[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]
Fwd: Brindisi: "PETROLCHIMICO: MORTI SENZA COLPEVOLI?"
- Subject: Fwd: Brindisi: "PETROLCHIMICO: MORTI SENZA COLPEVOLI?"
- From: Alessandro Marescotti <a.marescotti@peacelink.it>
- Date: Sat, 17 May 2003 08:09:16 +0200
Anche se il forum si è svolto, è interessante leggere il documento in coda.
A.M.
>From: "Maurizio Portaluri" <maporta@libero.it>
>To: "Identità principale" <portaluri@hotmail.com>
>Subject: Brindisi: "PETROLCHIMICO: MORTI SENZA COLPEVOLI?"
>Date: Fri, 16 May 2003 11:10:52 +0200
>X-Mailer: Microsoft Outlook Express 5.50.4522.1200
>
>Si allega anche il documento che verrà presentato
>
>FORUM AMBIENTE SALUTE E SVILUPPO
>
>in collaborazione con Acli, Legambiente e Medicina Democratica
>
>BRINDISI
>
>
>
>promuove il CONVEGNO
>
>"PETROLCHIMICO: MORTI SENZA COLPEVOLI?"
>
>BRINDISI Venerdì 16 maggio 2003 ore 17
>presso la “Casa del Turista” – Lungomare Regina Margherita
>(nei pressi dell’Hotel Internazionale)
>
>
>
>Introduce e conclude
>
>Avv. Carlo DE CARLO
>
>Coordinatore del Forum
>
>
>
>Intervengono
>
>Maurizio PORTALURI
>
>Medicina Democratica
>
>
>
>Grigio ASSENNATO
>
>Docente Universitario Medicina del Lavoro
>
>
>
>Carlo BRACCI
>
>Medico Legale Patronato Nazionale ACLI
>
>
>
>Francesco FERRANTE
>
>Direttore Generale Legambiente
>
>
>
>Modera
>
>Michele DI SCHIENA
>
>Magistrato
>
>
>
>Durante l’incontro verrà presentato un documento con alcune annotazioni
>critiche sulla vicenda
>
>
>
>Seguirà dibattito
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>(Nel rispetto della legge 675/96 e quindi nelle misure di sicurezza e
>riservatezza previste, secondo quanto previsto dall'art. 13, potete
>richiedere la cancellazione mandando un e-mail all' indirizzo
><mailto:giancanuto@libero.it>giancanuto@libero.it con oggetto CANCELLAZIONE.
>
>
FORUM AMBIENTE SALUTE E SVILUPPO
CONVEGNO
"PETROLCHIMICO: MORTI SENZA COLPEVOLI?"
BRINDISI 16 maggio 2003
CONSIDERAZIONI GENERALI
Abbiamo appreso che lo scorso anno è stata depositata presso la Procura
della Repubblica del Tribunale di Brindisi una Consulenza Tecnica in merito
ai decessi di alcuni dipendenti del petrolchimico esposti a cloruro di
vinile monomero (CVM).
Le risultanze di tale consulenza tecnica, secondo quanto si ritiene in
alcuni ambienti interessati al caso e secondo le notizie ripetutamente
diffuse dalla stampa locale, potrebbero indurre la magistratura (vi sarebbe
già una richiesta in tal senso) a decidere l'archiviazione del procedimento
per i reati di omicidio colposo con conseguente preclusione del passaggio
alla fase dibattimentale che la legge destina, quando sussistano le
condizioni per accedervi, ad ogni possibile approfondimento in
piena pubblicità e nel massimo dispiegamento del contraddittorio fra gli
assunti accusatori e le tesi difensive.
Il decesso di molti lavoratori del Petrolchimico professionalmente esposti
a sostanze tossiche, che ha dato luogo qualche anno addietro all'apertura
di una inchiesta penale, non pone solo una ineludibile questione di
giustizia ma, col suo carico di sofferenze e di drammi umani, costituisce
anche una rilevantissima questione morale e sociale. E la questione
etico-sociale finisce per essere in qualche modo collegata alla questione
penale dal momento che è necessario affrontare lo sconcertante problema in
tutta la sua complessità, ovviamente con le dovute distinzioni degli ambiti
di competenza ma senza improprie separazioni, per cercare di capire quale
delle possibili verità sia quella "vera" e per rispondere così agli
inquietanti interrogativi che turbano l'opinione pubblica locale ed
angosciano i lavoratori. E gli interrogativi sono appunto i seguenti.
