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Fabiocchi NEWS 9 Dicembre 2003



Newsletter Eco-Internazionalista www.ecquologia.it 
-Australia: Greenpeace contro la distruzione della foresta Styx in Tasmania
-El Salvador: il trattato commerciale CAFTA deve includere protezioni per i diritti violati dei lavoratori
-ONU: Sub-commissione UNHCHR approva le norme per la responsabilita' d'impresa transnazionale
-Indonesia: Il 75% delle foreste e' scomparso negli ultimi decenni, rimasti 60 mln di ettari
-Global: Gli stati potranno rifiutare l'importazione di pesticidi vietati altrove
-Spagna: Appello all'UE contro la distruzione del delta del fiume Ebro
-Laos/UE: La BEI non deve finanziare la miniera di rame
-Kazakistan: Una diga di 11 km condanna a morte il Mar D'Aral 
-Indonesia: Liberta' di informazione in pericolo in Aceh
-Ingushetia: La chiusura del campo per sfollati Ceceni non deve comportare il ritorno forzato
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Appello al Ministro Maroni per la responsabilita' d'impresa
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Australia: Greenpeace contro la distruzione della foresta Styx in Tasmania
Novembre/Dicembre 2003 - Sei attivisti provenienti da 4 paesi (Australia, Giappone, Canada e Germania) si sono stanziati sugli alberi della foresta Styx, nel sud est della Tasmania, nel tentativo di salvarla dalle motoseghe della Gunns Limited. La foresta Styx ospita specie di alberi latifoglie tra i piu' alti al mondo, tanto che possono raggiungere l'altezza di 85 metri (il piu' alto raggiunge i 96 metri). Secondo gli attivisti, i paesi importatori dovrebbero produrre la carta con il legno delle piantagioni, non con quello delle foreste vergini secolari. Senza la protesta delle due organizzazioni, Greenpeace e Wilderness Society, la foresta Styx potrebbe essere distrutta in pochi mesi. Greenpeace e WS chiedono al governo Australiano di istituire un parco nazionale (che coprirebbe un'area di 15,000 ettari) e riconoscere la possibilita' che sia riconosciuto com Patrimonio dell'Umanita', come ha raccomandato l'UNESCO. Le operazioni di taglio metterebbero a rischio anche alcune specie di animali minacciate come l'Accipiter novaehollandiae e l'Aquila audax. La Gunns Limited frantuma gli alberi in trucioli di basso valore per trasformarli in carta. Il prodotto e' esportato prevalentemente in Giappone per essere usato dalla Nippon e dalla Mitsubishi. Gli attivisti chiedono di scrivere a queste aziende per spingerle a non acquistare i prodotti della Gunns. Un parlamentare Tasmaniano del partito laburista ha ricordato che la maggior parte delle foreste secolari nell'isola sono gia' protette e che dal 2010 il taglio di queste foreste sara' vietato. Ma gli ambientalisti puntano al fatto che la Tasmania da sola esporta piu' legname di alberi secolari che tutti gli altri stati Australiani messi insieme. Solo il 25% dell'area forestale originale e' rimasta intatta, e 1/3 di cio' che e' rimasto rischia di essere tagliato. I cittadini Tasmaniani ricavano solo 10$ per ogni tonnellata di legno; la Gunns Limited ha ricavato 419 milioni di dollari esportando 5 milioni di tonnellate nel 2000, mentre i Tasmaniani hanno ottenuto solo 25 mln di dollari in royalties, denunciano i Verdi Australiani. Le operazioni di taglio prevedono che, una volta rasa al suolo la foresta e rimossi gli alberi utili, degli elicotteri lancino una sostanza petro-chimica nell'area deforestata per evitare che ricrescano gli alberi; infatti la zona sara' riutilizzata per far posto alle piantagioni commerciali di alberi. Questa operazione danneggia la fauna locale, compresi i wombati. Il sito dell'iniziativa attraverso cui e' possibile scrivere alle compagnie Giapponesi che acquistano i prodotti della Gunns e': http://weblog.greenpeace.org/tasmania/ Fonte: ENS, Greenpeace Australia, Australian Greens; traduzione di Fabio Quattrocchi fabiocchi@ecquologia.it www.ecquologia.it  

