i borgia a porto marghera



dal manifesto

     
    
 
    
 

22 Febbraio 2002 
  
 
 
I Borgia a porto Marghera 
I vertici Montedison conoscevano la tossicità del Pvc ben prima del '73. La
sentenza del 2 novembre stravolge fatti e diritto. E cancella i 220 operai
uccisi dai veleni della fabbrica 
LUIGI MARA * 




l processo di Porto Marghera contro la chimica di morte e la nefasta
sentenza emessa dal Tribunale di Venezia il 2 novembre 2001 sono al centro
del dibattito che si terrà domani (alle 9,30-14,00), presso la Casa della
Cultura di Milano, fra Medicina Democratica, Gianfranco Bettin (prosindaco
di Venezia), Guglielmo Simoneschi (magistrato), Vito Totire (Associazione
Esposti Amianto), esponenti di comitati popolari e delegati di fabbrica,
Maurizio Zipponi (Fiom Lombardia), Piergiorgio Tiboni (Cub Nazionale),
Fausto Bertinotti (segretario di Prc).
Non c'è dubbio che la sentenza pronunciata il 2 novembre 2001 nell'aula
bunker del Tribunale di Venezia aggiunge ingiustizia a ingiustizia e
costituisce un devastante messaggio che fa strame dei diritti umani e, in
primis, di quelli alla salute e all'ambiente salubre.
Le vittime, le centinaia di operai del Petrolchimico di Porto Marghera
colpiti da gravi malattie neoplastiche e non neoplastiche - (mortali per
220 di essi) - perché esposti, loro malgrado, ai cancerogeni cloruro e
polivinilcloruro, dicloroetano e altri tossici, sono state letteralmente
cancellate: esse non sussistono, così come i reati per i quali gli imputati
erano stati rinviati a giudizio dal giudice dell'udienza preliminare (Gup).
Ogni dubbio residuo sul carattere devastante per il diritto di questa
sentenza - per non dire dello stravolgimento dei fatti - scompare dopo la
lettura delle motivazioni, illustrate irritualmente alla stampa dal
presidente della Corte subito dopo la nefasta pronuncia.
Queste brevi note vogliono attirare l'attenzione su un nodo cruciale: il
dissenso - (sempre legittimo in uno stato di diritto e in democrazia) - non
verte sulla interpretazione della legge data dalla corte, ma sul fatto che
la legge e i fatti sono stati ignorati, quando non stravolti.
Le motivazioni rese dal presidente della corte Salvarani si possono così
riassumere:
- Tutte le malattie da Cvm sono riconducibili all'elevata esposizione
subita dagli anni Cinquanta fino ai primi anni Settanta, quando si ignorava
la tossicità del Cvm, che fu evidenziata solo nel 1973.
- Dopo quell'anno, secondo i giudici, Montedison ed Enichem "realizzarono
tempestivamente gli interventi sugli impianti necessari a ridurre
l'esposizione dei lavoratori a livelli compatibili con le norme di
protezione, che solo allora il legislatore emanò".
- "Il processo ha consentito di accertare che lo stato di inquinamento dei
canali, pur sussistente, si riferisce ad epoche in cui non esistevano norme
di protezione ambientale - hanno spiegato i giudici - che furono emanate e
rese effettive tra metà degli anni Settanta e i primi anni Ottanta. Lo
stato attuale di contaminazione dei canali e degli organismi in essi
viventi - ha concluso il Tribunale - pur essendo rilevante, non è tuttavia
tale da costituire, secondo i parametri dell'Organizzazione Mondiale della
Sanità, un pericolo reale per la salute pubblica"(Corriere della Sera, 3
novembre 2001).
Lo spazio non consente di documentare in modo approfondito, ma i fatti
ignorati dal tribunale sono così eclatanti e di una tale evidenza che la
semplice citazione e datazione di alcuni di essi, dimostra in modo
inconfutabile che le argomentazioni sostenute dalla corte sono infondate.
Infatti, le aziende in questione erano a conoscenza già negli anni '40
delle proprietà tossiche del cloruro di vinile, come risulta da una lettera
(e relativo allegato) inviata nel 1975 da Eugenio Cefis, allora presidente
della Montedison spa, al presidente del consiglio della Regione Veneto.i
Inoltre, circa le conoscenze delle aziende sulle proprietà cancerogene del
Cvm esistenti prima del 1973, merita ricordare:
- il genetista Nicola Loprieno scrive che "dal `65 erano stati condotto
sugli animali esperimenti da parte del prof. Pier Luigi Viola che
dimostravano la cancerogenità del Cvm".
- Il prof. Reggiani dell'Istituto Superiore di Sanità nella sua
testimonianza resa all'udienza del 31 marzo 2000, riferisce che il prof.
Viola gli disse che "nell'impianto di Rosignano della Solvay (accertò,
ndr)... due casi di neoplasia (...); dato che l'effetto biologico era già
stato dimostrato, lui aveva rifatto tutte le anamnesi di tutti i
lavoratori, anche qualcuno un paio di volte e alla fine era arrivato a
questa convinzione, che il cloruro di vinile fosse un agente cancerogeno".
E alla domanda posta dal Pm "quesa valutazione, questo lavoro a che epoca
risale?", così risponde il teste Reggiani: "Viola si riferiva agli anni
`66-67". Come si vede quanto scritto dal prof. Loprieno nel novembre 1974
qui trova ulteriore conferma.
- Ancora, la tossicità del Cvm, come anzidetto, era nota da molto tempo,
tanto che la multinazionale Usa Dow Chemical fin dal 1961 aveva portato il
Mac a 50 ppm in seguito a ricerche da cui risultava come a 500 ppm si
notassero irritazioni polmonari e alterazioni del fegato nei lavoratori
esposti.
Viceversa, presso il Petrolchimico di Porto Marghera, in netta violazione
dei più elementari principi di buona tecnica e di prevenzione nonché in
violazione dello stesso limite Mac Ceiling di 500 ppm proposto dalla Acgih
nel 1963, le esposizioni dei lavoratori a Cvm raggiungevano concentrazioni
di migliaia di ppm quando non di decine di migliaia di ppm. Per esempio,
nella Scheda aziendale n.58 del 6.11.1967, seconda edizione, e ancora
inserita alla fine del 1976 nei manuali operativi dei reparti Cv14 e Cv16,
di utilizzo e produzione di Cvm/Pvc, c'era scritto : "concentrazioni
tollerabili per brevi esposizioni: 16.000 ppm" (sic !).
Paradossalmente, il prof. Cesare Maltoni, citato molte volte a sproposito
dai difensori degli imputati, smentisce la "favola" che egli ha cominciato
ad occuparsi di Cvm dopo che nel 1970 il prof. Bartalini, direttore del
Servizio sanitario Montedison, lo informa degli studi di Viola. Infatti,
Maltoni scrive in epoca non sospetta (1991) "La cancerogenicità da cloruro
di vinile: la lezione" dove sottolinea che, mentre "negli ultimi anni 60 il
prof Violla, medico del lavoro della Solvay nello stabilimento di
Rosignano" conduce le sue ricerche oncologiche sul Cvm, egli, negli stessi
anni, conduceva "un'indagine sistematica, mediante monitoraggio citologico
dell'espettorato, sul rischio cancerogeno per l'apparato respiratorio, in
operai (degli stabilimenti Montedison di Brindisi e di Terni, ndr) presso
l'Istituto di Oncologia di Bologna, che metteva in evidenza una frequenza
di casi di atipie cellulari dell'epitelio respiratorio in lavoratori
esposti a Cvm maggiore di quella attesa". Qui si dimostra, in modo
inconfutabile, che quanto affermato dalla corte è infondato; infatti, la
società Montedison non solo sapeva della tossicità e cancerogenicità del
Cvm ben prima del 1973, ma almeno dagli "ultimi anni Sessanta", finanziava
un'indagine sistematica su operai dei suoi stabilimenti di Brindisi e di
Terni esposti al cancerogeno.
Che dire poi del patto di segretezza imposto dalla società Montedison alle
altre industrie europee produttrici di Cvm/Pvc e finanziatrici delle
ricerche del prof. Maltoni, affinchè i risultati delle stesse non fossero
resi noti. Di più, tale scellerato patto di segretezza fu stipulato anche
dalle società americane. Un patto di segretezza fra i massimi vertici delle
aziende in questione così esclusivo, che impediva a loro stessi di prendere
persino gli appunti durante le riunioni sulla tossicità del Cvm. Per
esempio, "nel corso di un incontro riservato che si svolse il 14 novembre
1972 presso il quartier generale del Mca (l'associazione delle industrie
chimiche americane" a Washington, quanti parteciparono alla riunione furono
invitati a non predere appunti; in effetti il rappresentante europeo
D.M.Eliott dell'Ici, un'azienda inglese produttrice di vinile "chiese con
insistenza che che tutta la carta da appunti fosse tolta dai tavoli prima
