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pac di secondo tarditi.doc
- Subject: pac di secondo tarditi.doc
- From: "Gaudenzio Candeo" <f.candeo at italytrading.com>
- Date: Wed, 30 Jun 2004 20:21:17 +0200
L'insostenibile spreco di risorse della Pac Secondo Tarditi07-06-2004
La Politica agricola comune (Pac) costa alle famiglie europee oltre cento
miliardi di euro all'anno. Oltre l'80 per cento dei sussidi alle
esportazioni pagati nel mondo sono finanziati dai contribuenti europei, che
pagano anche i tre quarti circa di sussidi agricoli finalizzati al sostegno
dei prezzi. Gli effetti sui mercati internazionali sono molteplici e
significano minor benessere e minor ricchezza non solo per i paesi poveri.
Il problema si aggrava ora con l'estensione della Pac ai nuovi Stati membri
Ue. Eppure di questo grande spreco di denaro pubblico si parla molto poco.
Sono numerose le questioni sollevate dalla Politica agricola comune, la
cosiddetta "Pac": a partire dalla sua importanza nel contesto delle
politiche comunitarie, fino ai suoi effetti nell' Unione europea e a
livello globale. Nuovi problemi sorgono poi adesso, con l'estensione di
questa politica ai nuovi paesi membri dell'Unione.La politica agricola
nell' Unione europeaNonostante l'incidenza dell'agricoltura nelle economie
sviluppate si riduca gradualmente a poche unità percentuali del prodotto
lordo o dell'occupazione, la politica agricola è molto importante a livello
europeo: costa al contribuente circa la metà delle spese del bilancio
dell'Unione. Attraverso il sostegno dei prezzi agricoli genera inoltre un
ulteriore trasferimento di reddito dai consumatori ai produttori che,
secondo stime dell'Ocse, è anche maggiore del trasferimento di bilancio.
Possiamo quindi dire che la Pac costa alle famiglie europee oltre cento
miliardi di euro all'anno, più dell'intero bilancio dell' Unione europea e
più dello stesso prodotto netto agricolo. Questa cifra equivale a oltre
mille euro all'anno per una famiglia di quattro persone e in media oltre
16mila euro per occupato (equivalente tempo pieno) in agricoltura. Gran
parte delle spese nazionali e regionali non sono incluse in queste cifre.
Naturalmente, una parte di questo costo sostenuto dai cittadini europei è
ben giustificato: le spese per stabilizzare i prezzi agricoli, per tutelare
i consumatori sul piano sanitario e l'ambiente rurale, per favorire lo
sviluppo di aree svantaggiate o la ristrutturazione delle imprese e
l'abbassamento dei costi di produzione, per migliorare lo sviluppo
tecnologico e l'efficienza delle imprese agricole e di quelle di
trasformazione e di commercializzazione dei prodotti alimentari. Purtroppo,
queste spese costituiscono una parte minoritaria.Che cosa non funzionaLa
maggior parte dei trasferimenti di reddito che la Pac convoglia dai
cittadini al settore agricolo è ancora direttamente o indirettamente
associata alla produzione di merci che non trovano uno sbocco sul mercato.
I prezzi sul mercato comunitario sono fissati ogni anno a Bruxelles dal
Consiglio dei ministri agricoli a un livello più alto di quello che si
avrebbe in una economia di libero mercato. Di conseguenza, si riduce la
domanda interna e si aumenta l'offerta, creando eccedenze invendute che
sono costate molti miliardi di euro ai cittadini europei. Ricordiamo tutti
le così dette "montagne di burro" e di "latte in polvere" dei decenni
passati, che venivano vendute all'allora Unione Sovietica a un prezzo che
spesso non pagava i costi di trasporto. Questo costo di bilancio era ben
visibile ai contribuenti. Meno percepito era invece il maggior prezzo di
molti prodotti agricoli pagati dai consumatori, in quanto nessuno sapeva
quale sarebbe stato il prezzo di mercato senza la Pac.Per evitare il
pessimo effetto che questi crescenti sprechi di denaro pubblico avevano
sull'opinione pubblica, si è ricorso ai sussidi all'esportazione.
Sussidiando le esportazioni si aumenta a spese dei contribuenti (quindi
slealmente) l'offerta sui mercati internazionali, deprimendone i prezzi,
specialmente se chi sussidia le esportazioni è una "grande nazione" come l'
Unione europea, ovvero il più grande mercato agroalimentare del mondo. Gli
effetti di questo "dumping" sono proporzionali alla dimensione dei mercati.