Il link diretto dell'appello e' http://www.greenpeace.or.jp/cyberaction/tasmania/form_en_html

El Salvador: il trattato commerciale CAFTA deve includere protezioni per i diritti violati dei lavoratori
4 Dicembre 2003 - Secondo un rapporto di Human Rights Watch, i diritti umani dei lavoratori in El Salvador sono sistematicamente violati dai datori di lavoro, mentre il governo spesso li facilita o comunque non punisce i colpevoli. Dall'8 al 12 Dicembre, El Salvador partecipera' al round finale dei negoziati USA-CAFTA (Central America Free Trade Agreement), un trattato commerciale tra USA e paesi centro americani con profonde implicazioni per i diritti dei lavoratori. I datori di lavoro in El Salvador, afferma HRW, sanno che se violano i diritti dei dipendenti, non c'e' alcuna conseguenza e il governo potrebbe persino aiutarli a compiere questi abusi. Il CAFTA deve includere strumenti adeguati per prevenire gli abusi, ma l'attuale proposta viene meno a questa richiesta. Il rapporto denuncia che spesso i datori di lavoro pagano i salari con ritardo, non retribuiscono gli straordinari, si appropriano dei contributi dei lavoratori per la sicurezza sociale, impedendo loro di ricevere assistenza sanitaria gratuita. Ma soprattutto, usano una miriade di tattiche per violare il diritto di associazione dei lavoratori. I datori di lavoro licenziano o sospendono i membri o i leader dei sindacati, spingono i lavoratori a rinunciare a essere membri del sindacato, e negano il posto di lavoro a chi crea "problemi". In questo clima ostile, solo il 5% dei lavoratori del paese sono iscritti a sindacati. I lavoratori sono spesso sfortunati se tentano di chiedere dei risarcimenti per queste violazioni. I sindacalisti licenziati illegalmente non hanno diritto al reintegro. Invece, la multa per il licenziamento e' talmente bassa che, quando imposta, e' vista come un piccolo costo che non intacca l'attivita' economica. Secondo l'International Labor Organization (ILO), i pesanti requisiti necessari per la registrazione al sindacato sono "eccessiva burocrazia" che "infrange gravemente i principi di liberta' di associazione." Il Ministro Salvadoregno per il Lavoro peggiora ulteriormente il problema interpretando in maniera molto stretta e precisa i requisiti, con la finalita' di impedire l'iscrizione sindacale. Anche le poche protezioni esistenti sono fatte rispettare poco. Gli ispettori del governo non seguono le procedure di ispezioni legalmente richieste: non parlano con i lavoratori, negano loro i risultati delle ispezioni e non multano i datori di lavoro che commettono abusi. Se i lavoratori si rivolgono ai tribunali del lavoro per ottenere qualche tipo di risarcimento, trovano lunghi ritardi e spesso insormontabili ostacoli procedurali. La legge non consente protezione alcuna per gli "informatori" che testimoniano in favore dei loro colleghi licenziati, e non c'e' alcuna garanzia che le sentenze favorevoli al lavoratore siano attuate. Nei numerosi casi in cui i datori di lavoro chiudono la loro fabbrica e fuggono, le procedure giudiziarie possono fermarsi completamente perche' la legislazione Salvadoregna non prevede meccanismi che portino a termine il caso giudiziario se l'imputato non e' rintracciabile. Gli ispettori inoltre sono molto pochi: 37 per una forza lavoro di 2.6 milioni di unita'. Negli ultimi anni, gli USA hanno mandato milioni di dollari in assistenza per risolvere questa mancanza di risorse. Ma i soldi hanno fatto poco per migliorare il rispetto dei diritti umani dei lavoratori. Secondo HRW, il CAFTA dovrebbe includere forti previsioni a protezione dei diritti dei lavoratori, ma l'attuale proposta di accordo