I dipendenti del Petrolchimico esposti negli ambienti di lavoro a CVM e
negli anni scorsi deceduti chiamano in causa precise responsabilità penali
e, conseguentemente, anche civili? Un eventuale provvedimento di
archiviazione dell'inchiesta penale sarebbe del tutto rassicurante alla
luce dell'esito degli accertamenti sinora effettuati o potrebbe essere il
frutto di inesatte valutazioni peritali e forse anche di difficoltà
d'indagine dovute ad oggettive inadeguatezze organizzative ed operative? Ed
in ogni caso sono ravvisabili per quanto è accaduto precise responsabilità
sociali e politiche?
Da qui il senso dell' "incontro" promosso dal Forum non certo per portare
"in piazza" un processo ma per fare in modo che la tragica vicenda non sia
solo affrontata, e malauguratamente chiusa senza rassicuranti esiti, nelle
aule di giustizia ma divenga sempre di più oggetto di attenzioni, di
analisi, di approfondimenti, di denunce e di stimoli da parte dell'intera
comunità brindisina in un dolorante collegamento con le consimili tragedie
avvenute a Porto Marghera, Manfredonia ed in altre analoghe realtà. Una
partecipazione dei cittadini ed un coinvolgimento delle espressioni sociali
che non siano solo episodici ma divengano "permanenti" e durino fino a
quando non sarà fatta vera luce su quanto è accaduto e fino a quando - per
dirla con parole mutuate dalla Carta Costituzionale - non saranno rimossi
gli ostacoli che impediscono alle famiglie delle vittime e , più in
generale, ai lavoratori che reclamano una maggiore sicurezza di poter far
valere le loro ragioni ed i loro diritti in condizioni di sostanziale
uguaglianza rispetto ai soggetti forti con i quali purtroppo rischiano di
venire spesso in perdente rapporto.
Ed allora, nell'assoluto rispetto dell'autonomia e dell'indipendenza della
magistratura, valore nel quale pienamente ci riconosciamo nella radicata
convinzione che la giustizia deve essere amministrata "in nome del popolo"
da giudici che siano "soggetti soltanto alla legge", ci sia consentito
esprimere alcune opinioni in merito ai criteri che, sulla base delle
informazioni disponibili, riteniamo abbiano potuto guidare le conclusioni
del citato accertamento tecnico che potrebbe portare all'archiviazione
dell'inchiesta. Opinioni che manifestiamo non tanto criticando quei
criteri, scelta che potrebbe comportare il rischio di collocarci fuori
dall'ambito che ci è proprio, quanto richiamando l'attenzione di tutte le
realtà interessate e dell'intera opinione pubblica sui seguenti principi di
ordine generale che confidiamo siano tenuti presenti nella vicenda
giudiziaria in questione:
1. nel processo penale gli accertamenti peritali sono certo in alcuni
casi necessari ma l'ultima parola spetta sempre al giudice ("peritus
peritorum") che non può meccanicamente assumerne le risultanze senza
sottoporle ad una attenta ed articolata valutazione che può portare anche a
disattendere tali esiti o a disporre, quando se ne ravvisino le condizioni,
il rinnovo dell'indagine tecnica;
2. nell'esperienza giuridica "causa" è ogni circostanza che si
inserisce nel corso normale degli eventi provocando un cambiamento nel loro
usuale succedersi sicchè, con riferimento all'esperienza umana, va
considerata causale quella condotta alla quale segue sempre, o - quando la
certezza è impossibile come può ritenersi talvolta in materia di tumori -
con un significativo grado di probabilità, il verificarsi dell'evento
dannoso o pericoloso;
3. nell'affrontare il problema dell'imputabilità causale la ricerca
delle fasi causali necessarie e la spiegazione dell'evento, con elevato
grado di credibilità razionale, si presenta agevole ove si consideri che
nessun modello di esperienza è spiegabile nella sua integrità e che non si
può pretendere di rendere intelligibile l'intero meccanismo di produzione
dell'evento lesivo;
4. in tema di nesso di causalità la legge penale accoglie il principio
della equivalenza delle cause riconoscendo il valore interrutivo della
serie causale solo a quelle che sopravvengono del tutto autonomamente e
svincolate dal comportamento del soggetto agente;
5. in materia di rapporto eziologico, di cui all'art. 41 c.p., tutti
gli antecendenti in mancanza dei quali l'evento dannoso non si sarebbe
verificato ( con certezza o, come nel caso di alcune patologie, con elevato
grado di probabilità ) devono considerarsi cause, abbiano essi agito in via
diretta e prossima od in via indiretta e remota, salvo il temperamento per
il quale la causa prossima sufficiente da sola a produrre l'evento esclude
il nesso causale tra questo e le altre cause antecedenti facendole scadere
a rango di mere occasioni. Con la conseguenza che per escludere che un
determinato fatto abbia concorso a determinare un danno non basta affermare
che il danno stesso avrebbe potuto verificarsi anche in mancanza di quel
fatto ma occorre dimostrare, avendo riguardo a tutte le circostanze del
caso concreto, che il danno si sarebbe ugualmente verificato senza
quell'antecedente.
