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i rischi della svalutazione dello yen
- Subject: i rischi della svalutazione dello yen
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Wed, 16 Jan 2002 18:46:33 +0100
dal manifesto 13 Gennaio 2002 I rischi della svalutazione dello yen In 2 mesi la moneta nipponica ha perso il 10% minacciando la competitività degli altri paesi del Sud est asiatico JOSEPH HALEVI La crisi argentina rischia di apparire, dal punto di vista valutario, uno spettacolo marginale rispetto a quello pirotecnico che potrebbe scatenarsi in Asia. Recentemente i giornali economici in lingua inglese hanno dato molto risalto alle dichiarazioni del ministro delle finanze giapponese Masajuro Shiokawa in cui riconosceva che lo yen si era svalutato troppo rapidamente negli ultimi due mesi: oltre il 10% rispetto al dollaro, mentre per l'intero 2001 il deprezzamento è stata di circa il 14%. Gran parte del calo è avvenuto da fine di settembre a seguito della vendita da parte del governo di Tokyo di un ammontare di yen pari a 24 miliardi di dollari. Di fronte alla prospettiva di un ulteriore peggioramento della già declinante situazione economica mondiale il governo è ricorso alla tradizionale manovra del tasso di cambio. Il Giappone, infatti, ha delle capacità produttive enormi, ampiamente inutilizzate e non ha per nulla deindustrializzato malgrado l'ormai decennale stagnazione recessiva. Ciò significa che può ripartire su tutte le attività industriali appena si presenta l'occasione. Ma non essendoci, sia internamenente che a livello mondiale, alcun movimento spontaneo verso la ripresa, il Giappone cerca di stimolare l'economia puntando nuovamente sull'export, riducendo il tasso di cambio. L'ultimo trimestre del 2001 ha visto accelerarsi un trend già in atto: il Giappone perdeva esportazioni senza aumentare le importazioni. Le esportazioni nette sono in genere un drenaggio di domanda dal resto del mondo. Ma se queste calano perchè si abbassa l'attività internazionale significa che il paese perde sull'estero senza però contribuire alla domanda effettiva mondiale. A dicembre era arrivato poi un dato terribile in un ramo ove il Giappone è un leader mondiale, quello delle macchine utensili: ordini ed export sono diminuiti di oltre il 40% su base annua. E la produzione industriale, principale fonte del surplus estero nipponico, ha toccato in dicembre il livello più basso degli ultimi 14 anni. In queste condizioni il governo ha evidentemente ripreso a spingere lo yen verso il basso. Tale orientamento ha, però, irritato i vicini asiatici: Cina, Corea del sud e Taiwan, ma anche l'eonomicamente piccola Malaysia. La Cina, che ha mantenuto la parità con il dollaro e le cui esportazioni si orientano in maniera crescente verso prodotti più avanzati, non può permettersi di vedersi concorrenziare dall'agguerrito Giapppone soprattutto in questo periodo di vacche magre. Lo stesso vale per la Corea, il cui modello è quello giapponese per cui esporta macchine, acciaio, navi, elettronica, automobili. Cina e Corea hanno formalmente protestato presso il governo di Tokyo per il rapido calo dello yen e il ministro delle finanze coreano Jin Nyum ha detto che il suo governo sarà obbligato a deprezzare il won. Dal canto suo, il premier malese Mahathir, incontrando a Kuala-Lumpur il collega nipponico Koizumi, ha affermato che anche il ringgit verrà svalutato se continua la discesa dello yen. Vi è quindi il rischio di una guerra di cambi tipicamente neomercantlistica e recessiva. Come quelle di religione, le guerre monetarie attraverso svalutazioni competitive esprimono il degrado e la disintegrazione del sistema commerciale. Può il Giappone comportarsi diversamente? Certamente, dicono i fasulli esperti delle società borsistiche: riformare per deregolamentare. I falsi esperti hanno nel mirino i miliardi di yen depositati dai risparmiatori in conti presso le banche nazionali a bassissimi tassi di interesse. I vari fondi di investimento - Usa - vorrebbero appropriarsi di questi soldi per rilanciare la bolla speculativa. Per il Giappone però la deregolamentazione anglo-americana significherebbe innescare un processo di deindustrializzaione che non porterebbe benefici nemmeno ai grandi gruppi industriali. D'altra parte un'ulteriore svalutazione dello yen darebbe la stura ad una nuova e ben più devastante crisi asiatica. L'alternativa sarebbe un coordinamento monetario e - oggi con la crisi - anche sul piano degli investimenti tra i vari paesi della regione, Cina e Giappone in primo luogo. Però questo non è possibile perchè ci sono di mezzo loro cioè gli americani che, durante la prima crisi asiatica, hanno violentemente bloccato - con l'appoggio dell'Europa - qualsiasi proposta che uscisse dalla pura deregolamentazione dei conti di capitale voluta dal Fmi. Nella sostanza l'attuale scontro tra Tokyo, Pechino, Seul e Kuala Lumpur mostra come le contraddizioni tra l'area asiatica - la cui economia è cresciuta accorpata agli Usa, per volontà di Washington - e gli Stati uniti se le devono risolvere all'interno dell'Asia stessa, ma senza autonomia decisionale rispetto a Washington. La vicenda in corso - pur facendo risaltare la dipendenza politica, prima ancora che economica, dell'area nei confronti delle prerogative Usa - può ricadere negativamente sui rapporti interni agli Stati uniti. Il governo di Washington è favorevole alla svalutazione dello yen, che fa litigare gli asiatici tra loro e mette in difficoltà l'euro, aumentando il flusso delle esportazioni giapponesi verso l'Europa. Tuttavia anche l'America è in crisi e l'unità tra la componente politica ed economica del potere americana non è garantita per sempre. Si legge infatti in un dispaccio, legato alla vicenda dello yen, della società borsistica Bloomberg dell'11 gennaio: "negli Usa, l'Associazione nazionale delle industrie manifatturiere ha inviato una lettera al sottosegretario per gli Affari Internazionali, John Taylor, chiedendo un incontro per parlare della forza del dollaro. 'Il dollaro è diventato il fattore più negativo per i produttori manifatturieri' ha dichiarato Frank Vargo, vice presidente per gli affari internazionali dell'associazione". E' possibile che l'attuale calo dello yen, assieme alla crisi, abbia ridato fiato ai quei settori che vogliono una revisione del tasso di cambio del dollaro, spingendoli - dopo anni di silenzio - a scontrarsi con quei rami che hanno maggiormente beneficiato della trasformazione dell'economia Usa in un'economia di importazioni. Insomma, ciò che accade in Asia può diventare un problema profondamente interno agli Usa.
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