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Rrassegna stampa: I DEBITI CREMONINI SFIORANO IL DOPPIO DELPATRIMONIO



Tempi duri per le grandi aziende alimentari italiane. Indiscrezioni parlano
di problemi anche per il gruppo Cremonini (il patron degli amburger e del
catering veloce.... treni, autostrade, etc) che si affretta a smentire e
anzi a dimostrare numeri alla mano che il suo business è florido e di
grandi prospettive. Si dimentica il gruppo di spiegare che il suo benessere
si fonda sulla iniqua e ridicola cifra con cui ritira oggi le vacche ed i
vitelli: in un mercato drogato da interessi di lobbyes che con lo strumento
del decreto sulle quote latte obbliga alla dismissione centinaia di stalle
ancora sane e produttive, all'allevatore per una vacca da latte od un
vitello spettano ben 50 *uro!!!

a cura di AltrAgricoltura Nord Est
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tratto da Green Planet - 17/01/04

I DEBITI CREMONINI SFIORANO IL DOPPIO DEL PATRIMONIO
Storia di un'azienda cresciuta tutta nel mondo della polpetta. Le vendite a
McDonald e la mucca pazza

«E dire che stiamo chiudendo un anno record, il migliore della nostra
storia con una crescita prevalentemente organica di 130 milioni di euro e
un netto miglioramento dei margini», sbotta l'amministratore delegato
Vincenzo Cremonini, secondo dei quattro figli di Luigi, il fondatore del
gruppo.
Già, questa storiaccia della Parmalat proprio non ci voleva. Da quando il
vicino impero del latte è finito al centro di una delle più colossali
vicende economicogiudiziarie che l'Italia ricordi, con il corredo di
manette e interrogatori di manager in prima pagina che rievocano la
tangentopoli dei primi mesi, anche sui conti di altri regni alimentari
lungo la via Emilia il livello di attenzione degli investitori è cresciuto.
E cominciano a diffondersi voci su altri indebitamenti, ai limiti della
sostenibilità. Articoli e voci «non veritiere» secondo una pronta smentita
dell'azienda. Ce n'è abbastanza per fare un salto a Castelvetro, ai piedi
della collina modenese, dove si trova il quartiere generale del gruppo
Cremonini, un gigante con quasi 5000 dipendenti e 1,7 miliardi di fatturato.
«Debiti in crescita? sorride il trentanovenne manager ma se siamo ai
livelli più bassi degli ultimi anni! Grazie a un'attenta gestione
operativa, pur in presenza di una importante crescita aziendale,
l'indebitamento finanziario netto è in calo, secondo gli obiettivi».
Davvero? Nonostante gli investimenti sul macello più grande d'Europa?
Nonostante l'acquisto delle mortadelle parmensi Ibis e il ricorso al
credito per 100 milioni di euro del maggio scorso? «In calo», ripetono a
Castelvetro, aprendo i quaderni dei conti.
La posizione finanziaria netta che alla fine del 2002 era di 487,4 milioni,
è scesa a 470,5 milioni al 30 settembre e si prevede inferiore a 430
milioni a chiusura del 2003. Calano, ma restano una montagna se confrontati
al patrimonio netto (274,5 milioni).
Già, rispondono ancora alla Cremonini, ma il rapporto debito/patrimonio che
un anno fa era 2,8, è sceso a 1,7 in settembre e scenderà ancora.
Infine, fanno notare, è comunque «inferiore a un terzo del fatturato».
Tutto a gonfie vele, allora?
«Un pizzico di preoccupazione dopo quello che abbiamo scoperto alla
Parmalat è inevitabile dice Giordano Giovannini, che in Emilia guida gli
alimentaristi della Cgil però, per quello che siamo in grado di sapere in
un'azienda con la quale i rapporti sono difficili, è quasi tutta
produzione, pochissima finanza. E un certo livello di indebitamento nelle
aziende del settore, costrette a crescere, è inevitabile, perfino
necessario».
Nessuna somiglianza tra Parmalat e Cremonini, aggiungono altri, salvo un
particolare: nella finanziaria di Tanzi figura tra gli altri il
vicepresidente della Cremonini, l'avvocato milanese Paolo Sciumè.
«Una certa quota di debiti, se acquisti il bestiame e incassi dopo 120
giorni è inevitabile. Ma questa è un'azienda con poca finanza e molta
ciccia», conferma Pierluigi Natalini, fino a qualche anno fa presidente
della concorrente Unibon. Natalini, come tanti da queste parti, vede in
Cremonini «un'altra storia emiliana».
Anche qui, è vero, c'è un padre/padrone venuto dal nulla che da una piccola
bottega, soddisfacendo gli appetiti degli italiani e poi degli europei, ha
costruito un impero a tavola. Ma questo, dicono a Castelvetro, non è un
impero virtuale, di carta. Di carne, semmai. Montagne di bistecche e di
hamburger, tagliate a milioni nel più grande macello d'Europa a Lodi.
Preparate, confezionate e vendute nei supermercati Marr, servite in
carrozza sui treni e nelle stazioni di mezza Europa e nei McDonald's del
Belpaese. Da qui, 41 anni fa, è iniziata l'avventura di Luigi Cremonini.
Nel '66 fonda l'Inalca destinata a diventare la prima azienda di
macellazione e vendita di carne bovina in Italia. Così grande che si
mangerà la carne Montana.
Prima, però, c'è l'avventura dei fast food, con il marchio Burghy: negli
anni Ottanta dello sbarco delle polpette americane sulla penisola arriva ad
avere 96 ristoranti. Ma è una guerra costosa quella contro gli hamburger a
stelle e strisce.
Cremonini si ferma prima di essere travolto da una valanga di debiti. Nel
'95, vende tutto a Mc Donald's. Due risultati in un colpo: riduce il debito
e si assicura per molti anni la fornitura di carne a Mc Donald's. Da quel
momento, via l'olio, il vino e l'acqua minerale.
Ci si concentra sulla carne. Una ristrutturazione che fa andare il gruppo
come un treno. Anzi, sul treno.
Cremonini si aggiudica, infatti, il servizio in carrozza sui Tgv francesi,
persino sul collegamento LondraParigi sotto la Manica. E conquista stazioni
su stazioni in Italia. La locomotiva si ferma solo quando si trova sul
binario una mucca pazza.
Botta pesante la Bse: fa crollare le vendite di bovini nel 2000 e nel 2001.
«Ma forse è stata una fortuna» confiderà Luigi Cremonini «le crisi spingono
agli accorpamenti e ti costringono a migliorare».
E il treno della crescita riparte.
Repubblica Affari e finanza, 12 gennaio 2004
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