Ciò premesso, noi riteniamo che nel caso delle morti dei lavoratori del
Petrolchimico esposti a CVM debba ovviamente essere rigorosamente accertato
per ogni singolo caso se vi è stata tale esposizione e , nell'ipotesi
positiva, quale ne sia stata la durata e l'intensità. E debba essere
accertato altresì se i decessi sono avvenuti per patologie tumorali o altre
gravi malattie legate da rapporto di causalità alla suddetta esposizione
nociva, sempre che vi sia assenza di concause "sopravvenute…da sole
sufficienti a determinare l'evento". Per quanto attiene, in particolare,
alle concause riteniamo poi - alla luce del principio giurisprudenziale
dianzi ricordato al punto 5 e di recente ribadito dalla Suprema
Corte (Cass Civ Sez III, 13 novembre 2000, n 12103) - che per attribuire
ad una concausa la forza di privare l'esposizione a CVM del ruolo di
"causa" occorre accertare che l'evento-morte si sarebbe verificato
ugualmente senza l'antecedente costituito appunto dall'esposizione alla
sostanza tossica. Argomento questo che sottolineiamo con determinazione
avendo motivo di ritenere, almeno fino a documentate informazioni di segno
diverso, che la menzionata consulenza tecnica ha ribaltato l'indicato
ordine di idee utilizzando l'esistenza di semplici concause, prive del
connotato della assoluta eccezionalità e perciò non "da sole sufficienti a
determinare l'evento", per conferire di fatto ed impropriamente ad
esse forza autonoma ed esclusiva nella produzione dell'evento medesimo con
conseguente esclusione del rapporto causale tra l'esposizione dei
lavoratori al CVM e l'insorgere delle malattie che ne hanno determinato la
morte.
Le considerazioni che precedono ci portano ora a dire qualcosa sulla
questione centrale e cioè sulla sussistenza di un rapporto di causalità tra
l'esposizione dei lavoratori al CVM ed i loro decessi. Ed a riguardo
riteniamo, in linea generale e senza riferimento ai casi specifici, che sia
utile richiamare le più autorevoli acquisizioni scientifiche in materia.
EVIDENZE SCIENTIFICHE
Va innanzitutto osservato che nel petrolchimico di Brindisi sono stati
accertati decessi e malattie correlabili ad esposizioni lavorative al
cloruro di vinile monomero (CVM). E’ noto che è stata condotta su
disposizione dei magistrati una indagine epidemiologica sul gruppo di
lavoratori esposti che avrebbe evidenziato un eccesso statisticamente
significativo di due tipi particolari di tumori, l’epatocarcinoma (CE) e i
tumori del sistema emolinfopoietico.
· Si sa anche il riscontro di un eccesso statistico di una
particolare neoplasia in un gruppo operaio rispetto alla popolazione
normale consente di attribuire alle esposizioni professionali di quel
gruppo di lavoratori un ruolo causale nell’insorgenza di quella neoplasia.
· Circa la relazione tra esposizione a CVM e patologie tumorali
epatiche è stato sostenuto da coloro che si oppongono al riconoscimento del
rapporto tra CVM e CE che la letteratura scientifica esaminata fornisce
evidenze ampiamente sufficienti a supportare l'ipotesi che l'esposizione
prolungata a CVM può provocare l'insorgenza di angiosarcoma epatico (ASF).
