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Biotecnologie: Attenzione, esiste una scienza diversa
- Subject: Biotecnologie: Attenzione, esiste una scienza diversa
- From: "Silvia Marcuz" <smarcuz at libero.it>
- Date: Thu, 25 Nov 2004 17:42:18 +0100
http://magazine.enel.it/boiler/focus_dett.asp?iddoc=1084869&titolo=Focus%20-%20Attenzione%2C+esiste+una+scienza+diversa
FOCUS.Biotecnologie
Attenzione, esiste una scienza diversa
intervista con RICCARDO BOCCI di LUCA TANCREDI BARONE
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«LA CRITICA a una scienza troppo riduzionista, che interpreta la malattia su
base prevalentemente genetica, e la necessità di ritrovare un rapporto anche
con le sue cause socio-economiche mi trova perfettamente d'accordo». Lo dice
Riccardo Bocci, ricercatore dell'Istituto agronomico d'oltremare di Firenze
commentando l'articolo uscito su Trends in biotecnology. «E credo», continua
Bocci, «che questa critica si applichi perfettamente anche al campo
dell'agroalimentare e quindi alle piante».
Lei collabora con l'Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la
nutrizione, sotto le dirette dipendenze del ministero delle Politiche agricole
retto da Alemanno. Fa parte dunque del gruppo di scienziati accusati da
Veronesi di essere "oscurantisti" e "antistorici" perché contro gli Ogm.
Per la verità credo che il mio campo di ricerca, l'agronomia, sia molto più
"avanzato" per tanti versi rispetto alla ricerca biotecnologica. Gli
agroecosistemi sono dei sistemi biologici molto complessi. Non basta il
laboratorio di biologia molecolare per ottimizzare la resa di un campo. Oltre
alla biologia e alla genetica ci sono fattori economici, sociali, antropologici
che giocano un ruolo.
Cerchiamo di dare un peso a questi diversi fattori.
Quando studiavo all'università i miei professori ci ripetevano continuamente
che era sempre meglio, in un campo coltivato, ricercare resistenze poligeniche
piuttosto che resistenze monogeniche. È una questione darwinistica: la natura
reagisce molto in fretta a una pressione selettiva. Diversificare le armi di
attacco contro i parassiti rende il lavoro di selezione più difficile. Nella
pratica biotech invece è molto difficile costruire un transgene con una
resistenza poligenica: riuscire a inserire una o due modifiche genetiche è già
molto. Di più non riusciamo, semplicemente perché non riusciamo a controllare
gli effetti delle modifiche tutte insieme: non ne sappiamo abbastanza. Per
esempio, il cotone Bt (dal bacillus thurigiensis, il batterio da cui proviene
il gene che produce la tossina utile a tenere a bada uno dei peggiori parassiti
della pianta, ndr). Riusciamo a inserire solo due varietà di geni del batterio.
Davvero nulla rispetto alla complessità che la natura riesce ad esprimere.
Questo limite sulle conoscenze potrebbe però essere superato con il tempo.
Guardiamo la ricerca svolta sinora, soprattutto negli Usa. La maggior parte dei
transgeni prodotti e utilizzati sulle piante non ha nulla ha che fare con le
tecniche agricole. I maggiori passi in avanti provengono da due ambiti. La
"nutriceutica" (farmacologia applicata all'agricoltura), per produrre sostanze
biologiche utili all'uomo (come i batteri geneticamente modificati per produrre
l'insulina, un risultato importante, che peraltro risale a prima
dell'esplosione della ricerca biotech). E la produzione di piante con valore
nutritivo modificato: il golden rice, il mito di qualche anno fa, avrebbe
dovuto prevenire malattie gravi in gran parte del mondo grazie a un gene per la
provitamina A inserito artificialmente. Peccato che l'idea non sia mai
decollata: per vincere la fame e le malattie nel mondo ci vogliono,
soprattutto, volontà politica e soldi. Non pallottole d'argento.
Perché è scettico sulla ricerca "nutriceutica"?
Tutta la ricerca è utile. Ma questa sperimentazione può essere potenzialmente
pericolosa. Se viene disperso nell'ambiente il gene Bt (e succede, perché il
polline non si può fermare, e oltretutto alcune piante come la colza hanno una
percentuale di fecondazione incrociata altissima) dal punto di vista della
salute non succede nulla. E la natura, comunque, in qualche modo "riassorbirà"
la mutazione. Ma se va in giro un gene che produce un vaccino, tanto per fare
un esempio, entrando nel patrimonio genetico di una pianta non modificata e che
magari viene utilizzata per l'alimentazione, il risultato potrebbe essere che
venga espresso anche quando non lo vogliamo: "vaccinando" anche le persone che
consumano la pianta normale. Come è successo negli Usa, dove il Dipartimento
dell'agricoltura ha fatto distruggere campi di mais ogm alla ProdiGene per
questa ragione. Questi Ogm devono essere controllati ancora più severamente.
E se invece parliamo delle applicazioni prettamente agronomiche?
Le faccio un esempio realmente accaduto in Canada con la coltivazione della
colza resistente a un erbicida commercializzato dalla Novartis. Per le ragioni
che dicevo prima, in una monocoltura dopo 3 o 4 anni di uso massiccio di un
unico erbicida le piante infestanti prima o poi si adattano: e nascerà
l'erbaccia resistente che fatalmente renderà l'erbicida inutilizzabile. Con
grande danno per il contadino, oltre che per l'ambiente. Non siamo più capaci
di un approccio globale agli agro-ecosistemi, è questa la mia principale
critica all'industria del biotech e al modello di sistema agroindustriale.
Queste cose venivano studiate in agronomia già vent'anni fa: abbiamo smarrito
il senso comune.
Non lascia scampo all'approccio delle scienze biotecnologiche.
Purtroppo la ricerca oggi si occupa troppo poco di sociologia della scienza e
non studia come si produce la conoscenza: vive spesso di un modello positivista
e riduzionista, superato dai fatti. In un campo è molto più utile studiare
quale sia la soglia di tolleranza per un determinato parassita, la relazione
fra gli insetti utili e dannosi, le dinamiche di popolazione. A quel punto si
decide di agire con lo strumento opportuno, ma solo nel caso limite. Il dogma
della scienza agricola di oggi è che per ottenere l'optimum agricolo nel mio
campo non devo avere null'altro che la pianta che mi interessa. Ma questo è
falso, e non funziona. Esiste anche una scienza diversa. È il nostro modello di
scienza che va cambiato.
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