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l'america in polpette
- Subject: l'america in polpette
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Mon, 29 Apr 2002 06:49:21 +0200
il manifesto - 23 Aprile 2002 MITI USA L'America in polpette BENEDETTO VECCHI L'industria del fast-food ha appena compiuto sessant'anni ed è diventata un'icona degli Stati uniti. Per Eric Schlosser è però qualcosa di più che un'icona. Ed è per questo che il titolo del suo libro da poco tradotto da Marco Tropea si intitola La nazione fast-food (pp. 385, 16,60 euro), quasi a legittimare l'idea che McDonald's o Burger King coincidano con l'America. Giovane giornalista free-lance, Schlosser ha passato un nutrito numero di anni raccogliendo documenti e interviste sull'industria del fast-food, arrivando infine a scrivere un libro che al di là dell'Oceano è diventato un best-seller. Va subito detto che è un volume che prende l'avvio dagli anni Quaranta, quando i due fratelli McDonald's aprirono un piccolo ristorante nell'assolata California con l'obiettivo di pasti veloci alla portata di milioni di americani. Ma Eric Schlosser è convinto che parlare di fast-food vuo dire parlare di un'«economia di agglomerazione» che parte dall'allevamento degli animali, passa per le coltivazione di patate, si trasforma nella macellazione e nei laboratori scientifici che producono quelle essenze che rendono così gustosi i panini e i cartocci di patatite fritte venduti ad ogni angolo di mondo. La nazione fast-food è un libro indispensabile per capire come sono cambiati gli Stati uniti, i rapporti di «complicità» tra grandi corporation e governo federale, la crescita dell'esercito dei working poor, cioè di lavoratori e lavoratrici che hanno salari al di sotto di quanto prevede la legge americana, la marginalità del sindacato. E il sindacato è stata infatti una delle prime, illustri, vittime della nascente «nazione fast-food». Serrate, uso scientifico dei crumiri o di forza-lavoro minorile o migrante, ingenti donazioni ai candidati al congresso in cambio di leggi a favore dell'industria del fast-food: tutto è stato usato per ridurre all'obbedienza la forza-lavoro. E quando a Eric Schlosser viene detto che l'associazione milanese di lavoratori precari Chainworkers considera il suo libro come un manuale per denunciare i comportamenti antisindacali delle grandi catene di distribuzione o del fast-food il suo viso si allarga in un sorriso divertito. Sorriso che sfocia in una risata quando apprende che ci sono stati degli scioperi in alcuni McDonald's italiani. «Dovrebbero andare negli Stati uniti e aiutare i lavoratori americani a organizzare scioperi. Sarebbe una grande cosa». Intervistarlo è quindi come aprire una finestra su un mondo di cui si hanno solo immaggini frammentarie, abbacinanti o sfocate. Alla fine il panorama è funestato da nuvole nere, ma almeno si ha una visione chiara, con le sue luci e le sue moltissime zone d'ombra. Il suo libro più che un'analisi critica sull'industria del fast-food, è un fosco affresco sulla storia degli Stati uniti in questi ultimi venti anni. Quel che ne esce fuori è un panorama costellato da fast-food, highways e povertà. Inoltre, nel paese del libero mercato impazzano grandi oligopoli, mentre le grandi corporation dipendono dai fondi erogati in loro favore dallo stato federale e dalla deregolamentazione del mercato del lavoro. Ma ciò che lei sottolinea è il ruolo di traino del complesso militare industriale..... L'intervento dello stato nell'economia risale alla grande depressione e alle politiche di New Deal intraprese allora dal presidente democratico Franklin Delano Roosevelt. Da allora il governo statunitense ha sempre aiutato le grandi corporation attraverso investimenti volti alla costruzione di grandi infrastrutture o con politiche finanziarie in loro favore, indipendentemente da chi sedeva alla Casa Bianca. Per quanto riguarda il cosiddetto complesso militare-industriale, il punto di svolta c'è stato dopo la fine della seconda guerra mondiale e con l'elezione di «Ike» Eisenhower, il quale ha favorito le industrie legata alla difesa nazionale. Allo stesso tempo, durante i suoi due mandati è stata portata a compimento la costruzione di un sistema capillare di superstrade. Ironicamente, definisco quegli anni come gli anni del «socialismo interstatale». Ma l'aiuto del governo americano ha riguardato anche l'industria del fast-food. Possiamo dire che dal «socialismo interstatale» gli Usa sono passati al «socialismo del cheeseburger»? Siamo ancora in una