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Fwd: Brindisi: "PETROLCHIMICO: MORTI SENZA COLPEVOLI?"



Anche se il forum si è svolto, è interessante leggere il documento in coda.
A.M.

>From: "Maurizio Portaluri" <maporta@libero.it>
>To: "Identità principale" <portaluri@hotmail.com>
>Subject: Brindisi: "PETROLCHIMICO: MORTI SENZA COLPEVOLI?"
>Date: Fri, 16 May 2003 11:10:52 +0200
>X-Mailer: Microsoft Outlook Express 5.50.4522.1200
>
>Si allega anche il documento che verrà presentato
>
>FORUM AMBIENTE SALUTE E SVILUPPO
>
>in collaborazione con Acli, Legambiente e Medicina Democratica
>
>BRINDISI
>
>
>
>promuove il  CONVEGNO
>
>"PETROLCHIMICO: MORTI SENZA COLPEVOLI?"
>
>BRINDISI Venerdì 16 maggio 2003 ore 17
>presso la “Casa del Turista” – Lungomare Regina Margherita
>(nei pressi dell’Hotel Internazionale)
>
>
>
>Introduce e conclude
>
>Avv. Carlo DE CARLO
>
>Coordinatore del Forum
>
>
>
>Intervengono
>
>Maurizio PORTALURI
>
>Medicina Democratica
>
>
>
>Grigio ASSENNATO
>
>Docente Universitario Medicina del Lavoro
>
>
>
>Carlo BRACCI
>
>Medico Legale Patronato Nazionale ACLI
>
>
>
>Francesco FERRANTE
>
>Direttore Generale Legambiente
>
>
>
>Modera
>
>Michele DI SCHIENA
>
>Magistrato
>
>
>
>Durante l’incontro verrà presentato un documento con alcune annotazioni 
>critiche sulla vicenda
>
>
>
>Seguirà dibattito
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>(Nel rispetto della legge 675/96 e quindi nelle misure di sicurezza e 
>riservatezza previste, secondo quanto previsto dall'art. 13, potete 
>richiedere la cancellazione mandando un e-mail all' indirizzo 
><mailto:giancanuto@libero.it>giancanuto@libero.it  con oggetto CANCELLAZIONE.
>
>