non contiene nulla di cio'. Se la proposta fosse adottata cosi' come e', il trattato commerciale richiederebbe ai paesi di far rispettare le leggi esistenti, anche se esse, come quelle dell'El Salvador, non rispettano gli standard internazionali. Invece, il CAFTA dovrebbe richiedere leggi locali sul lavoro che rispettino le norme internazionali, e stabilire un meccanismo di transizione per assicurare che le pratiche lavorative di quei paesi rispettino gli standard fondamentali prima di ricevere i benefici commerciali previsti dal trattato. L'El Salvador godra' di abbondanti benefici per le merci fatte dai lavoratori i cui diritti sono sistematicamente violati, se il trattato non includera' quei meccanismi. Il rapporto e' disponibile a questo URL anche in lingua Spagnola: http://www.hrw.org/reports/2003/elsalvador1203/ Fonte: Human Rights Watch; traduzione di Fabio Quattrocchi fabiocchi@ecquologia.it www.ecquologia.it 

ONU: Sub-commissione UNHCHR approva le norme per la responsabilita' d'impresa transnazionale
13 Agosto 2003 - La Commissione ONU per la Promozione e la Protezione dei Diritti Umani ha approvato la bozza delle "norme sulle Responsabilita' delle Compagnie Transnazionali e delle Altre Imprese in relazione ai Diritti Umani." Il documento elenca le responsabilita' delle multinazionali per i diritti umani e dei lavoratori, e fornisce linee guida per le compagnie che operano nelle zone in cui sono in corso conflitti. Le Norme proibiscono anche la corruzione e le attivita' che danneggiano i consumatori e inquinano l'ambiente. Secondo Human Rights Watch, questo testo e' il piu' completo e autorevole a livello internazionale sulla responsabilita' di impresa; e queste norme colmano un forte gap nella protezione dei diritti umani nel mondo. Il documento non e' una legge o un insieme di standard vincolanti, ma puo' essere adottato dai governi e dalle multinazionali. La loro analisi potrebbe fornire una base concettuale per uno strumento legalmente vincolante sulla responsabilita' delle multinazionali dato che le norme sono un'autorevole interpretazione delle responsabilita' alla luce del diritti internazionale sui diritti umani. "Alla fine vorremmo vedere degli standard legalmente vincolanti per le aziende" ha detto un rappresentante di HRW, "ma questo e' un primo passo positivo." Le norme iniziano a chiudere qualsiasi scappatoia a tutto il mondo economico e non solo alle compagnie transnazionali. Molte aziende che adottano codici di condotta volontari si sono lamentate per il fatto che i loro concorrenti non adottano gli stessi codici a loro vantaggio economico. Queste norme, tuttavia, si rivolgono a tutto il mondo economico. Le nuove norme estendono la responsabilita' d'impresa a tutta la catena di produzione e rifornimento, cosicche' una multinazionale che non ha mai usato lavoro minorile nelle proprie operazioni sara' resa responsabile per usare dei fornitori che invece lo fanno. Il testo della Sub-commissione dovra' ora passare alla prossima sessione della Commissione che si terra' nel Marzo del 2004. Il testo del documento e' disponibile a questo URL: www.piudiritti.it/documenti/Norme-onu-it.pdf (in inglese: www.unhchr.ch/pdf/55sub/38AV_Rev1.pdf ). Quest'altro URL e' per firmare la petizione sulla responsabilita' d'impresa da inviare al Ministro Maroni www.piudiritti.it/partecipare.php Fonte: Human Rights Watch; Amnesty Int.; traduzione di Fabio Quattrocchi fabiocchi@ecquologia.it www.ecquologia.it  

Indonesia: Il 75% delle foreste e' scomparso negli ultimi decenni, rimasti 60 mln di ettari
