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P. Kenndy: La bomba demografica



La bomba demografica
di Paul Kennedy
Paul Kennedy è professore di storia alla Yale University. Ha pubblicato tra 
l'altro Il mondo in una nuova era 

I giornali annunciano la fine dell'incubo della bomba demografica, ma la realtà 
è più complessa

Internazionale 558, 23 settembre 2004
http://www.internazionale.it/firme/articolo.php?id=7267

Alla fine di agosto, i lettori di molti giornali saranno stati piacevolmente 
sorpresi di sapere che la "bomba demografica", che da decenni toglie il sonno 
agli esperti, sta esaurendo la sua forza dirompente. Di recente l'agenzia 
dell'Onu che ogni anno pubblica statistiche sui trend demografici ha un po' 
ridimensionato le sue previsioni.

Oggi il nostro pianeta ospita sei miliardi e 300 milioni di persone: l'agenzia 
prevede che entro il 2050 la popolazione mondiale raggiungerà il picco massimo 
e poi si assesterà su circa nove miliardi di abitanti. Non è proprio una buona 
notizia per chi dice che abbiamo già superato la soglia di sostenibilità. 
Tuttavia, si tratta di una cifra molto inferiore ai pronostici di una decina 
d'anni fa. Non c'è da stupirsi, quindi, se il rapporto ha fatto notizia. Ma 
prima di stappare lo champagne, diamo un'occhiata un po' più approfondita ai 
calcoli.

Il nostro è un mondo complesso e sul piano demografico presenta enormi divari, 
non solo tra le diverse regioni, ma anche al loro interno. Il motivo principale 
del rallentamento della crescita demografica è semplice: i tassi di natalità 
sono scesi sia nei paesi industrializzati (ma non in tutti) sia in quelli in 
via di sviluppo (anche qui, non in tutti). Di questa transizione demografica 
non c'è una sola spiegazione: gli esperti la attribuiscono soprattutto a due 
cause.

La prima è che oggi un numero sempre crescente di famiglie abita in città 
sovraffollate anziché in campagna. Avere cinque o sei figli può far comodo se 
abiti in una vecchia casa colonica: puoi metterli a badare ai polli o a 
raccogliere la legna. Se però ti sei trasferito in un monolocale di una 
bidonville di San Paolo del Brasile, tanto per fare un esempio, avere una 
famiglia numerosa è decisamente poco pratico.

C'è poi un secondo insieme di motivi legati al nuovo ruolo delle donne sia 
nelle società avanzate sia in quelle in via di sviluppo. L'aumento del numero 
di ragazze e donne che accedono all'istruzione secondaria e universitaria ha 
anche l'effetto di ridurre le dimensioni della famiglia media, tra l'altro 
perché ritarda l'età del matrimonio e aumenta le opportunità di impiego. 
Infine, in molti paesi la speranza di vita delle donne sta salendo, il che 
riduce la pressione a metter su famiglia in giovane età.

Non meno interessanti, e gravide di importanti conseguenze sul piano 
demografico, sono le novità intervenute nel mondo in via di sviluppo a livello 
di opportunità professionali e di stile di vita delle donne. Oggi davanti a una 
giovane istruita si schiudono possibilità che a sua nonna erano precluse. E se 
la ragazza lavora in uno studio legale, o gestisce un'impresa, le resta poco 
tempo (o voglia) per mandare avanti una famiglia. 

Anche se è impossibile da dimostrare in modo incontestabile, sembra ci sia una 
forte correlazione tra le aspettative sul ruolo della donna nella società e il 
tasso di natalità di un paese. Allora, questo rallentamento della crescita 
della popolazione mondiale va salutato come un segno positivo? Nel complesso, 
sì: per l'ambiente, per l'assistenza sanitaria, per la causa dell'uguaglianza 
tra i sessi.

Tuttavia, in questa situazione ci sono vari aspetti su cui riflettere. Il primo 
è l'implosione demografica dell'Europa, del Giappone e della Russia: bisogna 
puntualizzare che una società anziana è anche una società cauta e 
conservatrice, ed è difficile che si avventuri a promuovere i cambiamenti 
necessari per stare al passo con il ventunesimo secolo.

Problemi molto seri
In secondo luogo il quadro generale – con il tasso d'incremento demografico in 
calo in tutto il Nordafrica e in gran parte dell'Asia – non tiene conto delle 
eccezioni, cioè di quei paesi o regioni dove le proiezioni demografiche parlano 
di forti aumenti: per esempio lo Yemen, l'Asia centrale, l'Africa centrale e 
occidentale. Secondo le proiezioni, entro il 2050 il Pakistan, che oggi ha la 
stessa popolazione della Russia (145 milioni), dovrebbe raggiungere i 345 
milioni.

In quasi tutti questi casi, si tratta di paesi dove lo stato è disgregato o in 
via di disgregazione e soffre di conflitti interni, arretratezza sul piano dei 
diritti delle donne, situazioni ambientali disastrose e livelli spaventosi di 
povertà. C'è da preoccuparsi, mi sembra.

Un'ultima considerazione. Anche se i tassi di fecondità di tutto il mondo in 
via di sviluppo si stabilizzassero oggi stesso, ci troveremmo comunque di 
fronte a una sfida: quella posta dal miliardo e più di giovani che attualmente 
hanno un'età compresa tra i 5 e i 20 anni.

E ancora: come farà la società globale ad assistere le ragazze svantaggiate, 
che conducono una vita ben lontana dagli standard delle loro sorelle svedesi o 
canadesi? E che ne facciamo delle centinaia di milioni di giovanotti pieni di 
rabbia ed energia che, senza un'istruzione né un lavoro, invadono le strade di 
Falluja o della Striscia di Gaza?

Sono domande a cui non c'è una risposta. Tuttavia, è bene tenere a mente queste 
difficili sfide. Altrimenti rischiamo di leggere distrattamente l'annuncio che 
l'incubo della bomba demografica è finito, senza accorgerci che di problemi 
demografici ce ne sono ancora, e molto seri.