, una riduzione del Pil
del 5 o del 10% non è certo una calamità, se fa seguito a decenni di tassi
di crescita annuali tra il 5 e il 10%. Se tuttavia la riduzione grava
iniquamente sulle fasce più svantaggiate, queste ultime potrebbero trovarsi
in serio pericolo e aver bisogno di sostegno sociale. La democrazia è
diventata ora un tema centrale in Corea del Sud e in Indonesia. Non
vorremmo dover aspettare una crisi economica per apprezzare la forza
protettiva della democrazia.(...) 
Per guardare alle prospettive e ai bisogni futuri con adeguata chiarezza e
profondità, una concezione incentrata sulla libertà presenta molti vantaggi
rispetto a punti di vista più convenzionali. Primo, fornisce il contesto
per interpretare il progresso individuale e sociale sulla base dei suoi
obiettivi fondamentali piuttosto che dei suoi strumenti più immediati.
L’aumento delle capacità di vita e delle libertà ha un rilievo intrinseco
che lo distingue, ad esempio, dall’incremento della produzione di merci o
dalla crescita del Pil. 
Secondo, una concezione incentrata sulla libertà offre anche lucide
indicazioni strumentali, perché libertà di diversa specie si sostengono
vicendevolmente. Mettere a fuoco le connessioni fra libertà di diverso tipo
ci conduce molto oltre la prospettiva limitata delle singole libertà
isolate. Viviamo in un mondo di molte istituzioni (tra le quali il mercato,
il governo, la magistratura, i partiti politici, i media, ecc.) e dobbiamo
fare in modo che si possano supportare e rafforzare tra loro, anziché
ostacolarsi a vicenda. 
Terzo, questa prospettiva più ampia ci consente di distinguere tra 1) gli
interventi repressivi dello stato che soffocano la libertà, l’iniziativa e
l’impresa, e depotenziano l’agire individuale e la cooperazione e 2) il
ruolo di supporto dello stato nell’allargamento delle libertà di fatto
degli individui (ad esempio, garantendo l’istruzione pubblica, le cure
sanitarie, le reti di sicurezza sociale, le agevolazioni del microcredito,
buone politiche macroeconomiche, salvaguardando la concorrenza industriale
e assicurando la sostenibilità epidemiologica e ambientale). 
Quarto, un approccio incentrato sulla libertà può concorrere a fornire una
visione adeguatamente ampia ed estensiva delle esigenze degli esseri
viventi. La libertà in senso largo comprende i diritti civili e le
opportunità economiche e sociali da un lato e, dall’altro, l’eliminazione
di fondamentali illibertà come la fame, l’analfabetismo, le malattie non
assistite e altre situazioni di assenza di garanzie sociali. Abbiamo
bisogno di un approccio integrato ai problemi e alle prospettive del mondo
futuro. É di importanza cruciale superare la visione frammentata di chi
sostiene solo libertà di natura particolare, negando l’importanza delle
libertà di altra specie (in alcuni casi considerando in effetti dannosi
altri tipi di libertà). Occorre una nozione chiara dell’interdipendenza di
libertà di diversa specie e del loro ruolo di reciproco sostegno. 
Infine ho sostenuto, nei termini della distinzione medievale fra «agente» e
«paziente», un diverso punto di vista sullo sviluppo e il cambiamento
sociale. Questo approccio è radicalmente diverso da quelli che considerano
le persone beneficiarie passive di ingegnosi programmi di sviluppo. 
La possibilità di risolvere problemi antichi (ereditati dal passato, come
disuguaglianza e povertà) e nuovi (come il degrado dell’ambiente o il
sovraffollamento) dipende innanzitutto dalla capacità di rafforzare le
diverse istituzioni a presidio delle differenti ma interrelate libertà.
(...) In tal senso, il nostro futuro dipenderà soprattutto dal successo
nell’ampliamento delle rispettive libertà, ottenuto attraverso il
rafforzamento delle diverse istituzioni che sostengono e favoriscono le
nostre capacitazioni umane. In questo, ritengo, risiede la più importante
indicazione per il nostro futuro. 


Il testo qui pubblicato fa parte di un memorandum elaborato nel febbraio
2000 da Amartya Sen su richiesta dell’allora presidente Usa Bill Clinton