del suo intervento sul lavoro realizzato dagli europei. E così fu fatto"...".
Circa il fatto che "lo stato di inquinamento dei canali, pur sussistente,
si riferisce ad epoche in cui non esistevano norme di protezione
ambientale" di cui parlano i giudici in questione, è appena il caso di
osservare che la Carta fondamentale della Repubblica oltre a tutelare
l'ambiente, tutela la salute come diritto inviolabile della persona e bene
della collettività. Per non dire delle norme di buona tecnica che debbono
sempre essere adottate dall'impresa così come le leggi; per esempio:
l'articolo 2087 del Codice civile, i dpr n. 547/1955 e n. 303/1956 nonché
la legge del 1963 "Nuove norme relative alle lagune di Venezia e
Marano-Grado" e, segnatamente, il suo articolo 10 che, fra l'altro, recita
: "è vietato scaricare e disperdere in qualsiasi modo rifiuti o sostanze
che possano inquinare le acque della laguna..." .
Questo per prima del 1973; per il dopo lo spazio non mi consente di
argomentare oltre. Basti qui ricordare che in atti esiste una vastissima
documentazione concernente gli oltre 5 milioni di tonnellate di rifiuti
tossici industriali tumulati all'interno e all'esterno del Petrolchimico di
Porto Marghera, che tuttora costituiscono gravissime fonti di inquinamento
ambientale. A tacere degli oltre 20 milioni di tonnellate di fanghi
industriali scaricati nell'Alto Adriatico fino al 1988 dai soli cicli
produttivi degli acidi fosforico e fluoridrico.
Degli impianti di produzione del Cvm/Pvc si ricorda che gli stessi sono
stati concepiti, progettati, realizzati e gestiti a ciclo aperto ovvero per
sversare direttamente i loro reflui e rifiuti velenosi negli ambienti di
lavoro e negli ambienti esterni al Polo chimico.
Per esempio, la società Montefibre nel 1976, in un documento riservato,
scrive che "Il reparto Vt2 scarica quindi nell'atmosfera circa 950
kg/giorno di monomero che rappresenta in assoluto una quantità notevole
anche se assolutamente modesta rispetto agli scarichi nell'atmosfera di
tutti gli impianti Cvm di Porto Marghera del Gruppo Montedison (circa 15
tonn/die)". Ancora, il solo reparto Cv6 del Petrolchimico di Porto Marghera
nel 1988 scarica all'atmosfera 113.002 kg di CVM, come dichiarato dalla
stessa azienda il 30.09.1988 nel rapporto redatto dalla società di
consulenze American Appraisal, mentre i reparti Cv23, di produzione del
1,2-Dicloroetano, e Cv22, di produzione del Cvm, scaricano all'atmosfera
nel 1992, rispettivamente per i due cancerogeni : 154.000 kg e 64.000 kg
non da tutti punti di emissione degli impianti, ma solo da quattro di essi;
e si potrebbe continuare.
Nel chiudere queste note non posso esimermi dal ricordare l'aberrante
scelta aziendale, per non dire altro, di non manutenere gli impianti,
codificata - durante la presidenza Cefis - in un documento Montedison per
il triennio 1978-1980; un documento che meriterebbe di per sé una memoria.
Qui ci si limita a richiamare un suo passo: "Produzione, manutenzione e
soprattutto l'ingegneria devono farsi promotori dall'interno di questa
opera di distruzione dei dogmi, i criteri precauzionali, che in certi casi
vi è stata imposta da circostanze esterne. L'obiettivo è non manutenere e,
dovendo assicurare la capacità produttiva oggi e domani, se non si può
farne a meno, manutenere il più raramente possibile". Una programmata
violazione aziendale dei più elementari principi di buona tecnica e delle
leggi sulla prevenzione dei rischi, delle nocività, dell'inquinamento,
delle malattie e degli infortuni del lavoro, ignorata dalla corte e così
"giustificata" da uno dei cosiddetti principi del Foro, l'avvocato Federico
Stella : "Il problema di fondo è che facciamo parte di un sistema
produttivo che mette nel conto un certo numero di vittime. E lo accettiamo.
Lamentarsi delle conseguenze e trovare capri espiatori è ipocrita"
(Corriere della Sera, 3 novembre 2001).
E' già barbarie. Si tratta di posizioni umane, morali, etiche, culturali,
giuridiche e sociali inaccettabili.
* Medicina Democratica