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il manifesto - 07 Aprile 2002 
Johannesburg, diritti globali 
Legambiente si prepara al summit sul clima. Veltroni a Berlusconi: «Diserta
il G8» 
La forbice si amplia Cresce il divario tra i paesi ricchi e quelli poveri.
La sinistra, il sindacato e gli ambientalisti per uno sviluppo che punta
alla qualità
ANTONIO SCIOTTO
ROMA 
Apochi mesi dalla conferenza mondiale sullo sviluppo sostenibile di
Johannesburg, prevista per la prossima estate, è d'obbligo fare un bilancio
sugli ultimi 10 anni di politiche economiche e ambientali globali (nel
1992, a Rio, il primo importante summit sul tema). Un bilancio poco
consolante, pesantemente negativo soprattutto per i paesi in via di
sviluppo. I profughi ambientali, per la prima volta nel 2000, hanno
superato per numero le vittime delle guerre, mentre in Africa 400 milioni
di persone devono combattere con l'inesorabile progredire di 700 milioni di
ettari di deserto. E ancora, un miliardo di persone non dispone di acqua
potabile, oltre 6000 sono i bambini che muoiono ogni giorno per cause
legate alla mancanza d'acqua. I dati sono stati presentati ieri da
Legambiente nel corso di "Clima e povertà da Porto Alegre a Johannesburg",
appuntamento preparatorio della prossima conferenza mondiale sull'ambiente.
Crescono le disparità tra il mondo ricco e quello povero, mentre il nuovo
movimento nato a Seattle tenta di invertire il segno della globalizzazione,
deviando il timone dal mercato ai diritti. Nel 1960 il 20% più ricco della
popolazione possedeva un reddito 30 volte superiore a quello del 20% più
povero. Oggi la proporzione è 82 a 1. I tre uomini più ricchi del mondo,
Bill Gates, il proprietario dei supermercati Wal-Mart e il sultano del
Brunei, hanno un patrimonio pari alla somma del Pil dei 43 paesi più
poveri. Nel Sud del mondo, oltre 250 milioni di bambini lavorano, mentre in
Asia meridionale mezzo miliardo di persone vive con meno di un dollaro al
giorno e in Africa subsahariana il 46% della popolazione. Mancano le
risorse, in molti casi anche per le condizioni climatiche, mancano i
diritti sociali e del lavoro, ma manca anche una rappresentanza democratica
di questi paesi nel governo mondiale. Ambiente, sviluppo e lavoro si
intrecciano indissolubilmente con la necessità di riformare la politica,
chiudendo innanzitutto con le assise di pochi grandi - vedi G8 - che
decidono per tutti.

Parte dal sindaco di Roma, Walter Veltroni, l'invito al presidente del
Consiglio Silvio Berlusconi di «disertare il prossimo G8 in Canada,
suggerendo nello stesso tempo agli altri partner di fare lo stesso, almeno
finché a quel tavolo non sederanno rappresentanti della Cina, dell'America
Latina, dell'Africa». E il leader della Cgil, Sergio Cofferati, conferma
che devono cambiare i sistemi della rappresentanza, perché «i capi di
governo democraticamente eletti possono riunirsi e prendere decisioni
comuni, ma solo per quanto riguarda i paesi che rappresentano. I summit dei
pochi grandi, invece, decidono per milioni di persone che non li hanno
eletti». La sinistra, insomma, cerca una nuova identità che la faccia
risorgere, nel punto di incontro tra democrazia, lavoro e ambiente. E il
dialogo tra i sindacati e i movimenti ambientalisti è altrettanto
importante: «Il rapporto con i sindacati oggi è migliore di un tempo -
spiega Ermete Realacci, presidente di Legambiente - non perché non manchino
i conflitti, come ad esempio a Gela e a Porto Torres, ma perché esiste una
ragione forte. Oggi è più chiaro che l'economia italiana deve scegliere la
strada della qualità, cosa che si incrocia con la nostra cultura
ambientalista. Se anziché la qualità si sceglie come metodo di competizione
quello dei bassi costi è tutto più difficile».

Ma come si fa a parlare di diritti a chi non ha neppure un pezzo di pane?
«Quando parliamo di clausola sociale, del divieto di lavoro minorile e di
altre conquiste per noi scontate - spiega Cofferati - sono gli stessi
sindacati dei paesi del Sud del mondo a risponderci che tutte queste cose
potrebbero danneggiare le loro economie. In questi casi, accanto ai
diritti, bisogna proporre loro anche delle forme di cooperazione e di
reciprocità per sostenerli concretamente. Comunque, lo sviluppo e la
competizione si devono giocare sempre sull'innalzamento della qualità e non
sull'abbassamento dei costi e dei diritti. I diritti sociali hanno un
costo, e i paesi che decidono di estenderli universalmente devono essere
disponibili a farsene carico».