A loro dire non altrettanto si può affermare per altre forme tumorali a
carico del fegato ed in particolare per CE. Tale ipotesi - sempre a loro
dire - può essere ragionevolmente sostenuta esclusivamente nei casi in cui
un ruolo di principali fattori di rischio per il CE (per esempio
un'infezione da virus epatico B o C) può essere escluso. A conclusioni
opposte giungono però gli studi dell'Agenzia Internazionale per la Ricerca
sul cancro (IARC), istituzione dell'Organizzazione Mondiale della
Sanità, che già nel 1987 oltre a riconoscere la relazione tra ASF e CVM
concludeva : "diversi studi confermano che l'esposizione a CVM causa altre
forme tumorali, vale a dire epatocarcinomi, tumori al cervello e al polmone
e neoplasie del sistema emopoietico". Alle conclusioni dell'autorevole
agenzia dell'OMS - che prima di rilasciare rapporti sulla cancerogenicità
di una sostanza procede lungo una metodologia rigorosa e dichiarata e che
negli anni successivi al 1987 non ha mai corretto queste conclusioni, come
pure poteva fare dal momento che aggiorna continuamente il suo “data base”
di evidenze viene contrapposta una metanalisi (ossia una analisi di studi
compiuti da più istituzioni) condotta da R. Doll (1988), noto epidemiologo
e consulente Enichem, che concorderebbe sul nesso causale tra CVM e ASF ma
che evidenzierebbe "la mancanza di evidenza di rischio per altre forme
tumorali con un'unica eccezione per il cancro del polmone, nel caso del
quale fu riscontrato, per esposizione a dosi elevate, un rischio minimo".
Secondo coloro che non riconoscono un rapporto eziologico tra CVM e CE,
quindi, i singoli studi avrebbero maggior credito dei rapporti dello IARC e
ciò non è sostenibile. Essi inoltre citano uno studio multicentrico
europeo coordinato dalla IARC, pubblicato nel 1991, noto come studio
Simonato (dal primo autore che lo firma) per il quale non vi sarebbe
eccesso di tumori epatici diversi dall' ASF e sul quale si ritornerà in
modo specifico.
· Lo studio europeo (Simonato 1991) è stato recentemente oggetto di
un aggiornamento (Ward 2001) nel quale si riporta che “per i 10 casi
istologicamente confermati come carcinoma epatocellulare (il nostro CE ,
ndr) si osserva una marcata relazione dose-risposta sia con la durata
dell’esposizione che con l’esposizione cumulativa, suggerendo che
l’esposizione a CVM può essere associata anche con questo tumore ”. Non è
corretto quindi escludere il nesso di causalità tra CVM e CE non solo
perché non si può contrapporre - come si è fatto anche nel caso di Porto
Marghera - uno studio singolo alle conclusioni IARC ma anche perché allo
stesso studio (Ward 2001), aggiornamento di quello di Simonato, non si può
attribuire una simile conclusione.
· Sono forse necessarie alcune precisazioni riguardo al valore dei
pronunciamenti IARC. I nuovi studi, per quanto ampi, sono una parte del
tutto e si inseriscono nell’alveo degli studi precedenti; devono essere
valutati da IARC nell’insieme e per cambiare una valutazione di IARC è
necessario porre in essere tutto quel complesso meccanismo di
approfondimento ai fini della classificazione ( o riclassificazione) di una
sostanza, che costituisce proprio la garanzia della serietà e della
affidabilità dei pronunciamenti di IARC. Va ribadito, invece, che i
risultati di singoli studi non mettono in discussione le suddette
valutazioni; bensì essi contribuiscono all’insieme delle conoscenze in modo
commisurato alla loro qualità. Quando IARC si è pronunciata sul CVM, a
partire dal 1975, non si è mai contraddetto e non è mai tornato sui suoi
passi, pur avendo avuto modo e occasione di riaffrontare il problema-CVM;
le sue valutazioni complessive sul CVM sono il frutto del lavoro di molti
studiosi e ricercatori, a livello mondiale, di varia origine
scientifica, compresi quelli di origine industriale; IARC non ha mai
incaricato l’uno o l’altro studioso di compiere autonomi accertamenti o
verifiche quasi a delegare ad un singolo un’attività di conferma (o meno)
di se stesso.
· Quanti sostengono la mancanza di relazione tra epatocarcinoma e CVM
citano, a Brindisi come a Marghera, due studi: quello di Mundt (2000) del
quale riportano lo stretto rapporto tra CVM e ASF ma che nulla riferisce
sul nesso di causalità con l'altro tipo di tumore epatico e il già citato
studio multicentrico europeo di Simonato (1991).
