[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
un'altra globalizzazione e'possibile
- Subject: un'altra globalizzazione e'possibile
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Fri, 30 Nov 2001 19:29:21 +0100
dalla stampa di martedi 27 novembre 2001 DOPO IL VERTICE DEL WTO A DOHA, LA BATTAGLIA PER CAMBIARE LE REGOLE DEL GIOCO Un’altra globalizzazione è possibile 27 novembre 2001 di José Bové, François Dufour, Yannick Jadot e Bruno Rebelle A giudicare dalla loro aria, affaticata ma compiaciuta, i negoziatori europei sembravano contenti del compromesso raggiunto con grande sforzo a Doha nei giorni scorsi. Anche gli americani, del resto. La nostra, invece, era un'aria contrariata. Rappresentanti di organizzazioni sindacali, di cittadini, ecologisti e di solidarietà internazionale, eravamo venuti a Doha per proporre un'agenda delle trattative del tutto diversa. Chiedevamo una valutazione dell'impatto derivante dalla liberalizzazione commerciale, in particolare nel campo sociale, ambientale e sanitario; una riforma profonda dei meccanismi di negoziazione e di regolamentazione dei conflitti per rendere il Wto (l’organizzazione mondiale del commercio) trasparente, democratico e giusto; il riconoscimento da parte del Wto dei principi di cautela, sovranità alimentare, servizio pubblico, non brevettabilità del vivente; la subordinazione del diritto commerciale ai diritti civili e politici, ai diritti economici, sociali e culturali, a quelli dell'ambiente e del lavoro. In breve, reclamavamo l'avvio di una riforma del sistema di amministrazione internazionale. Utopia? Può darsi. Ma quali altre risposte dare alla deriva di giorno in giorno più drammatica della mondializzazione liberale, giacché rifiutavamo di vedere il commercio guidare le nostre società e, alla stessa maniera, rifiutavamo il ripiegamento nazionalistico? Ci sembra che il Wto si sia squalificato tanto nei metodi con i quali sono stati condotti i negoziati, quanto per la sua incapacità a instaurare un rapporto tra commercio e obiettivi sociali. Nella forma, prima di tutto. Dopo Seattle, il Wto si era impegnato a divenire più trasparente e democratico. Nei fatti, la conferenza si è svolta all'interno di un bunker con uno spiegamento di forze militari e di polizia assolutamente fuori del normale e tenendo le Organizzazioni non governative lontane dal centro nevralgico in cui avevano luogo le riunioni ufficiali. Peggio ancora, il tanto vantato nuovo multilateralismo si è ben presto trasformato nell'abituale egemonismo degli Stati Uniti e dell'Europa sui negoziati, con i due partner-avversari intenti a usare ogni mezzo di pressione, in particolare nei confronti dei paesi in via di sviluppo, per raggiungere i propri scopi: il lancio di un nuovo ciclo di negoziazioni. Evidentemente, sono riusciti nel loro intento. Ciclo dello sviluppo, ciclo della regolazione «perché dopo l'11 settembre niente sarà come prima», eccoci tutti serviti. In conclusione, quello che la conferenza ha lanciato è un ciclo di liberalizzazione. Agricoltura, servizi, merci, sono stati fissati soltanto gli obiettivi della liberalizzazione. A dispetto dell'opposizione dei paesi in via di sviluppo, nuovi temi entreranno presto a far parte della negoziazione: concorrenza, mercati pubblici, facilitazioni agli scambi e, probabilmente, investimenti. Che resta degli obiettivi sociali? L'accordo sui farmaci generici rappresenta senza dubbio un passo avanti: è la vittoria del diritto alla salute sul diritto di brevetto. Ma se i paesi poveri possono ormai produrre o procurarsi farmaci generici, le società farmaceutiche, ben rappresentate da Stati Uniti e Svizzera, non hanno ancora detto la loro ultima parola. In effetti, l'autorizzazione per alcuni paesi in via di sviluppo a esportare medicinali generici in altri paesi non è ancora