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il miracolo economico e gli affari della mafia
- Subject: il miracolo economico e gli affari della mafia
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Mon, 26 Nov 2001 06:36:51 +0100
da repubblica di mercoledi 21 novembre 2001 Il miracolo economico e gli affari della mafia GIORGIO BOCCA ---------------------------------------------------------------------------- ---- L'Italia che ci ritroviamo non è casuale, è un'Italia in notevole parte riciclata dalla mafia intesa come massiccia infiltrazione dell'economia e del costume criminale nell'economia e nel costume legali. Ed è nelle sue attuali dimensioni uno degli effetti del «miracolo economico» in un paese di fragili istituzioni pubbliche, di tradizioni borghesi recenti e di familismo anarcoide ben radicato. Difficile dire se questo familismo anarcoide abbia preceduto o seguito la mafia nella sua capitale, Palermo, ma sta di fatto che dall'unità d'Italia una cinquantina di famiglie alto borghesi hanno il monopolio della politica e dell'economia e oscillano fra regno e Repubblica, fra democrazia e autoritarismo, fra sinistra e destra o giocando le due parti in causa con sapiente distribuzione dei posti. Non mafiose quanto a uso del crimine ma predisposte a una coesistenza con la mafia. L'Italia che ci ritroviamo, notevolmente infiltrata, riciclata dall'economia e dal costume mafiosi è, dicevo, l'effetto del «miracolo», della maggior quantità di denaro in circolo, del maggior valore del denaro e della sua progressiva sostituzione alla morale corrente. La mafia del regno, nata nel feudo, arrivata nelle città come mafia dei giardini, cioè dell'acqua, aveva da offrire al potere politico molti voti ma poco denaro; quella dell'Italia miracolata, la mafia degli appalti e della droga, si è trovata con un mare di denaro da investire o come usa dire da riciclare. In uno studio di recente pubblicazione, due economisti, Silvia Giacomelli e Giorgio Rodano hanno colto un indirizzo di questo riciclo: i mafiosi investono anche a bassi ritorni in alcuni settori come l'immobiliare, il turistico, la moda, lo sport non solo perché il rischio di essere scoperti è minimo, ma perché dà loro prestigio e apre nuove strade, nuove complicità con la società civile, con la politica. Il capitalismo legale del nord ne ha ampiamente e imprevidentemente approfittato: il fiume di denaro sporco ha arricchito alcune imprese ma complessivamente ha frenato lo sviluppo. Il socio mafioso non è facilmente emarginabile, porta dentro le imprese il suo potere di ricatto, la sua cultura. E avendo poche capacità professionali per vincere la concorrenza nella qualità e nella innovazione tende al monopolio, al dominio e spesso al più sicuro duopolio con lo Stato. Il regionalismo infiltrato di alcune regioni del sud rappresenta il modello ottimo in Sicilia e in Calabria: la mafia ha avuto dalla sua il controllo armato del territorio e la presenza nei governi regionali. La presenza di operatori nati e cresciuti nella cultura criminale, secondo la legge della moneta cattiva che caccia quella buona, porta nell'economia legale la moneta cattiva ma vincente, nell'immediato, della furbizia, della menzogna e della seduzione senza pudore che al momento giusto possono tramutarsi in violenza. Così è andata in notevole parte la grande truffa della new economy che ha usato senza ritegno le persuasioni degli incapaci di intendere. Ma c'è un rischio sociale anche più forte: che i criminali presenti nelle imprese cerchino di allargare sempre di più il potere mafioso e di indebolire sempre di più i poteri di contrasto dello Stato. Il grido di trionfo «eh vai» dal sen fuggito a una avvocatessa di Giulio Andreotti all'annuncio dell'assoluzione era certamente professionale, per aver vinto una partita giudiziaria difficile, ma ripetuto in tutto il paese da quanti in quella assoluzione vedevano la conferma del sistema bipolare, criminale e legale. L'economia legale sbaglia a rallegrarsi dei favori che il governo di centrodestra le accorda quasi ogni giorno. Li pagherà a caro prezzo, al prezzo di una parte del mercato riconsegnato all'influenza criminale, di una giustizia spaccata e intimidita. Nella cultura siciliana mafiosa si sostiene che chi combatte la mafia combatte l'economia siciliana, il benessere dei siciliani. In fondo il riciclaggio del denaro mafioso è un buon affare per l'economia dell'isola, sottrae una parte dei capitali al circuito criminale e li fa rientrare in quello legale. Ma non è così, se questo è vero per i complici e per le clientele non lo è per la economica complessiva sempre stagnante e parassitaria come del resto in tutte le provincie mafiose a sviluppo lento e spesso contraddittorio e autolesionista. E infine, la tentazione irresistibile dell'operatore criminale è di sorpassare la delega dei suoi affari ai politici agli amministratori, di assumere in proprio, personalmente, le pratiche dei favori e dell'impunità. È un caso che nel Parlamento italiano ci sia un gruppo non costituito secondo le regole, ma funzionante, coeso e funzionante, il gruppo degli onorevoli con precedenti giudiziari, in corso o opportunamente cancellati?
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