fase di transizione. Siamo cioè con un piede nel «socialismo interstatale» e l'altro nel «socialismo del cheesburger». Nell'industria del fast-food i salari di gran parte dei lavoratori e delle lavoratrici sono al di sotto della soglia della povertà. E' un fenomeno che si è fermato o l'esercito dei «working poor» continua ad aumentare? Con l'attuale amministrazione di George W. Bush continuerà ad aumentare. Una delle storie a cui tengo di più è quella che si riferisce ai lavoratori della macellazione. Va ricordato che negli anni Cinquanta e Sessanta, nell'industria della macellazione erano infatti pagati alti salari, la forza-lavoro aveva la pensione e l'assistenza sanitaria assicurata. Da venti, trenta anni a questa parte la situazione si è pressoché ribaltata: oggi i lavoratori di questo settore sono tra i peggio pagati, le condizioni di lavoro possiamo definirle bestiali e gran parte della forza-lavoro non ha nessun sistema di protezione sociale. Ho inoltre documentato che gli orari di lavoro vanno ben oltre quello che stabilisce la legge, che il pagamento degli straordinari è una merce rara, che i ritmi di lavoro sono così massacranti che esiste ormai una relazione diretta tra la produttività e gli infortuni sul lavoro. Spesso, nei macelli, che funzionano come una catena di montaggio a ciclo continuo - la macellazione si ferma solo quelle tre, quattro ore necessarie alla pulizia degli stabilimenti -, più si squartano animali più la forza-lavoro si ritrova con schiene rotte, dita tagliate, tagli profondi sul corpo. Inoltre, per disinfettare gli stabilimenti vengono usate sostanze chimiche che bruciano i polmoni dei «pulitori». Nel libro racconto la vicenda di un dipendente, bianco, che comincia a lavorare in una impresa di macellazione. Lavora sodo, non si tira mai indietro perché ritiene che i manager sono sempre nel giusto. Fa il crumiro durante uno sciopero, ha un incidente sul lavoro, ma dopo le prime cure al pronto soccorso ritorna alla catena. E' indicato dalla corporation come un «eroe del lavoro». Soffre di terribili mal di schiena, ha un altro incidente, questa volta quando gli viene chiesto di pulire gli stabilimenti. Ha quasi i polmoni bruciati. A questo punto la corporation lo licenza senza troppi complimenti: alla fine scopre che all'età di quarantanni è un «rottame» senza nessuna speranza di trovare lavoro. L'industria della macellazione è quindi paradigmatica di ciò che è accaduto nel business americano. Nella «nazione del fast-food» vivono anche i «profumatori», cioè i ricercatori che si affannano per produrre essenze che diano agli hamburger quel sapore pieno sbandierato dalla pubblicità. Accanto a questo sforzo della ricerca scientifica per rendere appetitoso un hamburger, c'è una altrettanto sofisticata attenzione per indurre all'obbedienza la forza-lavoro. Possibile che non ci sia una qualche forma di resistenza a tutto ciò? E' vero ciò che dice sulla ricerca scientifica e sulla ricerca dell'obbedienza. Negli Usa le grandi corporation hanno una strategia antisindacale che non lascia respiro. Ad esempio alla minima possibilità di sindacalizzazione, può chiudere il fast food se è di sua proprietà. Altre volte, quando il fast-food è in franchising può minacciare l'affittuario disponibile ad accettare il sindacato di rompere il contratto e sloggiarlo dai locali che rimangono sempre di proprietà della corporation. Ricordiamo, ma questo è un fatto oramai noto, che il logo più famoso del fast-food ha un manuale di centinaia di pagine in cui sono dettagliati tutti i comportamenti che un front-line deve avere con il cliente. Ogni deroga viene sanzionata nelle interminabili riunioni delle crew (gruppo di lavoro, ma anche banda, ndr) in cui il manuale è il vangelo sbandierato dai manager per decidere se sei in linea oppure no. Inoltre, l'organizzazione degli orari espone all'arbitrio: puoi lavorare quattro ore un giorno, nove il sucessivo, con i turni che cambiano continuamente e che sono comunicati giorno per giorno. Sono fattori che rendono un inferno la tua vita e difficile la sindacalizzazione. La nazione del fast-food diventa tale con l'arrivo a Washington di Ronald Reagan. Ma dopo l'inverno reaganiano c'è stato o no il disgelo clintoniano? Durante la sua presidenza, sono sempre stato piuttosto critico nei confronti dell'operato di Bill Clinton. Devo però riconoscere che ha ottenuto alcuni risultati: è riuscito ad aumentare un poco il salario minimo, ha fatto approvare dal Congresso leggi tese a un maggiore controllo sanitario nella