Per esempio, l' Unione europea, nonostante le quote di produzione, spende
oltre 1.500 milioni di euro all'anno per sussidiare le esportazioni di
prodotti lattiero caseari: l'effetto sui prezzi internazionali non può
essere trascurabile. Anche i sussidi alla produzione distorcono i prezzi
sul mercato internazionale. Se l'Unione Europea, che realizza oltre i tre
quarti della produzione mondiale di olio d'oliva, sussidia con 3.200
milioni di euro all'anno i suoi produttori, gli effetti sul residuo piccolo
mercato mondiale, costituito prevalentemente dai paesi mediterranei non
comunitari, possono essere ingenti. Gli olivicoltori dell'Albania e di
alcuni paesi del Nord Africa, per esempio, non raccolgono parte delle olive
nonostante i loro bassi redditi e il basso costo del lavoro: ciò è molto
probabilmente dovuto anche alla nostra Pac. Oltre l'80 per cento dei
sussidi alle esportazioni pagati nel mondo sono finanziati dai contribuenti
europei. E inoltre paghiamo circa i tre quarti dei sussidi finalizzati al
sostegno dei prezzi a livello della produzione. (1) Gli effetti della
distorsione dei mercati internazionali sono molteplici e, di solito, si
traducono in minor benessere e minor ricchezza per tutti.Controllo della
produzioneL'intervento della Unione europea sui mercati agricoli non solo
manipola i prezzi con barriere doganali e sussidi alle esportazioni, ma in
vari comparti produttivi condiziona direttamente la quantità prodotta. Si
tratta di strumenti fortemente contrari allo spirito con cui è nata e si è
sviluppata la Comunità europea, tipici delle economie centralizzate.Si è
mascherato l'eccesso di risorse nel settore con le quote di produzione e
con le sovvenzioni agli agricoltori per lasciare incolto una parte del
terreno coltivabile, la così detta "messa a riposo dei seminativi" o
"set-aside". Attualmente, i cittadini europei, come contribuenti, pagano
circa 1.700 milioni di euro all'anno per convincere gli agricoltori a non
coltivare oltre il 10 per cento dei seminativi. Come consumatori, pagano un
ulteriore trasferimento di reddito, probabilmente ancor più elevato, perché
il fine principale di questi interventi è ridurre l'offerta e mantenere
prezzi elevati sul mercato. Questa politica potrà certo favorire i grandi
produttori di cereali e vari proprietari fondiari, ma non si può dire che
faccia l'interesse dei cittadini europei.Gli sprechi di risorse sono così
molto meno visibili, anche se probabilmente maggiori di quando le eccedenze
si distruggevano, si regalavano, o se ne sussidiava l'esportazione, cosa
che peraltro facciamo ancora. Cosa dovrebbe fare la Ue per i paesi più
poveri e per i nostri produttoriUna sincera politica di aiuto nei confronti
dei paesi più poveri dovrebbe favorire il trasferimento delle nostre
tecnologie di produzione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti
agricoli, aiutandoli a migliorare le loro strutture produttive, a ridurre i
costi di produzione e a diventare più competitivi sul mercato
internazionale. Nel breve termine questo può ridurre le rendite in qualche
comparto produttivo comunitario, ma nel lungo termine si rivela utile per
tutti, favorendo il miglior sfruttamento possibile a livello internazionale
delle risorse disponibili.Questa ricetta vale anche per il mercato interno.
L' Unione europea dovrebbe aiutare i produttori a realizzare rapidamente
una ristrutturazione della produzione agricola compatibile con le attuali
condizioni del mercato internazionale, rinunciando a mantenere barriere
agli scambi e a controllare la produzione. In linea di principio tutti -
dal governatore della Banca d'Italia ai ministri economici del Governo,
agli esperti o ministri ombra dell'opposizione - sono d'accordo
nell'affermare che bisogna ridurre la spesa assistenziale, a pioggia, per
favorire la spesa in investimenti. Ma l'impressionante trasferimento di
redditi che la Pac orienta sul settore agricolo è in larga maggioranza "a
pioggia", volto a sostenere i ricavi dei produttori così come sono adesso,
anche se i loro prodotti non sono richiesti dai consumatori. Gli aiuti agli
investimenti sono inferiori al 5 per cento del totale dei trasferimenti. In
questo modo si congela una struttura produttiva inefficiente.Quali paesi
sostengono la Pac?In linea di principio, maggiormente responsabili a
livello europeo di questi aspetti negativi della Pac dovrebbero essere i
paesi, come la Francia, che beneficiano del sostegno dei prezzi in quanto
esportatori netti di prodotti agricoli. I paesi importatori netti, come il
Regno Unito o l'Italia, sono costretti a pagare le loro importazioni
intracomunitarie a prezzi maggiorati, trasferendo reddito dai loro
cittadini ai produttori dei paesi esportatori. Nella realtà non è sempre
così. Alcuni paesi, come il Portogallo e l'Italia, pur essendo importatori
netti, spesso favoriscono misure protezionistiche anche per accontentare le
loro lobby agricole. D'altro canto paesi di tradizione liberista, come
l'Olanda, pur essendo grandi esportatori di prodotti agroalimentari
prendono spesso posizioni progressive e riformiste sulla Pac.La riforma che
non risolve i problemiCome è avvenuto per i numerose riforme precedenti
(2), a prima vista la recente riforma della Pac sembra risolvere la crisi.