Dicembre 2003 - Il WWF ha denunciato che diverse banche e compagnie Europee stanno contribuendo alla distruzione della foresta di Tesso Nilo, una delle foreste pluviali piu' ricche al mondo, situata sull'isola di Sumatra. Secondo l'organizzazione, il 64% - o 315,000 ettari - della foresta di Tesso Nilo, rifugio dei rari elefanti di Sumatra e centro unico per la diversita' della flora, e' stato convertito in vaste piantagioni industriali dalla meta' degli anni '80. Le materie grezze prodotte da queste piantagioni diventano carta per fotocopiatrici, cartone, margarina e grasso vegetale per dolci negli uffici e nelle case Europei. Le istituzioni finanziarie Europee come l'Inglese Barclays Bank e la Tedesca Deutsche Bank, assieme a diverse agenzie di credito alle esportazioni di tutto il mondo, condividono la responsabilita' di questa distruzione, in quanto hanno fornito prestiti a due fabbriche di pasta di legno vicino Tesso Nilo. Il WWF chiede alle banche e alle agenzie di credito alle esportazioni coinvolte nella distruzione della foresta di usare la loro influenza come creditrici e sviluppare severi schemi di investimento per evitare investimenti distruttivi di questo tipo in futuro. Non farlo significherebbe avere alti rischi di non restituzione del debito e contribuire all'ulteriore distruzione delle foreste. Il WWF sta negoziando con le aziende che operano nella zona, sia produttrici che acquirenti, per fermare la conversione della foresta Tesso Nilo, ottenerne la protezione e fermare la distruzione di altri 400,000 ettari di foresta delle foreste adiacenti. Il WWF chiede quindi a tutte le parti di legare qualsiasi accordo sulla restituzione del debito a condizioni ambientali che non permettano l'ulteriore distruzione di aree forestali ad alto valore ecologico. Inoltre, l'organizzazione sta svolgendo intense azioni di lobby sulle autorita' Indonesiane per designare Tesso Nilo come Parco Nazionale. La foresta e' situata tra 3 aree che gia' godono dello status di protezione. Il WWF sta proponendo che queste aree siano legate al richiesto Parco Nazionale di Tesso Nilo da corridoi naturali. In questo modo, potrebbe svilupparsi un'area protetta di 600,000 ettari in cui gli animali come gli elefanti possano spostarsi liberamente senza creare conflitti con la popolazione. Attualmente gli elefanti di Sumatra hanno sempre meno aree di rifugio e di conseguenza vanno a cercare nutrimento nelle piantagioni, creando significative perdite economiche, e non e' raro che questi conflitti finiscono con la morte degli elefanti. Secondo quanto riportato dal Jakarta Post, l'Indonesia ha perso il 75% delle foreste negli ultimi decenni, lasciando intatti solo 60 milioni di ettari. Negli ultimi 5 anni circa 43 mln di ettari delle foreste Indonesiane sono state danneggiate. La Banca Mondiale prevede che se il tasso di deforestazione dovesse continuare a questo ritmo l'Indonesia potrebbe perdere le foreste di Sumatra entro il 2005, e quelle del Borneo entro il 2010. La deforestazione selvaggia e' la causa principale di inondazioni. Lo scorso Novembre una inondazione ha ucciso piu' di 100 persone. Alcune foto della distruzione di Tesso Nilo sono visibili a questo URL: www.maanystavat.fi/april/gallery/index4.htm Il rapporto del WWF sulla distruzione di tesso Nilo e' scaricabile da quest'altro URL http://www.panda.org/downloads/forests/elephantforestsonsale.pdf Fonte: WWF Int.; traduzione di Fabio Quattrocchi fabiocchi@ecquologia.it www.ecquologia.it

Articoli correlati: 
Indonesia: APRIL ha distrutto 220,000 ettari di foresta
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Global: Le Agenzie di Credito all'Esportazione vanno riformate
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Global: Gli stati potranno rifiutare l'importazione di pesticidi vietati altrove