FORUM AMBIENTE SALUTE E SVILUPPO

CONVEGNO

"PETROLCHIMICO: MORTI SENZA COLPEVOLI?"
BRINDISI 16 maggio 2003

CONSIDERAZIONI GENERALI

Abbiamo appreso che lo scorso anno è stata depositata presso la Procura 
della Repubblica del Tribunale di Brindisi una Consulenza Tecnica in merito 
ai decessi di alcuni dipendenti del petrolchimico esposti a cloruro di 
vinile monomero (CVM).
Le risultanze di tale consulenza tecnica, secondo quanto si ritiene in 
alcuni ambienti interessati al caso e secondo le notizie ripetutamente 
diffuse dalla stampa locale, potrebbero indurre la magistratura (vi sarebbe 
già una richiesta in tal senso) a decidere l'archiviazione del procedimento 
per i reati di omicidio colposo con conseguente preclusione  del passaggio 
alla fase dibattimentale che la legge destina, quando sussistano le 
condizioni per accedervi, ad ogni possibile approfondimento in 
piena  pubblicità e nel massimo dispiegamento del contraddittorio fra gli 
assunti accusatori e le tesi difensive.
Il decesso di molti lavoratori del Petrolchimico professionalmente esposti 
a sostanze tossiche, che ha dato luogo qualche anno addietro all'apertura 
di una inchiesta penale, non pone solo una ineludibile questione di 
giustizia  ma,  col suo carico di sofferenze e di drammi umani, costituisce 
anche una rilevantissima questione morale e sociale. E la questione 
etico-sociale finisce per  essere in qualche modo collegata alla questione 
penale dal momento che è necessario affrontare lo sconcertante problema in 
tutta la sua complessità, ovviamente con le dovute distinzioni degli ambiti 
di competenza ma senza improprie separazioni, per cercare di capire quale 
delle possibili verità sia quella "vera" e  per rispondere così agli 
inquietanti interrogativi che turbano l'opinione pubblica locale ed 
angosciano i lavoratori. E gli interrogativi sono appunto i seguenti.
I dipendenti del Petrolchimico esposti negli ambienti di lavoro a CVM e 
negli anni scorsi deceduti chiamano in causa precise responsabilità penali 
e, conseguentemente, anche civili? Un eventuale provvedimento di 
archiviazione dell'inchiesta penale sarebbe del tutto rassicurante alla 
luce dell'esito degli accertamenti sinora effettuati o potrebbe essere il 
frutto di inesatte valutazioni peritali e forse anche di difficoltà 
d'indagine dovute ad oggettive inadeguatezze organizzative ed operative? Ed 
in ogni caso sono ravvisabili per quanto è accaduto precise responsabilità 
sociali e politiche?
Da qui il senso dell' "incontro" promosso dal Forum non certo per portare 
"in piazza" un processo ma per fare in modo che la tragica vicenda non sia 
solo affrontata, e malauguratamente chiusa senza rassicuranti esiti, nelle 
aule di giustizia ma divenga sempre di più oggetto di attenzioni, di 
analisi, di approfondimenti, di denunce e di stimoli da parte dell'intera 
comunità brindisina in un dolorante collegamento con le consimili tragedie 
avvenute a Porto Marghera, Manfredonia ed in altre analoghe realtà. Una 
partecipazione dei cittadini ed un coinvolgimento delle espressioni sociali 
che non siano solo episodici ma divengano "permanenti" e durino fino a 
quando non sarà fatta vera luce su quanto è accaduto e fino a quando - per 
dirla con parole mutuate dalla Carta Costituzionale - non saranno rimossi 
gli ostacoli che impediscono alle famiglie delle vittime e , più in 
generale, ai lavoratori che reclamano una maggiore sicurezza di poter far 
valere le loro ragioni ed i loro diritti in condizioni di sostanziale 
uguaglianza rispetto ai soggetti forti con i quali purtroppo rischiano di 
venire spesso in perdente rapporto.
Ed allora, nell'assoluto rispetto dell'autonomia e dell'indipendenza della 
magistratura, valore nel quale pienamente ci riconosciamo nella radicata 
convinzione che la giustizia deve essere amministrata "in nome del popolo" 
da giudici che siano "soggetti soltanto alla legge", ci sia consentito 
esprimere alcune opinioni in merito ai criteri che, sulla base delle 
informazioni disponibili, riteniamo abbiano potuto guidare le conclusioni 
del citato accertamento tecnico che potrebbe portare all'archiviazione 
dell'inchiesta. Opinioni che manifestiamo non tanto criticando quei 
criteri, scelta che potrebbe comportare il rischio di collocarci fuori 
dall'ambito che ci è proprio, quanto richiamando l'attenzione di tutte le 
realtà interessate e dell'intera opinione pubblica sui seguenti principi di 
ordine generale che confidiamo siano tenuti presenti nella vicenda 
giudiziaria in questione:
1.      nel processo penale  gli accertamenti peritali sono certo in alcuni 
casi necessari ma l'ultima parola spetta sempre al giudice ("peritus 
peritorum") che non può meccanicamente assumerne le risultanze senza 
sottoporle ad una attenta ed articolata valutazione che può portare anche a 
disattendere tali esiti o a disporre, quando se ne ravvisino le condizioni, 
il rinnovo dell'indagine tecnica;
2.      nell'esperienza giuridica "causa" è ogni circostanza che si 
inserisce nel corso normale degli eventi provocando un cambiamento nel loro 
usuale succedersi sicchè, con riferimento all'esperienza umana, va 
considerata causale quella condotta alla quale segue sempre, o  - quando la 
certezza è impossibile come può ritenersi talvolta in materia di tumori - 
con un significativo grado di probabilità, il verificarsi dell'evento 
dannoso o pericoloso;
3.      nell'affrontare il problema dell'imputabilità causale la ricerca 
delle fasi causali necessarie e la spiegazione dell'evento, con elevato 
grado di credibilità razionale, si presenta agevole ove si consideri che 
nessun modello di esperienza è spiegabile nella sua integrità e che non si 
può pretendere di rendere intelligibile l'intero meccanismo di produzione 
dell'evento lesivo;
4.      in tema di nesso di causalità la legge penale accoglie il principio 
della equivalenza delle cause riconoscendo il valore interrutivo della 
serie causale solo a quelle che sopravvengono del tutto autonomamente e 
svincolate dal comportamento del soggetto agente;
5.      in materia di rapporto eziologico, di cui all'art. 41 c.p., tutti 
gli antecendenti in mancanza dei quali l'evento dannoso non si sarebbe 
verificato ( con certezza o, come nel caso di alcune patologie, con elevato 
grado di probabilità ) devono considerarsi cause, abbiano essi agito in via 
diretta e prossima od in via indiretta e remota, salvo il temperamento per 
il quale la causa prossima sufficiente da sola a produrre l'evento esclude 
il nesso causale tra questo e le altre cause antecedenti facendole scadere 
a rango di mere occasioni. Con la conseguenza che per escludere che un 
determinato fatto abbia concorso a determinare un danno non basta affermare 
che il danno stesso avrebbe potuto verificarsi anche in mancanza di quel 
fatto ma occorre dimostrare, avendo riguardo a tutte le circostanze del 
caso concreto, che il danno si sarebbe ugualmente verificato senza 
quell'antecedente.

Ciò premesso, noi riteniamo che nel caso delle morti dei lavoratori del 
Petrolchimico esposti a CVM debba ovviamente essere rigorosamente accertato 
per ogni singolo caso se vi è stata tale esposizione e , nell'ipotesi 
positiva, quale ne sia stata la durata e l'intensità. E debba essere 
accertato altresì se i decessi sono avvenuti per patologie tumorali o altre 
gravi malattie legate da rapporto di causalità  alla suddetta esposizione 
nociva, sempre che vi sia assenza di concause "sopravvenute…da sole 
sufficienti a determinare l'evento". Per quanto attiene, in particolare, 
alle concause riteniamo poi  - alla luce del principio giurisprudenziale 
dianzi ricordato al punto 5 e di recente ribadito dalla Suprema 
Corte  (Cass Civ Sez III, 13 novembre 2000, n 12103) - che per attribuire 
ad una concausa la forza di privare l'esposizione a CVM del ruolo di 
"causa" occorre accertare che l'evento-morte si sarebbe verificato 
ugualmente senza l'antecedente costituito appunto dall'esposizione alla 
sostanza tossica. Argomento questo che sottolineiamo con determinazione 
avendo motivo di ritenere, almeno fino a documentate informazioni di segno 
diverso, che la menzionata consulenza tecnica ha ribaltato l'indicato 
ordine di idee utilizzando l'esistenza di semplici concause, prive del 
connotato della assoluta eccezionalità e perciò non "da sole sufficienti a 
determinare l'evento", per conferire di fatto ed impropriamente ad 
esse  forza autonoma ed esclusiva nella produzione dell'evento medesimo con 
conseguente  esclusione del rapporto causale tra l'esposizione dei 
lavoratori al CVM e l'insorgere delle malattie che ne hanno determinato la 
morte.

Le considerazioni che precedono ci portano ora  a dire  qualcosa sulla 
questione centrale e cioè sulla sussistenza di un rapporto di causalità tra 
l'esposizione dei lavoratori al CVM ed i loro decessi. Ed a riguardo 
riteniamo, in linea generale e senza riferimento ai casi specifici, che sia 
utile richiamare le più autorevoli acquisizioni scientifiche in materia.