In realtà, non viene sostanzialmente modificato il parametro fondamentale
del protezionismo agricolo, cioè il flusso di trasferimenti di reddito
dalle famiglie al settore agricolo. Gran parte di questi trasferimenti non
raggiungono nemmeno gli agricoltori in quanto sono sprechi netti di risorse
o si disperdono fra gli intermediari che forniscono agli agricoltori
materie prime e mezzi tecnici oppure operano nella trasformazione e
distribuzione dei prodotti. La riforma Fischler presentata un anno fa
riduce l'accoppiamento di questi trasferimenti alle singole coltivazioni,
ma non riduce sufficientemente i trasferimenti stessi. Ad esempio, i
trasferimenti che i produttori di cereali ricevevano negli anni Ottanta
come sostegno dei prezzi, dopo la riduzione della protezione alla frontiera
sono stati chiamati "pagamenti compensativi", pagati dal bilancio
comunitario per evitare shock violenti alla produzione. Invece di
smantellarli in pochi anni per permettere la ristrutturazione della
produzione secondo i nuovi prezzi di mercato, la Pac li ha sostanzialmente
mantenuti, chiamandoli "aiuti al reddito". Ora si riducono solo del 5 per
cento entro il 2012, e si giustifica il restante 95 per cento con presunti
benefici ambientali che derivano da queste coltivazioni. La Pac e i nuovi
paesi dell'UnioneLa Pac è stata estesa anche ai nuovi dieci paesi membri
dell'Unione. Il primo effetto prevedibile è un grande aumento dei
trasferimenti all'agricoltura da parte dei contribuenti e dei consumatori
di quei paesi. Ma anche a spese nostre, perché il reddito pro capite nei
nuovi paesi è molto più basso del nostro e il loro contributo alle nuove
spese del bilancio dell'Unione è proporzionalmente minore. La Direzione
generale dell'agricoltura della Commissione europea ha stimato che
l'aumento dei redditi agricoli sarebbe superiore al 70 per cento. Questo
non potrà non aumentare l'offerta di prodotti, nonostante le quote di
produzione e la messa a riposo dei seminativi. E dunque invece di ridursi,
lo spreco di risorse in agricoltura aumenterà. Se il sostegno dei ricavi
agricoli poteva avere una giustificazione negli anni Sessanta, quando i
paesi fondatori della Cee erano molto deficitari di prodotti agroalimentari
e volevano stimolarne l'offerta interna, ora non ha alcun senso aumentare i
ricavi dei produttori nei nuovi paesi membri, se non quello di mantenere
l'attuale sostegno ai nostri produttori in un mercato unico. Pensiamo a
quanti usi alternativi per lo sviluppo economico e sociale di quei paesi
avrebbero potuto avere queste risorse economiche. Oltre a gravare sulle
famiglie più povere, che spendono una quota maggiore del loro reddito in
prodotti alimentari, peggiorando la distribuzione del reddito, gli aiuti a
pioggia aumenteranno le rendite fondiarie, e ritarderanno l'aggiustamento
strutturale dell'agricoltura in quei paesi, riducendone la competitività
internazionale.Elezioni europee e politica agricolaIn questa campagna
elettorale si parla tanto di Iraq, di Bush e di problemi internazionali.
Molto poco si discute delle politiche applicate dalla Unione europea e in
particolare della politica agricola, che pure è stata storicamente la
politica di settore più importante e che ancora adesso è quella che genera
una maggiore ridistribuzione del reddito fra i cittadini europei. E una
delle cause degli errori più grandi attuali e del passato è stata proprio
un'informazione molto carente e distorta. Il dibattito politico e il
processo decisionale a Bruxelles sono fortemente condizionati da uno
squilibrio di potere contrattuale. Da un lato, alcune lobby dei produttori
che beneficiano maggiormente dei trasferimenti sono molto ben finanziate e
organizzate. Dall'altro lato, i cittadini, che ne pagano il costo, non sono
organizzati per difendere i loro interessi. Le organizzazioni dei
consumatori potrebbero certo svolgere un ruolo attivo nella difesa degli
interessi generali della collettività in questo settore, ma non sembrano
molto interessate ad affrontare approfonditamente questi problemi,
obiettivamente complessi e specialistici.Di fronte a questo squilibrio di
pressioni sulla stampa e sul processo decisionale della Pac, è
comprensibile, anche se non giustificabile, che gli operatori politici si
lascino trascinare dalla corrente. Non ci resta che sperare in nuovi
operatori politici meno compiacenti nei confronti degli interessi di parte
e più sensibili a quelli di tutti i cittadini europei. Parlarne prima delle
elezioni europee, è certamente utile. (1) I sussidi inclusi dal Gatt-Wto
nelle così dette scatole "arancione" e "blu" in contrasto con le politiche
incluse nella "scatola verde" che non distorcono i prezzi in modo
rilevante.(2) Negli anni Novanta, si sono susseguite la riforma Mac-Sharry
del 1992, l'accordo Gatt nel 1994 e Agenda 2000 nel 1997
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