26 Novembre 2004 - L'Armenia e' stato il cinquantesimo paese a ratificare la Convenzione di Rotterdam (Prior Informed Consent treaty) sul commercio di pesticidi. Il trattato, che entrera' in vigore il prossimo 24 Febbraio, fornisce un sistema di avvertimento preventivo per il commercio di pesticidi pericolosi. Richiede cioe' che il paese importatore sia informato quando un pesticida o un'altro prodotto chimico che sta importando e' vietato in altri paesi per ragioni sanitarie o ambientali, e da' al paese ricevente il diritto di rifiutarne l'importazione. Questo approccio di frenare il commercio di pesticidi e' stato ideato da Pesticide Action Network International nei primi anni '80 in risposta alla vendita selvaggia ai paesi in via di sviluppo di pesticidi vietati in alcuni paesi industrializzati. Un'ingente quantita' di sostanze chimiche veniva venduta a quei paesi che non avevano la capacita' di regolare o il diritto di rifiutare questi carichi tossici. Per esempio, nel 1991 alcune compagnie Americane hanno esportato 92 tonnellate di DDT, vietato negli USA dal 1972. I porti Statunitensi registrano che tra il 1997 e il 2000 hanno attraversato i confini internazionali 1.5 milioni di tonnellate di pesticidi; ogni anno in quello stesso periodo almeno 100,000 tonnellate erano pesticidi vietati o severamente regolati negli USA. La lista delle sostanze chimiche che gli stati hanno diritto a rifiutare attualmente comprende 32 sostanze di cui 27 sono pesticidi. Durante i negoziati del trattato, le questioni del dibattito erano il numero di divieti nazionali necessari per far scattare il diritto a rifiutare la sostanza, e cosa costituisce la "prova della pericolosita'", specie in paesi dove mancano agenzie sanitarie e ambientali. Dare forza legale al trattato e' uno dei segnali che indica che la comunita' internazionale si muove verso gli approcci di tipo precauzionale che forniranno protezione reale per la salute umana e l'ambiente. Il direttore dell'UNEP ha detto che la Convenzione di Rotterdam fornira' un sistema efficace per evitare molti degli errori fatti nei decenni passati quando c'era meno coscienza dei pericoli delle sostanze tossiche. Tra i paesi che non hanno ancora ratificato ci sono USA, Francia, Spagna e Cina. Il sito della convenzione e' http://www.pic.int Fonte: PANNA; traduzione di Fabio Quattrocchi fabiocchi@ecquologia.it www.ecquologia.it  

Articolo correlato:
USA: ONU condanna le esportazioni di sostanze chimiche
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Spagna: Appello all'UE contro la distruzione del delta del fiume Ebro
Dicembre 2003 - Il prossimo 16 Dicembre, la Commissaria Europea per l'ambiente, Margot Wallstrom, decidera' sulla legalita' del progetto di deviazione delle acque del fiume Ebro. E' probabile che la decisione sara' favorevole al progetto, nonostante i suoi impatti negativi e la palese violazione delle direttive comunitarie. Se verra' approvato, il Commissario per le politiche regionali fornira' i fondi di cui la Spagna necessita per costruire le infrastrutture. Il delta dell'Ebro, uno dei siti palustri piu' importanti in Europa, potrebbe scomparire se andasse avanti il piano per deviare le sue acque dalla Spagna settentrionale alla regione sud-orientale. Il progetto prevede la deviazione di 1050 ettometri cubici all'anno, corrispondenti a un terzo dei consumi totali di acqua del paese, attraverso la costruzione di 118 dighe e la creazione di un condotto idrico lungo 900 km. Il governo Spagnolo sostiene che l'acqua e' necessaria per l'agricoltura, ma probabilmente promuovera' un incremento del turismo e lo sviluppo urbano incontrollato in una regione gia' rovinata da hotel e palazzi. Molti esperti indipendenti sono contrari al piano e sostengono che e' una risposta antiquata ai vecchi problemi di approvvigionamento di acqua e non tiene in considerazione le moderne tecniche di gestione idrica. Secondo il WWF, il progetto inaridira' il delta, flora e fauna scompariranno e gli uccelli migratori di tutta Europa e Africa non potranno fermarsi nel delta nel percorso di migrazione. Il costo dell'intero progetto sara' 22 miliardi di euro, un terzo dei quali il governo Spagnolo spera di ottenerli dall'Unione Europea, pagati quindi dai contribuenti dell'Unione. Il WWF chiede di scrivere alla Commissaria Wallstrom entro il 16 Dicembre per chiederle di bocciare il piano. Si puo' spedire un'email tramite questo URL:
http://www.passport.panda.org/campaigns/action_email.cfm?uCampaignId=401&uActionId=941
Fonte: WWF Int.; traduzione di Fabio Quattrocchi fabiocchi@ecquologia.it www.ecquologia.it  

Laos/UE: La BEI non deve finanziare la miniera di rame
Dicembre 2003 - Questo mese la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) decidera' se fornire un prestito di 60 milioni di euro ad una miniera di rame in Laos. La miniera Sepon attualmente e' usata per estrarre l'oro usando il cianuro, ma le operazioni estrattive potrebbero allargarsi al rame. Il sito si trova in una regione di fiumi e foreste altamente importanti dal punto di vista biologico. I rifiuti della miniera minacciano l'ambiente locale e i mezzi di sostentamento della popolazione. Alcuni villaggi sono gia' stati spostati per dar spazio alla miniera, e le terre sacre delle popolazioni indigene sono state distrutte. Secondo Friends of the Earth, l'ulteriore sviluppo minerario nella zona non servira' ad alleviare la poverta' dato che quasi tutti i profitti andranno fuori dal Laos agli investitori esteri; contravviene alle linee guida della Banca Mondiale sulle operazioni minerarie, soprattutto per l'inquinamento dei fiumi; minaccera' le specie acquatiche in via d'estinzione, come 3 specie ittiche e una tartaruga del fiume Nam Kok; privera' la popolazione locale dei mezzi di sostentamento a causa dell'inquinamento dei fiumi; il piano non comprende un programma per la chiusura della miniera, essenziale per evitare che i rifiuti tossici fuoriescano; e distruggera' centinaia di ettari di foresta. Per questi motivi Friends of the Earth chiede di mandare un'email alla BEI attraverso questo URL: http://www.foei.org/cyberaction/laos.php Per info approfondite sulla miniera Sepon: http://www.foei.org/publications/pdfs/laos.pdf L'organizzazione ecologista chiede anche di mandare un'email al governo delle Filippine che sta cercando di approvare una legislazione molto permissiva sulle operazioni di estrazione mineraria: infatti permettera' di gettare i rifiuti minerari in mare e indebolira' i processi democratici per impedire alle comunita' indigene di opporsi ai progetti estrattivi. L'email puo' essere mandata tramite questo URL: http://www.foei.org/cyberaction/philippinemines.php 
Fonte: FoE-I; traduzione di Fabio Quattrocchi fabiocchi@ecquologia.it www.ecquologia.it  

Kazakistan: Una diga di 11 km condanna a morte il Mar D'Aral 
29 Ottobre 2003 - una diga di 11 km sta per essere costruita in una piccola parte del Mar D'Aral settentrionale in Asia centrale, un progetto descritto come il peggiore disastro ambientale del mondo. Il Mar D'Aral, diviso tra le ex repubbliche sovietiche del Kazakistan e dell'Uzbekistan, si sta prosciugando da 25 anni, da quando l'URSS aveva cominciato uno schema d'irrigazione di vasta scala che deviava l'acqua dai due affluenti per la coltivazione del cotone e del riso nel deserto. Due progetti di salvataggio tentati nel passato sono falliti e uno dei due fiumi ha cessato di scorrere. In alcuni posti la profondita' dell'acqua e' diminuita da 54 a 28 metri e il ritiro ha lasciato le vecchie navi abbandonate in quella che adesso e' terra desertica. Il Kazakistan, che faceva affidamento sul pesce del mar D'Aral, ha deciso di abbandonare gran parte del mare costruendo una diga per estrarre le acque del secondo affluente a nord. E' parte di una guerra idrica con l'Uzbekistan, che ha fermato l'afflusso