EVIDENZE SCIENTIFICHE

Va innanzitutto osservato che nel petrolchimico di Brindisi sono stati 
accertati decessi e malattie correlabili ad esposizioni lavorative al 
cloruro di vinile monomero (CVM). E’ noto che è stata condotta su 
disposizione dei magistrati una indagine epidemiologica sul gruppo di 
lavoratori esposti che avrebbe evidenziato un eccesso statisticamente 
significativo di due tipi particolari di tumori, l’epatocarcinoma (CE) e i 
tumori del sistema emolinfopoietico.
·       Si sa anche il riscontro di un eccesso statistico di una 
particolare neoplasia in un gruppo operaio rispetto alla popolazione 
normale consente di attribuire alle esposizioni professionali di quel 
gruppo di lavoratori un ruolo causale nell’insorgenza di quella neoplasia.
·       Circa la relazione tra esposizione a CVM e patologie tumorali 
epatiche è stato sostenuto da coloro che si oppongono al riconoscimento del 
rapporto tra CVM e CE che la letteratura scientifica esaminata fornisce 
evidenze ampiamente sufficienti a supportare l'ipotesi che l'esposizione 
prolungata a CVM può provocare l'insorgenza di angiosarcoma epatico (ASF). 
A loro dire non altrettanto si può affermare per altre forme tumorali a 
carico del fegato ed in particolare per CE. Tale ipotesi - sempre a loro 
dire - può essere ragionevolmente sostenuta esclusivamente nei casi in cui 
un ruolo di principali fattori di rischio per il CE (per esempio 
un'infezione da virus epatico B o C) può essere escluso. A conclusioni 
opposte giungono  però gli studi dell'Agenzia Internazionale per la Ricerca 
sul cancro (IARC), istituzione dell'Organizzazione Mondiale della 
Sanità,  che già nel 1987 oltre a riconoscere la relazione tra ASF e CVM 
concludeva : "diversi studi confermano che l'esposizione a CVM causa altre 
forme tumorali, vale a dire epatocarcinomi, tumori al cervello e al polmone 
e neoplasie del sistema emopoietico". Alle conclusioni dell'autorevole 
agenzia dell'OMS - che prima di rilasciare rapporti sulla cancerogenicità 
di una sostanza procede lungo una metodologia rigorosa e dichiarata e che 
negli anni successivi al 1987 non ha mai corretto queste conclusioni, come 
pure poteva fare dal momento che aggiorna continuamente il suo “data base” 
di evidenze  viene contrapposta una metanalisi (ossia una analisi di studi 
compiuti da più istituzioni) condotta da R. Doll (1988), noto epidemiologo 
e consulente Enichem, che concorderebbe sul nesso causale tra CVM e ASF ma 
che evidenzierebbe "la mancanza di evidenza di rischio per altre forme 
tumorali con un'unica eccezione per il cancro del polmone, nel caso del 
quale fu riscontrato, per esposizione a dosi elevate, un rischio minimo". 
Secondo coloro che non riconoscono un rapporto eziologico tra CVM e CE, 
quindi, i singoli studi avrebbero maggior credito dei rapporti dello IARC e 
ciò non è sostenibile. Essi inoltre citano uno studio multicentrico 
europeo  coordinato dalla IARC, pubblicato nel 1991, noto come studio 
Simonato (dal primo autore che lo firma) per il quale non vi sarebbe 
eccesso di tumori epatici diversi dall' ASF e sul quale si ritornerà in 
modo specifico.
·       Lo studio europeo (Simonato 1991) è stato recentemente oggetto di 
un aggiornamento (Ward 2001) nel quale si riporta che “per i 10 casi 
istologicamente confermati come carcinoma epatocellulare (il nostro CE , 
ndr) si osserva una marcata relazione dose-risposta sia con la durata 
dell’esposizione che con l’esposizione cumulativa, suggerendo che 
l’esposizione a CVM può essere associata anche con questo tumore ”. Non è 
corretto quindi escludere il nesso di causalità tra CVM e CE non solo 
perché non si può contrapporre - come si è fatto anche nel caso di Porto 
Marghera - uno studio singolo alle conclusioni IARC ma anche perché allo 
stesso studio (Ward 2001), aggiornamento di quello di Simonato, non si può 
attribuire una simile conclusione.
·       Sono forse necessarie alcune precisazioni riguardo al valore dei 
pronunciamenti IARC. I nuovi studi, per quanto ampi, sono una parte del 
tutto e si inseriscono nell’alveo degli studi precedenti; devono essere 
valutati da IARC nell’insieme e per cambiare una valutazione di IARC è 
necessario porre in essere tutto quel complesso meccanismo di 
approfondimento ai fini della classificazione ( o riclassificazione) di una 
sostanza, che costituisce proprio la garanzia della serietà e della 
affidabilità dei pronunciamenti di IARC. Va ribadito, invece, che i 
risultati di singoli studi non mettono in discussione le suddette 
valutazioni; bensì essi contribuiscono all’insieme delle conoscenze in modo 
commisurato alla loro qualità. Quando IARC si è pronunciata sul CVM, a 
partire dal 1975, non si è mai contraddetto e non è mai tornato sui suoi 
passi, pur avendo avuto modo e occasione di riaffrontare il problema-CVM; 
le sue valutazioni complessive sul CVM sono il frutto del lavoro di molti 
studiosi e ricercatori, a livello mondiale, di varia origine 
scientifica,  compresi quelli di origine industriale; IARC non ha mai 
incaricato l’uno o l’altro studioso di compiere autonomi accertamenti o 
verifiche quasi a delegare ad un singolo un’attività di conferma (o meno) 
di se stesso.
·       Quanti sostengono la mancanza di relazione tra epatocarcinoma e CVM 
citano, a Brindisi come a Marghera,  due studi: quello di Mundt  (2000) del 
quale riportano lo stretto rapporto tra CVM e ASF ma che nulla riferisce 
sul nesso di causalità con l'altro tipo di tumore epatico e il già citato 
studio multicentrico europeo  di Simonato (1991).
·       E' necessario precisare che lo studio multicentrico europeo 
coordinato da IARC e condotto da Simonato (1991) e lo studio sulle coorti 
americane condotto da Wong (1991) sono stati successivamente aggiornati 
rispettivamente da Ward (2001) e da Mundt (2000).
·       A riguardo dello studio Simonato si è già detto che è stato 
aggiornato nel 2001 con pubblicazione a primo nome di Ward. Tale studio è 
sintetizzato dal dott. Pietro Comba, Direttore del Laboratorio di Igiene 
Ambientale dell'Istituto Superiore di Sanità e consulente della Procura 
della Repubblica di Venezia, che in una revisione della letteratura, nella 
parte riguardante gli epatocarcinomi così espone: "Per quanto riguarda il 
carcinoma epatocellulare l'osservazione più recente è quella 