· E' necessario precisare che lo studio multicentrico europeo
coordinato da IARC e condotto da Simonato (1991) e lo studio sulle coorti
americane condotto da Wong (1991) sono stati successivamente aggiornati
rispettivamente da Ward (2001) e da Mundt (2000).
· A riguardo dello studio Simonato si è già detto che è stato
aggiornato nel 2001 con pubblicazione a primo nome di Ward. Tale studio è
sintetizzato dal dott. Pietro Comba, Direttore del Laboratorio di Igiene
Ambientale dell'Istituto Superiore di Sanità e consulente della Procura
della Repubblica di Venezia, che in una revisione della letteratura, nella
parte riguardante gli epatocarcinomi così espone: "Per quanto riguarda il
carcinoma epatocellulare l'osservazione più recente è quella
dell'aggiornamento dello studio multicentrico europeo (Ward et al 2001)
che, per i 10 casi osservati, mostra una relazione dose-risposta sia per
durata dell'esposizione che per esposizione cumulativa a CVM con un rischio
circa triplo a partire dalla categoria di esposizione cumulativa 735-2379
ppm-anno. Tale risultato è in accordo con segnalazioni di casi pubblicate a
partire dalla metà degli anni '70 e con analoghe osservazioni nell'ambito
delle coorti italiane (Pirastu et al 1990), con il follow up di lavoratori
tedeschi esposti ad elevati livelli di CVM (Lelbach 1996) e con le più
recenti indagini condotte a Taiwan precisamente uno studio caso controllo
(Du & Wang 1998) ed uno studio retrospettivo di mortalità (Wong et al
2002). La plausibilità biologica dello sviluppo di epatocarcinomi è
sostenuta da osservazioni su roditori (Drew 1983, Maltoni & Cotti 1988);
inoltre in 11 di 18 casi esposti a CVM sono state rilevate mutazioni del
gene p53 (Weihrauch et al 2000). La persuasività scientifica dell'evidenza
epidemiologica relativa all'associazione tra CVM ed epatocarcinoma,
integrata da considerazioni sulla congruità della durata dell'esposizione,
può essere pertanto considerata molto elevata e consente di sostenere che
il cloruro di vinile monomero ha svolto un ruolo eziologico determinante
nell'insorgenza di casi di neoplasia epatica insorti nei soggetti esposti ".
· Risulta poi davvero apodittica l'affermazione di chi sostiene che
non è mai stato dimostrato con certezza che il CVM induca nella specie
umana tumori extraepatici. Questa affermazione è smentita ancora una volta
dalla IARC fin dal 1987. A questo riguardo viene incontro la citata sintesi
del dott Comba sulla evidenza e sulla probabilità d'insorgenza di
differenti tipi di tumore negli esposti al CVM. "L'evidenza epidemiologica
relativa all'associazione tra esposizione a CVM e tumore del polmone può
essere così riassunta. Nelle coorti che hanno condotto un'analisi specifica
per gli insaccatori definiti come "solo addetti all'insacco" e "addetti
all'insacco" esposti a elevati livelli di polvere di PVC si sono
identificati incrementi di mortalità. Pertanto sulla base dei dati
epidemiologici la persuasività scientifica della relazione causale fra
l'attività lavorativa che comporta esposizione a polveri di PVC è elevata
seppur gli studi non permettono di distinguere se tale effetto sia dovuto a
CVM come tale o alla polvere di PVC". E ancora "La mortalità osservata per
tumore dell'encefalo supera l'attesa pressocché nella totalità degli studi
che riportano i risultati per questa causa. L'aggiornamento dello studio
europeo (Ward 2001) non rileva tendenze della mortalità per durata,
latenza ed esposizione cumulativa, lo studio USA (Mundt 2000) non osserva
tendenze per decade di follow up ma la mortalità nel decennio 1970-1979
mostra un picco analogamente a quanto si verifica per il tumore del
fegato. L'assenza per il tumore dell'encefalo di andamenti per variabili
temporali e di esposizione insieme al fatto che il numero degli osservati
è spesso esiguo sono i principali limiti dei dati epidemiologici
disponibili ai fini dell'attribuzione di un ruolo causale dell'esposizione
a CVM nello sviluppo di questo tumore. Si può pertanto concludere che
l'evidenza epidemiologica suggerisce un aumento di rischio per tumore
dell'encefalo in relazione all'esposizione a CVM… Per quanto concerne la
mortalità per tumori del sistema linfoemopoietico, l'eterogeneità clinica e
patologica di questa categoria di neoplasie può contribuire alla scarsa
riproducibilità di risultati di studi diversi…Si può pertanto concludere
che l'evidenza epidemiologica suggerisce un aumento di rischio per tumore
del sistema emolinfopoietico in relazione all'esposizione al CVM".