preparazione del cibo nei fast-food. Il terzo fattore su cui c'è stato uno sforzo dell'amministrazione clintoniana riguarda le condizioni di lavoro. Certo, poco rispetto a quanto sarebbe necessario, ma dopo Reagan e Bush padre un miglioramento c'è stato. Lei dedica pagine molto belle alla storia di un allevatore di bestiame ecologicamente compatibile. Sembra di leggere l'epopea americana di spiriti liberi, orgogliosamente legati alla terra e ostili allo strapotere delle grandi compagnie. Un individualismo a tutto tondo, ma solidale con chi è nelle stessa condizione. Eppure quel personaggio, Hank, si uccide. Il suo suicidio vuol dire la morte dello spirito americano? Lo spirito americano non è morto, ma è agonizzante. Questo non vuol dire che non ci siano più allevatori come Hank. Ma il loro numero diminuisce sempre di più e quelli che rimangono sono in forte difficoltà. Cresce il loro indebitamento con le banche, aumenta la competitività verso le grandi fattorie industrializzate che fanno ingrassare i loro animali in capannoni nutrendoli con mangimi prodotti industrialmente e che riciclano carcasse di polli, pecore, mucche. Le figure come Hank possono apparire come il passato che non potrà mai più tornare. Ma forse il futuro del fast-food sono proprio loro. La maggiore sensibilità ambientalista e sulla qualità alimentare ha fatto crescere negli ultimi anni catene di fast-food che utilizzano solo alimenti coltivati o allevati biologicamente. Inoltre, la crescita dei movimenti sociali contro gli sweetshops che utilizzano il lavoro nero hanno incoraggiato le azioni di boicottaggio di alcune associazioni di consumatori nei confronti di catene che usano lavoro nero o minorile. Tutta l'industria del fast-food sembra ruotare attorno alla cittadina di Colorado Spring, luogo topico della frontiera e della nazione americana. Cowboy, mucche, intraprendenza individuale, etica del lavoro. Ora, al posto dei cowboy c'è una base militare; le mucche sono state sostituite da decine e decine di fast-food, mentre la retorica della comunità e del buon vicinato trova il suo simulacro nelle sette evangeliche. Un'America irriconoscible. Ma è irriconoscibile anche per gli americani? Tutto quello che lei dice è vero. L'ideologia feroce del libero mercato ha stabilito che il «risultato funzionale» delle corporation è prioritario su tutto e su tutti. Ma le ideologie nascono, si affermano e poi declinano. E' quello che sta accadendo negli Usa. La retorica del libero mercato ha infatto perso molto del suo glamour. Il problema è quanto tempo occorrerrà per cambiare la rotta. A Colorado Sping sono cresciuti movimenti che puntano a migliorare l'assetto urbanistico della città; c'è chi punta a ridimensionare il peso della base militare nell'economia della città. Le sette evangeliche che annunciano la fine del mondo e la salvezza per un tot di dollari hanno perso terreno. Rispetto a qualche anno fa la situazione è migliorata. Lo stesso mutamento di clima c'è stato in tutti gli Usa. Per questo, credo che Bush jr. non sarà rieletto, anche se la sua popolarità è cresciuta dopo l'attentato dell'11 settembre. Il clima patriottico è un potente collante di questa amministrazione, ma sono convinto che i problemi reali ritorneranno al centro della scena politica. Prendiamo ad esempio lo scandalo che ha coinvolto la compagnia Enron. La denuncia dell'operato di questa grande corporation che doveva fornire l'energia ha incontrato il consenso popolare. L'11 settembre è stato un atto che ha gettato gli Stati uniti in una profondo stato di inquietudine. Ma questo non significa che ha cancellato le critiche nei confronti dell'amministrazione Bush, considerata da molti il padrino politico della Enron. Anche se non ci sono grandi manifestazioni di protesta, lo smottamento dell'opinione pubblica non si è fermato, neanche con la guerra in Afghanistan. Siamo quindi nel pieno di una transizione, anche se non sappiamo quanto durerà. Ha annunciato che sta scrivendo un libro sulle prigioni. Stiamo passando dalla «nazione fast-food» alla «nazione carceraria»? Gli Stati uniti hanno una popolazione carceraria che ammonta a più di due milioni di persone. Negli ultimi due decenni, le diverse amministrazioni che si sono succedute alla Casa Bianca hanno destinato investimenti alla costruzione di nuove prigioni che hanno eguagliato e in alcuni periodi superato l'ammontare dei dollari destinati al Pentagono per la difesa nazionale. Ma anche in questo caso il peggio è passato.
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