cosa acquisita. Facciamo in modo che la regolazione di questo problema avvenga nel modo giusto e in tempi brevi. Soprattutto, questa vittoria apre una breccia nel diritto di brevetto che dobbiamo estendere a sementi e risorse genetiche. Ma l'albero non deve nascondere la foresta. In agricoltura, per esempio, il mandato di negoziazione per i prossimi tre anni riflette un compromesso tra gli esportatori di prodotti agricoli favorevoli al libero scambio e coloro che sostengono massicciamente la propria agricoltura. È un compromesso che non risponde né ai bisogni della stragrande maggioranza dei produttori, né alle attese di consumatori e cittadini. La difesa accanita delle sovvenzioni alle esportazioni sostenuta da Francia e Europa è una cattiva battaglia. Questo strumento, legato al modello ultraproduttivistico che noi respingiamo, si dimostra nel breve e medio periodo il peggiore nemico del produttore e del consumatore, in Europa come in Africa. Il concetto di sovranità alimentare che difendiamo e che certi politici hanno tentato di recuperare di recente, è meno legato allo Stato-nazione di quanto non lo sia ai popoli e alle società. Non si tratta per niente di ripiegamenti nazionalistici né di un generico «ognuno per sé» o «ognuno a casa sua». Ma l'importanza del problema alimentare è tale che le società devono potere scegliere la propria politica agricola e i modi di approvvigionamento, all'interno o all'esterno. Sono indispensabili regole di cooperazione internazionale, per definire i principi con i quali deve essere esercitata questa sovranità e le responsabilità di fronte agli altri paesi: interdicendo, per esempio, ogni forma di dumping negli scambi e, quindi, i sostegni alle esportazioni che assumono la forma delle restituzioni in Europa, dei crediti all'esportazione o di aiuto alimentare in America. In materia sociale, il Wto continua semplicemente a ignorare i diritti fondamentali dell'essere umano che lavora. In materia ambientale, il risultato è ancora peggiore perché si passa dall'ignoranza a una subordinazione di fatto del diritto ambientale. La delegazione europea si è accontentata del paragrafo sull'ambiente contenuto nella dichiarazione finale poiché comporta il necessario chiarimento dei rapporti tra diritto commerciale e diritto ambientale. Errore o cinismo, come si è potuto consentire agli Stati Uniti di imporre una semplice frase che stabilisce che i paesi non firmatari degli accordi sull'ambiente non saranno obbligati ad attenersi ai risultati di questo chiarimento? Questa frase non legittima soltanto l'atteggiamento irresponsabile degli Stati Uniti per quanto riguarda la ratifica delle convenzioni sull'ambiente (Kyoto per il clima, Cartagena per il commercio degli Ogm...). Essa spinge altri paesi a fare la stessa cosa per non sottostare al rispetto dei propri impegni. In una «evidente» preoccupazione nei confronti della protezione dell'ambiente, il settore dei beni e dei servizi ambientali in particolar modo sarà liberalizzato rendendo per esempio un bel servizio alle multinazionali dell'acqua o dell'incenerimento dei rifiuti. Se alcuni possono rallegrarsi di un nuovo ciclo, anche su scala ridotta, il Wto, dal canto suo, si è squalificato nel lungo periodo proseguendo nel contribuire alla globalizzazione liberale. Da parte nostra, non cesserà la battaglia sui nostri campi d'azione privilegiati per un mondo più giusto, equo e per uno sviluppo durevole. Più che mai «un altro mondo è possibile» e non ha niente a che vedere con la conferenza di Doha. Bové è portavoce della Confederazione dei contadini, Dufour è vicepresidente di Attac, Jadot è delegato generale di Solagral, Rebelle è direttore generale di Greenpeace France.
- Prev by Date: LA GUERRA DEI SISTEMI OPERATIVI
- Previous by thread: LA GUERRA DEI SISTEMI OPERATIVI
- Indice: