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modelli sociali a barcellona
- Subject: modelli sociali a barcellona
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Fri, 15 Mar 2002 18:39:56 +0100
dal manifesto 14 Marzo 2002 Modelli sociali a Barcellona A confronto nel summit spagnolo le ipotesi di Tony Blair (e Berlusconi e Aznar) per una deregulation liberista del mercato del lavoro; e quelle di Jospin, per un intervento dello stato. In discussione anche le cifre dell'occupazione ANNA MARIA MERLO - PARIGI Dopo Lisbona e Stoccolma arriva Barcellona, terzo vertice dell'Unione europea dedicato ai problemi economici e sociali. Il clima si annuncia caldo: perché, al di là degli impegni passati, noti sotto il nome di "processo di Lisbona" - che hanno posto come obiettivo generale quello di far diventare, entro il 2010, l'economia dell'Ue la più dinamica del mondo in un contesto di coesione sociale mantenuta - è giunta l'ora di precisare di quale modello sociale si tratta. L'Europa ha un solo "modello sociale" o ne ha due, contrapposti? A Barcellona è prevedibile un braccio di ferro tra due modelli, quello della "regolazione" del mercato del lavoro, difeso dalla Francia, e quello del social-liberismo, guidato dalla Gran Bretagna (alleati di circostanza Spagna e Italia); con la Germania in bilico tra i due. Questo secondo campo ha segnato un altro punto, con un nuovo documento sottoscritto da Tony Blair, dopo quello con Berlusconi, questa volta con un partner imbarazzante per la sinistra non liberista: Blair, col premier socialdemocratico svedese GÖran Persson, scrive che è indubbio che "l'Unione europea sia un successo in termini economici". Ma i due aggiungono che "dobbiamo modernizzare le nostre strutture economiche". Il termine "modernizzare" significa ormai per tutti "riformare" in senso social-liberista, in sostanza mettendo una buona dose di flessibilità nel lavoro, di "contratto tra le parti" al posto della legge. La Francia ha messo le mani avanti. Una settimana fa ha inviato ai partner un documento dove parla di necessario "equilibrio" tra la modernizzazione e la riforma da un lato e la difesa del modello sociale europeo dall'altro: che significa una presenza dell'intervento pubblico per correggere le derive del mercato lasciato a se stesso, per non lasciare ai margini la parte più debole della popolazione. Lo scontro tra i due campi riguarda anche l'interpretazione dell'obiettivo di Lisbona: aumentare l'occupazione. Il fronte social-liberista intende fermarsi ai dati grezzi, al conteggio meccanico del numero degli occupati. Il che significa privilegiare la flessibilità del lavoro e gli impieghi non garantiti. L'altro fronte insiste sulla qualità di questi posti di lavoro. Di qui lo scontro sull'Agenda sociale europea, che la Francia aveva fatto approvare al vertice di Nizza, a fine 2000. L'Agenda sociale è una piattaforma che può essere usata per "modernizzare" senza rinunciare alla qualità: formazione nell'arco di tutta la vita lavorativa, lotta contro le discriminazioni di ogni genere, misure per la salute e la sicurezza sul lavoro. Il fronte dell'attenuazione del social-liberismo puro e duro chiede inoltre anche misure di democrazia: per esempio associare di più i parlamenti nel coordinamento delle politiche economiche dei paesi membri. A Barcellona si dovrà anche fare il punto sull'applicazione della strategia di sviluppo durevole - cioè sull'introduzone dei temi ambientali nel processo di Lisbona - che era stato approvata a GÖteborg. Anche qui i due fronti rischiano di trovare un nuovo elemento di scontro - e sì che i Quindici hanno approvato il protocollo di Kyoto - visto che i vincoli ambientali sono qualcosa che il mercato senza regole difficilmente potrà rispettare. Le forze sociali, che saranno ricevute stasera dal premier spagnolo José Maria Aznar, dovranno far presente che le manifestazioni previste a Barcellona in questi giorni sono l'espressione della voce di coloro che la flessibilità la subiscono, senza che sia mai chiesto il loro parere. La Commissione, invece, ha fissato alcuni orientamenti generali per eliminare gli ostacoli che frenano la crescita dell'occupazione. Tra questi, le solite raccomandazioni di diminuire i contributi sui bassi salari e le protezioni per i disoccupati per rendere "più attrente" il ritorno al lavoro. Ma anche alcuni elementi più interessanti, come la raccomandazione di migliorare il sistema di asili-nido e di custodia dei bambini per permettere alle madri di non rinunciare al lavoro (disponibilità entro 5 anni di un posto in asilo per il 90% dei bambini da tre a sei anni e per il 33% dei bambini da zero a 3 anni).
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