di acqua del fiume Amu-Daria nel sud del mare. La tensione tra i due stati e' aumentata dopo alcuni incidenti di confine, e l'Uzbekistan ha vietato l'accesso all'intera parte del mare entro il suo territorio sia ai turisti che alle agenzie di soccorso. L'ultimo che e' stato nel posto ha riferito che la popolazione che in passato si sosteneva con la pesca e l'agricoltura adesso sopravvive solo grazie agli aiuti alimentari nel deserto salato. Cancro e collasso del rene e del fegato sono comuni sia negli adulti che nei bambini. Mentre chi protesta in Uzbekistan viene chiuso in prigione. Il Kazakistan dice che il suo fiume, il Syr-Daria, da solo non puo' tenere vivo l'intero mare. In effetti l'acqua finisce nella zona morta meridionale del mare. Il governo sta spendendo 70 milioni di euro ricavati dallo sfruttamento petrolifero per ridurre le perdite al Syr-Daria dovute all'irrigazione. Costruendo una diga attorno a quella che e' adesso una stretta lingua di terra arida il governo spera di ripristinare le popolazioni ittiche e ridurre le tempeste di sabbia. La Banca Mondiale sta finanziando la diga. Cinque paesi - Kyrgyzistan, Tajikistan, Turkmanistan, Uzbekistan e Kazakistan - usano i due fiumi per l'irrigazione da secoli. Ma l'area irrigata si e' espansa da 6 milioni di ettari negli anni '60 a 8 milioni e il mare ha cominciato a prosciugarsi anche perche' l'acqua usata in agricoltura evapora prima ritornare in mare. Un diplomatico Britannico a Dushanbe, in Tajikistan, ha detto che c'e' tensione fra gli stati per la spartizione dell'acqua, se entro 10 anni non cambia nulla ci potrebbe essere un conflitto armato. Per risanare il mare sono necessari 1000 chilometri cubi di afflusso di acqua all'anno, ma adesso arrivano solo 110 chilometri cubi e quasi tutti dal nord. Il sud del mare ottiene poche gocce. La linea costiera e' arretrata in media di 250 km, il livello di salinizzazione e' cresciuto drammaticamente, e le acque lasciano dietro un impasto salato di pesticidi e altri minerali. La parte settentrionale e' in condizioni migliori per il modesto afflusso del Syr-Daria e tre specie di pesci sono sopravvissute, ma il sud e' virtualmente morto. Un direttore dell'International Fund for Saving the Aral Sea, un'organizzazione interstatale presieduta dal Presidente dell'Uzbekistan Karimov, ha detto che e' pronto un piano d'azione che prevede la coltivazione di piante che necessitano di quantita' minori di acqua e l'uso di metodi moderni per ridurre del 50% i consumi di acqua. Uno degli ultimi ad aver visitato la parte meridionale del mare, in Uzbekistan, ha detto che la popolazione e' in uno stato terribile, beve dalle fosse di fango, che e' cio' che rimane del fiume un tempo vigoroso. L'uomo, che lavora per un'agenzia di assistenza, ha detto che era stato proposto un piano per spostare la popolazione, ma l'Uzbekistan lo ha respinto. "Adesso nessuno ha idea di cosa sia accaduto alla gente che stavamo cercando di aiutare" ha riferito l'uomo. Mappe e approfondimenti sul Mar D'Aral sono disponibili a questo URL: http://www.grida.no/aral/main_e.htm Fonte: The Guardian; traduzione di Fabio Quattrocchi fabiocchi@ecquologia.it www.ecquologia.it  

Indonesia: Liberta' di informazione in pericolo in Aceh