dell'aggiornamento dello studio multicentrico europeo (Ward et al 2001) 
che, per i 10 casi osservati, mostra una relazione dose-risposta sia per 
durata dell'esposizione che per esposizione cumulativa a CVM con un rischio 
circa triplo a partire dalla categoria di esposizione cumulativa 735-2379 
ppm-anno. Tale risultato è in accordo con segnalazioni di casi pubblicate a 
partire dalla metà degli anni '70  e con analoghe osservazioni nell'ambito 
delle coorti italiane (Pirastu et al 1990), con il follow up di lavoratori 
tedeschi esposti ad elevati livelli di CVM (Lelbach 1996) e con le più 
recenti indagini condotte a Taiwan precisamente uno studio caso controllo 
(Du & Wang 1998) ed uno studio retrospettivo di mortalità (Wong et al 
2002). La plausibilità biologica dello sviluppo di epatocarcinomi è 
sostenuta da osservazioni su roditori (Drew 1983, Maltoni & Cotti 1988); 
inoltre in 11 di 18 casi esposti a CVM sono state rilevate mutazioni del 
gene p53 (Weihrauch et al 2000). La persuasività scientifica dell'evidenza 
epidemiologica relativa all'associazione tra CVM ed epatocarcinoma, 
integrata da considerazioni sulla congruità della durata dell'esposizione, 
può essere pertanto considerata molto elevata e consente di sostenere che 
il cloruro di vinile monomero ha svolto un ruolo eziologico determinante 
nell'insorgenza di casi di neoplasia epatica insorti nei soggetti esposti ".
·       Risulta poi davvero apodittica l'affermazione di chi sostiene che 
non è mai stato dimostrato con certezza che il CVM induca nella specie 
umana tumori extraepatici. Questa affermazione è smentita ancora una volta 
dalla IARC fin dal 1987. A questo riguardo viene incontro la citata sintesi 
del dott Comba  sulla evidenza e sulla probabilità d'insorgenza di 
differenti tipi di tumore negli esposti al CVM.  "L'evidenza epidemiologica 
relativa all'associazione tra esposizione a CVM e tumore del polmone può 
essere così riassunta. Nelle coorti che hanno condotto un'analisi specifica 
per gli insaccatori definiti come "solo addetti all'insacco" e "addetti 
all'insacco" esposti a elevati livelli di polvere di PVC si sono 
identificati incrementi di mortalità. Pertanto sulla base dei dati 
epidemiologici la persuasività scientifica della relazione causale fra 
l'attività lavorativa che comporta esposizione a polveri di PVC è elevata 
seppur gli studi non permettono di distinguere se tale effetto sia dovuto a 
CVM come tale o alla polvere di PVC". E ancora "La mortalità osservata per 
tumore dell'encefalo supera l'attesa pressocché nella totalità degli studi 
che riportano i risultati per questa causa. L'aggiornamento dello studio 
europeo (Ward 2001) non rileva tendenze della mortalità per durata, 
latenza  ed esposizione cumulativa, lo studio USA (Mundt 2000) non osserva 
tendenze per decade di follow up ma la mortalità nel decennio 1970-1979 
mostra un  picco analogamente a quanto si verifica per il tumore del 
fegato. L'assenza per il tumore dell'encefalo di andamenti per variabili 
temporali e di esposizione  insieme al fatto che il numero degli osservati 
è spesso esiguo sono i principali limiti dei dati epidemiologici 
disponibili ai fini dell'attribuzione di un ruolo causale dell'esposizione 
a CVM nello sviluppo di questo tumore. Si può pertanto concludere che 
l'evidenza epidemiologica suggerisce un aumento di rischio per tumore 
dell'encefalo in relazione all'esposizione a CVM… Per quanto concerne la 
mortalità per tumori del sistema linfoemopoietico, l'eterogeneità clinica e 
patologica di questa categoria di neoplasie può contribuire alla scarsa 
riproducibilità di risultati di studi diversi…Si può pertanto concludere 
che l'evidenza epidemiologica suggerisce un aumento di rischio per tumore 
del sistema emolinfopoietico in relazione all'esposizione al CVM".
·       Sempre i sostenitori della mancanza di causalità tra CVM e CE 
asseriscono che sia anche da escludere che tale esposizione (CVM) possa 
indurre la cirrosi e la successiva evoluzione in senso neoplastico. Tale 
affermazione è scientificamente infondata. E' proprio nell'aggiornamento 
dello studio europeo di Ward che si rinviene la risposta a tale questione. 
Infatti scopo dell'aggiornamento era  anche di verificare il potenziale 
collegamento tra l'esposizione al CVM e i decessi per malattie epatiche non 
maligne e in particolar modo la cirrosi.  Lo studio ha accertato un aumento 
di mortalità a causa di cirrosi epatica associata a livelli di esposizione 
da moderati ad alti riscontrato nel gruppo ad alto rischio nei vari paesi e 
in particolare tra i lavoratori che avevano lavorato per un certo periodo 
come autoclavisti. Nella coorte di Porto Marghera, collezionata ed 
esaminata dai periti del dott Casson a Venezia ed aggiornata al 1999, 
risulta una mortalità per cirrosi superiore all’attesa fra gli autoclavisti 
(SMR 139, 6 oss, IC 90% 60.6-274.6).
·       Si deve inoltre rilevare che il ruolo del CVM e dell'alcool nella 
genesi dell'epatocarcinoma è completamente differente. Secondo il classico 
modello della cancerogenesi a stadi (iniziazione-promozione), il CVM è da 
ritenersi con tutta verosimiglianza un “iniziante”, vale a dire una 
sostanza genotossica, in grado di indurre mutazioni nel DNA. L’etanolo è 
invece interpretato come co-cancerogeno, o sostanza che facilita 
l’insorgenza di tumori in associazione con agenti inizianti come il virus 
dell’epatite B o il CVM. Queste conoscenze indicano: (a) che etanolo e CVM 
hanno diversi meccanismi d’azione, e che difficilmente il primo 
interferisce direttamente con l’azione del secondo; (b) un’eventuale 
interferenza è da interpretarsi come una modificazione d’effetto, o 
potenziamento, dell’attività cancerogena del CVM da parte dell’etanolo.
·       Esiste una variabilità genetica tra gli esposti a CVM, che 
condiziona la risposta ad esso; in particolare, è verosimile che tale 
variabilità condizioni la sensibilità alle basse dosi di esposizione. 
Questo è uno degli argomenti che consentono di escludere l’esistenza di una 
soglia per l’azione cancerogena del CVM: poiché esiste uno spettro di 
suscettibilità all’azione della sostanza, si può ipotizzare che vi siano 
individui con una propensione a sviluppare un tumore anche a livelli molto 
bassi di esposizione.





