il miracolo economico e gli affari della mafia



da repubblica di mercoledi 21 novembre 2001

  
Il miracolo economico e gli affari della mafia  
  
  
  
  
GIORGIO BOCCA  

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L'Italia che ci ritroviamo non è casuale, è un'Italia in notevole parte
riciclata dalla mafia intesa come massiccia infiltrazione dell'economia e
del costume criminale nell'economia e nel costume legali. Ed è nelle sue
attuali dimensioni uno degli effetti del «miracolo economico» in un paese
di fragili istituzioni pubbliche, di tradizioni borghesi recenti e di
familismo anarcoide ben radicato. Difficile dire se questo familismo
anarcoide abbia preceduto o seguito la mafia nella sua capitale, Palermo,
ma sta di fatto che dall'unità d'Italia una cinquantina di famiglie alto
borghesi hanno il monopolio della politica e dell'economia e oscillano fra
regno e Repubblica, fra democrazia e autoritarismo, fra sinistra e destra o
giocando le due parti in causa con sapiente distribuzione dei posti. Non
mafiose quanto a uso del crimine ma predisposte a una coesistenza con la
mafia.
L'Italia che ci ritroviamo, notevolmente infiltrata, riciclata
dall'economia e dal costume mafiosi è, dicevo, l'effetto del «miracolo»,
della maggior quantità di denaro in circolo, del maggior valore del denaro
e della sua progressiva sostituzione alla morale corrente. La mafia del
regno, nata nel feudo, arrivata nelle città come mafia dei giardini, cioè
dell'acqua, aveva da offrire al potere politico molti voti ma poco denaro;
quella dell'Italia miracolata, la mafia degli appalti e della droga, si è
trovata con un mare di denaro da investire o come usa dire da riciclare. 
In uno studio di recente pubblicazione, due economisti, Silvia Giacomelli e
Giorgio Rodano hanno colto un indirizzo di questo riciclo: i mafiosi
investono anche a bassi ritorni in alcuni settori come l'immobiliare, il
turistico, la moda, lo sport non solo perché il rischio di essere scoperti
è minimo, ma perché dà loro prestigio e apre nuove strade, nuove complicità
con la società civile, con la politica. 
Il capitalismo legale del nord ne ha ampiamente e imprevidentemente
approfittato: il fiume di denaro sporco ha arricchito alcune imprese ma
complessivamente ha frenato lo sviluppo. Il socio mafioso non è facilmente
emarginabile, porta dentro le imprese il suo potere di ricatto, la sua
cultura. E avendo poche capacità professionali per vincere la concorrenza
nella qualità e nella innovazione tende al monopolio, al dominio e spesso
al più sicuro duopolio con lo Stato. Il regionalismo infiltrato di alcune
regioni del sud rappresenta il modello ottimo in Sicilia e in Calabria: la
mafia ha avuto dalla sua il controllo armato del territorio e la presenza
nei governi regionali.
La presenza di operatori nati e cresciuti nella cultura criminale, secondo
la legge della moneta cattiva che caccia quella buona, porta nell'economia
legale la moneta cattiva ma vincente, nell'immediato, della furbizia, della
menzogna e della seduzione senza pudore che al momento giusto possono
tramutarsi in violenza. Così è andata in notevole parte la grande truffa
della new economy che ha usato senza ritegno le persuasioni degli incapaci
di intendere. Ma c'è un rischio sociale anche più forte: che i criminali
presenti nelle imprese cerchino di allargare sempre di più il potere
mafioso e di indebolire sempre di più i poteri di contrasto dello Stato.
Il grido di trionfo «eh vai» dal sen fuggito a una avvocatessa di Giulio
Andreotti all'annuncio dell'assoluzione era certamente professionale, per
aver vinto una partita giudiziaria difficile, ma ripetuto in tutto il paese
da quanti in quella assoluzione vedevano la conferma del sistema bipolare,
criminale e legale. L'economia legale sbaglia a rallegrarsi dei favori che
il governo di centrodestra le accorda quasi ogni giorno. Li pagherà a caro
prezzo, al prezzo di una parte del mercato riconsegnato all'influenza
criminale, di una giustizia spaccata e intimidita. 
Nella cultura siciliana mafiosa si sostiene che chi combatte la mafia
combatte l'economia siciliana, il benessere dei siciliani. In fondo il
riciclaggio del denaro mafioso è un buon affare per l'economia dell'isola,
sottrae una parte dei capitali al circuito criminale e li fa rientrare in
quello legale. Ma non è così, se questo è vero per i complici e per le
clientele non lo è per la economica complessiva sempre stagnante e
parassitaria come del resto in tutte le provincie mafiose a sviluppo lento
e spesso contraddittorio e autolesionista.
E infine, la tentazione irresistibile dell'operatore criminale è di
sorpassare la delega dei suoi affari ai politici agli amministratori, di
assumere in proprio, personalmente, le pratiche dei favori e dell'impunità.
È un caso che nel Parlamento italiano ci sia un gruppo non costituito
secondo le regole, ma funzionante, coeso e funzionante, il gruppo degli
onorevoli con precedenti giudiziari, in corso o opportunamente cancellati?