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legambiente johannesburg diritti globali
- Subject: legambiente johannesburg diritti globali
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Thu, 11 Apr 2002 07:29:29 +0200
il manifesto - 07 Aprile 2002 Johannesburg, diritti globali Legambiente si prepara al summit sul clima. Veltroni a Berlusconi: «Diserta il G8» La forbice si amplia Cresce il divario tra i paesi ricchi e quelli poveri. La sinistra, il sindacato e gli ambientalisti per uno sviluppo che punta alla qualità ANTONIO SCIOTTO ROMA Apochi mesi dalla conferenza mondiale sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg, prevista per la prossima estate, è d'obbligo fare un bilancio sugli ultimi 10 anni di politiche economiche e ambientali globali (nel 1992, a Rio, il primo importante summit sul tema). Un bilancio poco consolante, pesantemente negativo soprattutto per i paesi in via di sviluppo. I profughi ambientali, per la prima volta nel 2000, hanno superato per numero le vittime delle guerre, mentre in Africa 400 milioni di persone devono combattere con l'inesorabile progredire di 700 milioni di ettari di deserto. E ancora, un miliardo di persone non dispone di acqua potabile, oltre 6000 sono i bambini che muoiono ogni giorno per cause legate alla mancanza d'acqua. I dati sono stati presentati ieri da Legambiente nel corso di "Clima e povertà da Porto Alegre a Johannesburg", appuntamento preparatorio della prossima conferenza mondiale sull'ambiente. Crescono le disparità tra il mondo ricco e quello povero, mentre il nuovo movimento nato a Seattle tenta di invertire il segno della globalizzazione, deviando il timone dal mercato ai diritti. Nel 1960 il 20% più ricco della popolazione possedeva un reddito 30 volte superiore a quello del 20% più povero. Oggi la proporzione è 82 a 1. I tre uomini più ricchi del mondo, Bill Gates, il proprietario dei supermercati Wal-Mart e il sultano del Brunei, hanno un patrimonio pari alla somma del Pil dei 43 paesi più poveri. Nel Sud del mondo, oltre 250 milioni di bambini lavorano, mentre in Asia meridionale mezzo miliardo di persone vive con meno di un dollaro al giorno e in Africa subsahariana il 46% della popolazione. Mancano le risorse, in molti casi anche per le condizioni climatiche, mancano i diritti sociali e del lavoro, ma manca anche una rappresentanza democratica di questi paesi nel governo mondiale. Ambiente, sviluppo e lavoro si intrecciano indissolubilmente con la necessità di riformare la politica, chiudendo innanzitutto con le assise di pochi grandi - vedi G8 - che decidono per tutti. Parte dal sindaco di Roma, Walter Veltroni, l'invito al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi di «disertare il prossimo G8 in Canada, suggerendo nello stesso tempo agli altri partner di fare lo stesso, almeno finché a quel tavolo non sederanno rappresentanti della Cina, dell'America Latina, dell'Africa». E il leader della Cgil, Sergio Cofferati, conferma che devono cambiare i sistemi della rappresentanza, perché «i capi di governo democraticamente eletti possono riunirsi e prendere decisioni comuni, ma solo per quanto riguarda i paesi che rappresentano. I summit dei pochi grandi, invece, decidono per milioni di persone che non li hanno eletti». La sinistra, insomma, cerca una nuova identità che la faccia risorgere, nel punto di incontro tra democrazia, lavoro e ambiente. E il dialogo tra i sindacati e i movimenti ambientalisti è altrettanto importante: «Il rapporto con i sindacati oggi è migliore di un tempo - spiega Ermete Realacci, presidente di Legambiente - non perché non manchino i conflitti, come ad esempio a Gela e a Porto Torres, ma perché esiste una ragione forte. Oggi è più chiaro che l'economia italiana deve scegliere la strada della qualità, cosa che si incrocia con la nostra cultura ambientalista. Se anziché la qualità si sceglie come metodo di competizione quello dei bassi costi è tutto più difficile». Ma come si fa a parlare di diritti a chi non ha neppure un pezzo di pane? «Quando parliamo di clausola sociale, del divieto di lavoro minorile e di altre conquiste per noi scontate - spiega Cofferati - sono gli stessi sindacati dei paesi del Sud del mondo a risponderci che tutte queste cose potrebbero danneggiare le loro economie. In questi casi, accanto ai diritti, bisogna proporre loro anche delle forme di cooperazione e di reciprocità per sostenerli concretamente. Comunque, lo sviluppo e la competizione si devono giocare sempre sull'innalzamento della qualità e non sull'abbassamento dei costi e dei diritti. I diritti sociali hanno un costo, e i paesi che decidono di estenderli universalmente devono essere disponibili a farsene carico».
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