CONCLUSIONI


In conclusione, alla luce delle considerazioni che precedono ci sentiamo di 
affermare che in linea di principio il CVM è  certamente da considerare un 
fattore causale della morte per tumore epatico tipo epatocarcinoma che ha 
colpito i lavoratori esposti a tale sostanza. Convinzione questa confermata 
dai risultati dell'indagine epidemiologica condotta a Brindisi dal prof. 
Maltoni, indagine che ha documentato un assai significativo incremento di 
morti per epatocarcinoma.
Sulla base delle stesse evidenze scientifiche ci sembra corretta l'opinione 
che attribuisce al CVM la capacità di provocare epatopatie evolventi in 
cirrosi.
Quanto alle concause, va ribadito che la loro presenza potrebbe far venire 
meno il ruolo di "causa" (a nostro avviso innegabile) dell'esposizione dei 
lavoratori a CVM esclusivamente nell'ipotesi che esse siano state 
"sufficienti da sole a produrre l'evento" con la precisazione che soltanto 
una tale certezza, rigorosamente indagata e convincentemente dimostrata, 
può giustificare, in un lavoro peritale, la formulazione di un accoglibile 
parere di difetto del nesso eziologico nei reati ipotizzati con l'assunto 
accusatorio messo a base dell'inchiesta in questione.


                         Forum Ambiente Salute Sviluppo
                         presso Studio Avv. Carlo De Carlo
                         Via Casimiro,6 - Brindisi