26 Novembre 2003 - Il governo Indonesiano ha proibito ai giornalisti del paese ed ed esteri di informare la campagna militare in Aceh, dove si stanno compiendo gravi violazioni dei diritti umani, ha denunciato Human Rights Watch in un rapporto. Le forze di sicurezza Indonesiane e i guerriglieri separatisti hanno intimidito i giornalisti presenti nella provincia. Il rapporto documenta le restrizioni sulla liberta' di informazione dopo che il governo Indonesiano lo scorso 19 Maggio ha dichiarato lo stato di emergenza militare in Aceh e ha rinnovato la guerra contro il Movimento per la Liberazione della provincia di Aceh (GAM). Il 6 Novembre il governo ha esteso la legge marziale in Aceh di altri sei mesi. Le notizie dalla regione lo scorso Luglio hanno sottolineato diversi esempi di esecuzioni di civili dall'esercito Indonesiano, spostamenti forzati della popolazione, e scarsita' di necessita' di base come cibo, assistenza sanitaria e accesso all'educazione. Da quando e' entrata in vigore la legge marziale, le forze di sicurezza Indonesiane hanno intimidito fisicamente e verbalmente i giornalisti in Aceh. Alcuni militari hanno detenuto arbitrariamente i corrispondenti nel campo. In un caso, i membri delle forze speciali Indonesiane, Kompassus, il 4 Luglio hanno picchiato un radio-giornalista Indonesiano che stava informando sulle condizioni dei civili Acehnesi che fuggivano dalla campagna militare. Anche il GAM ha intimidito i giornalisti: il 29 Giugno ha rapito due reporters e si e' rifiutato di rilasciarli. Il governo Indonesiano sostiene di proteggere i giornalisti cacciandoli dalla provincia, ma cio' dimostra che e' sempre piu' preoccupato di nascondere i crimini che le truppe stanno compiendo. In Aceh, dice HRW, la stampa libera e' cruciale per rendere i criminali sia dell'esercito Indiano che del GAM responsabili delle loro azioni. Il governo Indonesiano ha gravemente ristretto l'accesso alla regione per i corrispondenti esteri attraverso una serie di regolamenti emanate da Giugno. La pressione sui reporter Indonesiani ha comportato l'autocensura dei media nazionali, assicurando assenza di notizie critiche sul conflitto. Il governo ha negato l'accesso anche ai diplomatici, a osservatori internazionali indipendenti e alle organizzazioni che difendono i diritti umani. Ha vietato alle agenzie umanitarie ONU e non governative di lavorare nella provincia. L'attuale offensiva militare Indonesiana in Aceh e' iniziata il 19 Maggio dopo che un cessate il fuoco di 6 mesi non e' servito a risolvere il lungo conflitto. L'offensiva militare in Aceh e' la campagna militare piu' grande dall'invasione di Timor Est del 1975. L'operazione coinvolge 30,000 truppe, contro i 5,000 membri armati del GAM. Per maggiori info sul conflitto in Aceh: http://www.warnews.it/index.cgi?action=topics&viewcat=aceh Fonte: Human Rights Watch; traduzione di Fabio Quattrocchi fabiocchi@ecquologia.it www.ecquologia.it  

Ingushetia: La chiusura del campo per sfollati Ceceni non deve comportare il ritorno forzato
5 Dicembre 2003 - Le autorita' Russe hanno annunciato la chiusura di un altro campo di sfollati Ceceni in Ingushetia (un regione confinante con la Cecenia). Amnesty International e' preoccupata che la chiusura del campo di tende "Alina" -  il terzo chiuso in un anno - comportera' il ritorno involontario di sfollati nella Repubblica Cecena senza garanzie per la loro sicurezza. Amnesty International ha ricevuto credibili notizie di intimidazione e maltrattamento degli sfollati in relazione alla chiusura degli altri campi in passato. Secondo l'UNHCR (Alto Commissariato ONU per i Rifugiati), 103 famiglie del campo vogliono essere spostate in un altro campo in Ingushetia, mentre 72 famiglie prevedono di ritornare in Cecenia. Amnesty International chiede alle autorita' Russe di assicurare che nessuno degli sfollati sia costretto a ritornare in cio' che continua ad essere un ambiente insicuro. L'organizzazione chiede alle autorita' anche di garantire che siano forniti un alloggio adeguato e i necessari servizi e strutture alle famiglie che ritornano in Cecenia cosi' come quelle che rimangono in Ingushetia. Fonte: Amnesty Int.; traduzione di Fabio Quattrocchi fabiocchi@ecquologia.it www.ecquologia.it 

Petizione per l'amministrazione provvisoria ONU in Cecenia
http://www.radicalparty.org/chechnya_appeal/form.php?lang=it