· Sempre i sostenitori della mancanza di causalità tra CVM e CE
asseriscono che sia anche da escludere che tale esposizione (CVM) possa
indurre la cirrosi e la successiva evoluzione in senso neoplastico. Tale
affermazione è scientificamente infondata. E' proprio nell'aggiornamento
dello studio europeo di Ward che si rinviene la risposta a tale questione.
Infatti scopo dell'aggiornamento era anche di verificare il potenziale
collegamento tra l'esposizione al CVM e i decessi per malattie epatiche non
maligne e in particolar modo la cirrosi. Lo studio ha accertato un aumento
di mortalità a causa di cirrosi epatica associata a livelli di esposizione
da moderati ad alti riscontrato nel gruppo ad alto rischio nei vari paesi e
in particolare tra i lavoratori che avevano lavorato per un certo periodo
come autoclavisti. Nella coorte di Porto Marghera, collezionata ed
esaminata dai periti del dott Casson a Venezia ed aggiornata al 1999,
risulta una mortalità per cirrosi superiore all’attesa fra gli autoclavisti
(SMR 139, 6 oss, IC 90% 60.6-274.6).
· Si deve inoltre rilevare che il ruolo del CVM e dell'alcool nella
genesi dell'epatocarcinoma è completamente differente. Secondo il classico
modello della cancerogenesi a stadi (iniziazione-promozione), il CVM è da
ritenersi con tutta verosimiglianza un “iniziante”, vale a dire una
sostanza genotossica, in grado di indurre mutazioni nel DNA. L’etanolo è
invece interpretato come co-cancerogeno, o sostanza che facilita
l’insorgenza di tumori in associazione con agenti inizianti come il virus
dell’epatite B o il CVM. Queste conoscenze indicano: (a) che etanolo e CVM
hanno diversi meccanismi d’azione, e che difficilmente il primo
interferisce direttamente con l’azione del secondo; (b) un’eventuale
interferenza è da interpretarsi come una modificazione d’effetto, o
potenziamento, dell’attività cancerogena del CVM da parte dell’etanolo.
· Esiste una variabilità genetica tra gli esposti a CVM, che
condiziona la risposta ad esso; in particolare, è verosimile che tale
variabilità condizioni la sensibilità alle basse dosi di esposizione.
Questo è uno degli argomenti che consentono di escludere l’esistenza di una
soglia per l’azione cancerogena del CVM: poiché esiste uno spettro di
suscettibilità all’azione della sostanza, si può ipotizzare che vi siano
individui con una propensione a sviluppare un tumore anche a livelli molto
bassi di esposizione.
CONCLUSIONI
In conclusione, alla luce delle considerazioni che precedono ci sentiamo di
affermare che in linea di principio il CVM è certamente da considerare un
fattore causale della morte per tumore epatico tipo epatocarcinoma che ha
colpito i lavoratori esposti a tale sostanza. Convinzione questa confermata
dai risultati dell'indagine epidemiologica condotta a Brindisi dal prof.
Maltoni, indagine che ha documentato un assai significativo incremento di
morti per epatocarcinoma.
Sulla base delle stesse evidenze scientifiche ci sembra corretta l'opinione
che attribuisce al CVM la capacità di provocare epatopatie evolventi in
cirrosi.
Quanto alle concause, va ribadito che la loro presenza potrebbe far venire
meno il ruolo di "causa" (a nostro avviso innegabile) dell'esposizione dei
lavoratori a CVM esclusivamente nell'ipotesi che esse siano state
"sufficienti da sole a produrre l'evento" con la precisazione che soltanto
una tale certezza, rigorosamente indagata e convincentemente dimostrata,
può giustificare, in un lavoro peritale, la formulazione di un accoglibile
parere di difetto del nesso eziologico nei reati ipotizzati con l'assunto
accusatorio messo a base dell'inchiesta in questione.
Forum Ambiente Salute Sviluppo
presso Studio Avv. Carlo De Carlo
Via Casimiro,6 - Brindisi