[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
quando l'impresa fa politica
- Subject: quando l'impresa fa politica
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Tue, 19 Mar 2002 06:35:32 +0100
dal manifesto 12 Marzo 2002 Quando l'impresa fa politica Lo sviluppo del capitalismo a partire dalle sue contraddizioni interne, l'unico fattore che potrebbero porre le basi di un suo superamento. L'ultimo libro di Gianfranco La Grassa AUGUSTO ILLUMINATI Fuori della corrente. Decostruzione-ricostruzione di una teoria critica del capitalismo (Unicopli, pp. 311, 18,00 Euro) raccoglie i saggi più recenti di Gianfranco La Grassa, preceduti da una prefazione di Costanzo Preve, che ha il pregio di una precisa esposizione e contestualizzazione dei contenuti del libro e forse il difetto di un compattamento speculativo degli stessi. La premessa, dichiarata "indimostrabile", di quest'ultima fase del pensiero dell'autore, docente di Economia all'Università di Pavia e Venezia, nonché apprezzato studioso di Marx e collaboratore con Charles Bettelheim, è l'assunzione, come dato centrale dell'evoluzione sociale, dell'insocievole socievolezza degli uomini. Il termine, come già nel suo inventore Kant (che lo deduceva filosoficamente da Adam Smith), indica la complementarità obbligata di cooperazione e conflitto, il fatto che le relazioni sono rese possibili dal raggruppamento in vista del conflitto. In tutte le società si danno quindi inevitabilmente dominanti e dominati e nel sottosistema economico moderno ne discende la competizione di imprese, intese come insieme gerarchici (o simbiosi di agenti politici e imprenditoriali) comprendenti un settore propriamente di direzione strategica, orientato alla conquista del potere sociale complessivo, e sottogruppi di direzione tecnica, che operano in base a criteri di produttività ottimale per fornire i mezzi necessari al conflitto. La logica delle imprese si avvicina quindi più all'arte della guerra che al calcolo economico razionale, lasciando in secondo piano la proprietà (che ha importanza variabile nelle diverse fasi storiche) e soprattutto la saldatura fra tecnici e lavoratori subordinati, sopravalutata da Marx in riferimento a un capitalismo ancora prevalentemente concorrenziale. In tutte le situazioni precapitalistiche la trasformazione transizionale da una società all'altra poteva essere stimolata dalla lotta di classe dei dominati ma era determinata essenzialmente da una frazione delle classi dominanti in lotta con le altre. Per esempio, non furono i servi della gleba a rovesciare il regime feudale, ma si affermò invece un ceto borghese cittadino, fino allora marginale dell'assetto del potere e della produzione. Fin qui, con qualche difficoltà, potrebbe funzionare ancora il Manifesto marxiano del 1848. Ma La Grassa estende il giudizio anche alle contraddizioni interne al modo di produzione capitalistico, negando che la classe operaia possa svolgere una funzione intermodale, sostituendosi alla borghesia e attuando il passaggio a un superiore modo di produzione. Centrale in questa valutazione è la constatazione dei limiti subalterni della cooperazione e la negazione drastica (e alquanto polemica) della figura del general intellect. La classe operaia marxiana era costituita dall'intero lavoratore collettivo cooperativo, dal direttore tecnico all'ultimo manovale: la dissoluzione di questo blocco o almeno l'impossibilità che si costituisca come soggettività alternativa fa cadere anche la trasformazione del modo di produzione come risultato di una lotta diretta fra dominati e dominanti. Questo non vuol dire che il capitalismo sia eterno. Come ogni altro modo di produzione si trasformerà e cadrà, ma in seguito ai contrasti interni della classe dominante, dando luogo a un nuovo sistema di dominio più avanzato. Le rivoluzioni dello scorso secolo, sul cui modello potremmo immaginarci quelle future possibili, si sono aperte in particolari congiunture, come rottura di un anello debole, soprattutto nel passaggio rapido da situazioni arretrate a un'impetuosa industrializzazione (Comune di Parigi o lotte operaie radicali degli anni `60) o nel corso di acuti conflitti interimperialistici (Rivoluzione d'Ottobre) e di una traumatica decolonizzazione (rivoluzione cinese). In questi ultimi casi ristrette avanguardie operaie politicizzate sono riuscite a trascinare vaste masse popolari ribelli in un progetto socialista -che peraltro si è risolto in una modernizzazione borghese sui generis, al momento non ripetibile e comunque non ipotizzabile in paesi capitalistici avanzati. Inoltre La Grassa contesta l'analisi svolta da Lenin sull'imperialismo come ultima fase del capitalismo, ritenendone validi soltanto alcuni elementi, in particolare la definizione delle contraddizioni interimperialistiche in una fase caratterizzata da una distribuzione policentrica del potere. L'egemonia unipolare americana in un sistema rimondializzato ha cancellato questo tipo di conflittualità, che potrebbe peraltro ripresentarsi in futuro, stante il carattere ricorsivo (non di stadio irreversibile di sviluppo) delle varie fasi del capitalismo e dell'imperialismo. In ogni caso le contraddizioni future, per ora appena disegnate, dipenderanno dal conflitto interno delle frazioni dominanti (incorporate o meno a strutture politiche statuali), non dallo scontro frontale fra dominanti e dominati (che possono però inserirsi nelle crepe e ritentare il finora fallito assalto al cielo), tanto meno dall'urto fra "Impero e moltitudine". Questo approccio, fondamentalmente simmetrico rispetto, per esempio, alle tesi di un libro come Impero di Michael Hardt e Antonio Negri, vi coincide però paradossalmente nell'archiviazione della teoria del valore e nel dichiarare (almeno temporaneamente) inusabile la definizione tradizionale dell'imperialismo e irrilevante la consistenza degli stati-nazione (Usa esclusi). Lo scarto dall'ortodossia marxiana è ancora più netto, salvo restando il riconoscimento storico della dottrina e delle grandi rivoluzioni fatte in suo nome. Il punto cruciale è la cooperazione e l'emergere del general intellect come suo attributo rilevante. Si conferma così la centralità, per ogni sviluppo creativo o superamento o ricollocazione del marxismo, di un tema: la possibilità del costituirsi oggettivo di una moltitudine e del suo assurgere a fattore soggettivamente antagonistico - problema non risolto, per opposti motivi, neanche dalla citata impostazione Hardt-Negri. Viene, a tal proposito, da pensare che l'inserimento dell'ambiguità costitutiva della moltitudine plurale in uno schema rigido di antropologia conflittuale o di dialettica progressiva rischi previsioni fallaci e aporie teoretiche. L'approccio di La Grassa, il cui approccio, controvertibile e pessimistico, indica però con onesta chiarezza la crisi interna di un marxismo conseguente, a iniziale dominanza althusseriana. Dobbiamo ancora rilevare la lucida critica del keynesismo di ritorno e in genere delle illusioni "renane" della sinistra riformista e la precisa scansione dei ruoli imprenditoriali, politici e manageriali, contro ogni riduzionismo economicistico e l'assunzione acritica di ipotesi ultracentralistiche sulla struttura del capitale. Un orientamento troppo spesso più rimosso che criticato, mentre invece il testo merita attenzione e dibattito.
- Prev by Date: 20-21/03 Roma: Convegno Digital Divide
- Next by Date: i ribelli del copyright
- Previous by thread: 20-21/03 Roma: Convegno Digital Divide
- Next by thread: i ribelli del copyright
- Indice: