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Dow Chemical - Non solo Bophal... sta anche a Marghera! incendio il 28 novembre
Dal bollettino GEVAM (vedi http://www.gevam.it), due notizie
sull'incendio/esplosione a Marghera, poco piu' di due settimane fa.
Visto che io la Tv la guardo molto poco, la notizia mi sarebbe
probabilmente sfuggita comunque. C'e' qualcuno di voi che puo' confermare
che i TG RAI l'hanno praticamente censurata, come si sostiene da piu' parti
nei testi qui sotto.
Mi colpisce la "coincidenza", visto che avevo appena sottoposto alla vostra
attenzione dei materiali sulla Dow Chemical e le guerre di informazione che
le ruotano intorno - particolarmente a proposito dei disastri ambientali
causati da impianti chimici.
Forse qualche "hacker" nostrano rifara' un sito-parodia su Marghera?
paola
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News GEVAM n. 90 del 16 dicembre 2002 - Area Tematica: Ambiente e
Volontariato
La prima e la più diffusa newsletter telematica di informazioni ambientali
e del volontariato
ORGANO DI STAMPA INTERASSOCIATIVO del Gruppo GEVAM - Onlus
3 La Rai, ancora formalmente servizio pubblico, ha praticamente
cancellato qualsiasi informazione sull'incendio alla Dow Chemical di Porto
Marghera. Quanto è costato alla multinazionale Dow Chemical questo
silenzio? Che fine ha fatto il servizio pubblico?
Fonte: Segreteria Stampa Nazionale - Partito Umanista
Eppure l'incendio scoppiato la sera del 28 novembre ha sprigionato una nube
sicuramente contenente acido cloridrico, responsabile dei bruciori
avvertiti da molti cittadini. Per non parlare di altre sostanze come
toluene, xilene, benzene, ossido di azoto e ossido di carbonio. E solo fra
qualche giorno sapremo se c'è anche la diossina.
Perché questo silenzio?
Eppure tutti devono sapere che:
La Dow Chemical è una multinazionale presente in tutto il mondo, che tra
l'altro ha acquisito la Union Carbide, dal cui stabilimento a Bhopal
fuoriuscirono, nella notte tra il 2 e 3 dicembre 1984, 40 tonnellate del
gas mortale Isocianato di Metile (MIC). Migliaia di persone morirono di una
morte orribile, annegando nei propri liquidi corporei, con polmoni e occhi
in fiamme. Decine di migliaia di persone rimasero mutilate quella stessa
notte. Col passare del tempo si svilupparono malattie e l'acqua potabile
nei quartieri contaminati dal gas divenne tossica, producendo quindi in
modo costante tutto un'insieme di seri rischi per la salute. Negli ultimi
18 anni il numero di persone le cui vite e cui corpi sono stati distrutti
supera i 200.000. A tutt'oggi muoiono 30 persone al mese a causa di
malattie collegate all'esalazione di gas e più di 120.000 persone avrebbero
bisogno di urgenti cure mediche. Di queste, 80.000 sono troppo malate per
svolgere lavori manuali, e sono quindi incapaci di sostenere le loro fami
glie.
La Dow Chemical, attuale proprietaria degli impianti di Bhopal, ancora non
si decide, a distanza di 18 anni, a rimuovere le centinaia di tonnellate di
rifiuti tossici dal sito.
Inoltre:
- la Dow Chemical è stata uno dei maggiori fornitori di Agente Arancio
(defoliante a base di diossina) dell'esercito americano durante la guerra
in Vietnam;
- produce inoltre numerose sostanze a base di cloro (PVC, pesticidi,
solventi), ritenuti fonte di numerose sostanze tossiche, tra cui le
diossine;
- Negli Stati Uniti 8 donne hanno intentato una causa contro la Dow
Chemical per protesi difettose; 1.800 donne si sono costituite parte
civile. La Dow Chemical fu dichiarata colpevole di negligenza nella
sperimentazione delle protesi, avendo mentito sui rischi connessi alla loro
applicazione.
Perché quindi questo silenzio?
Tutti devono sapere anche che:
nonostante tutto ciò, l'anno scorso la EniChem, controllata dall'Eni, ha
ceduto alla Dow Chemical la propria divisione Poliuretani per 400 milioni
di euro, e ha acquistato dalla Union Carbide il 50% di Polimeri Europa
S.r.l. al prezzo di 204 milioni di euro, guadagnando da questo affare 196
milioni di euro.
Perché questo silenzio? Il servizio pubblico non è più al servizio del
pubblico, ma delle multinazionali?
Carlo Olivieri, Segreteria Stampa Nazionale - Partito Umanista
via Michele Bonelli 4 - 00168 Roma tel. 06.5500620 - fax 06.55178469
5 TUTTE LE POLEMICHE SULL'ESPLOSIONE A MARGHERA. Il solito balletto
di interventi "a caldo", con i loro luoghi comuni e banalità,
contraddizioni ed edulcorazioni, per poi tornare all'oblio. Una cosa pare
certa: il servizio pubblico d'informazione è stato vergognoso ... ci fosse
qualcuno che capisse qualcosa di ambiente.
Fonte: E-gazette mailto:segreteria.redazione@e-gazette.it
http://www.e-gazette.it
Milano, 2 dicembre - La Prefettura, che ha coordinato le operazioni di
emergenza, conferma che "non c'è stata una fuoriuscita di sostanze
tossiche, si sono dissolti nell'aria solamente i residui di combustione che
non dovrebbero rappresentare alcun pericolo per i cittadini". Questo quanto
ha detto a e-gazette Enrico Caterino. Il resto, ossia la valutazione delle
responsabilità dell'incidente e le decisioni in merito alla ripresa delle
attività dell'impianto spetta alla magistratura che è all'opera presso
l'impianto di Porto Marghera.
Intanto, il ministro dell'ambiente, Altero Matteoli, è in contatto con le
autorità veneziane per valutare la gravità dell'incidente. "Le cause sono
ancora tutte da scoprire, è la prima volta che si verifica un'esplosione di
questo tipo", ha detto Paolo Casciato, responsabile della comunicazione di
Dow Chemical, raggiunto stamattina sul cellulare mentre si trovava ancora a
Porto Marghera. "L'impianto è sempre stato regolarmente controllato e lo
scoppio ci ha colto alla sprovvista. Abbiamo comunicato l'incidente nel
giro di mezz'ora e i quattro operai coinvolti sono stati portati
immediatamente all'infermeria interna", aggiunge il responsabile Dow.
Adesso le autorità stanno compiendo dei sopralluoghi allo stabilimento per
valutare se ci sono i presupposti per aprire un'inchiesta. Non ci sono
quindi ancora notizie certe sulle sorti dell'impianto, la cui attività è
ferme da ieri sera. Alla Dow, che ha acquistato la divisione poliuretani
nel febbraio 2001 da Eni (gli altri stabilimenti si trovano a Brindisi, Prio
lo (Siracusa) e Tertre (Belgio), sono pronti a risolvere la situazione nel
più breve tempo possibile e a riprendere la produzione non appena saranno
concluse le verifiche del caso. Per il momento, come spiega Casciato,
"sappiamo solamente che lo scoppio è stato causato dal surriscaldamento di
uno dei serbatoi del reparto Td5 della Dow Poliuretani impegnati nella
produzione di Tdi", aggiunge il responsabile comunicazione Dow.
L'esplosione, quindi, ha causato la fuoriuscita del toluene, una sostanza
che serve per distillare il Tdi rimanente dalla miscela. "Fortunatamente
l'incendio ha bruciato la miscela di toluene, incenerendola e scongiurando
la diffusione di sostanze tossico nocive fra la popolazione. I fumi,
inoltre, non hanno superato i limiti dell'area dello stabilimento anche
grazie alla quasi totale assenza di vento", concludono alla Dow. Duri i
commenti delle associazioni ambientaliste, Fulco Pratesi, presidente del
Wwf, ha infatti dichiarato che "Marghera è una zona a rischio delle più
pericolose tra
le numerose che esistono lungo le coste italiane: 'bombe a orologeria che
potrebbero dare problemi gravi nei prossimi anni anche perché obsolete''.
Da parte di Federchimica, dove proprio il giorno precedente all'incidente
si è svolto il convegno "Certificazione, quali vantaggi per le imprese e la
comunità", non c'è ancora nessuna presa di posizione ufficiale.
L'associazione delle imprese del settore, infatti, aspetta di avere notizie
più dettagliate sulle cause dello scoppio. "Sembra chiaro che il sistema
industriale di Marghera sia prossimo al collasso": dice il presidente della
giunta regionale Giancarlo Galan. "E' diventato urgente, drammaticamente
urgente garantire la sicurezza di chi ancora vi lavora e di chi vive
nell'intera area veneziana. Probabilmente ha ragione chi pensa ad
alternative radicali per il futuro di quest'area. In breve, è bene che si
avvii al più presto il ripensamento su di un'area che deve poter vivere
secondo gli schemi di un corretto equilibrio ambientale e non, come è stato
fino a
d ora, in una continua e permanente emergenza ambientale". "Mi sembra che
l'allarme sia partito ancora una volta troppo tardi" osserva il prosindaco
di Mestre Gianfranco Bettin. L'ecologista Fulco Pratesi ha rilevato che
Marghera è "una zona a rischio delle più pericolose" tra le numerose che
esistono lungo le coste italiane: "bombe a orologeria che potrebbero dare
problemi gravi nei prossimi anni anche perché obsolete. Aver costruito una
cosa come quella accanto a Venezia è una follia. Sarà stata fatta molti
anni fa ma è una follia lo stesso". "Anche in questo caso, come nel
disastro di Bhopal, (accaduto 18 anni fa) l'azienda non ha comunicato
tempestivamente i composti che si sono sprigionati, rendendo impossibile
come a Bhopal un mirato intervento sanitario qualora ce ne fosse stato
bisogno - accusa Fabrizio Fabbri, direttore scientifico di Greenpeace -; se
il rogo si è sviluppato in un deposito di peci clorurate, che sono
pericolosi scarti di lavorazione, non si è liberato nell'aria solo del
toluene, ma
le sostanze più pericolose per la salute che si possa immaginare, come pcb,
diossine, furani ed esaclorobenzene". Per Greenpeace, "l'accordo sulla
chimica, siglato tra tutte le parti sociali per migliorare la situazione
ambientale, è ormai carta straccia. Lo dicono gli operai, lo dicono il
presidente della Regione ed il prosindaco di Mestre che a Marghera si vive
in una continua e permanente emergenza ambientale, che il sistema
industriale è prossimo al collasso e che bisogna immediatamente ripensare
il futuro dell'area, non lo diciamo solo noi". Solo la delocalizzazione
delle produzioni pericolose e la bonifica dei siti inquinati può evitare il
ripetersi di incidenti. Lo afferma la Legambiente secondo cui "Marghera è
una bomba ad orologeria. Industrie a rischio di incidente rilevante,
rifiuti tossici, fanghi contaminati: tutto pronto a saltare per un
inconveniente. Un piccolo incendio, a Marghera, innesca una situazione da
allarme rosso. Un'inondazione può diffondere sul territorio sostanze
altamente tossic
he e contaminare il territorio. Un'esplosione innescherebbe un effetto
domino tale che non tarderebbe ad arrivare al centro abitato di Marghera e
anche a Venezia". "Chiederemo risposte chiare all'azienda sulle misure da
adottare per prevenire ulteriori eventi" annuncia Renzo Morosini a nome del
consiglio di fabbrica del Petrolchimico. "L'allarme è scattato alle 19.45.
In tre minuti erano già presenti sul posto i nostri uomini addetti alla
sicurezza. Nonostante quanto accaduto è un impianto all'avanguardia in
termini di tecnologia". La necessità di mandare avanti il lavoro di
riconversione delle attività industriali di Marghera è stata al centro
della presa di posizione del Presidente della Provincia di Venezia, Luigino
Busatto. "L'incendio al Petrolchimico ha riproposto in tutta la sua gravità
il problema della sicurezza per la popolazione che vive a ridosso di
un'area industriale tra le più pericolose d'Europa". "Insufficiente, per
non dire pessimo o indecente", il presidente del Consiglio regionale del Ven
eto, Enrico Cavaliere (Lega), definisce così il modo in cui il servizio
"pubblico radiotelevisivo" ha informato i cittadini sull'incidente di
Marghera. "Non so di chi siano le responsabilità di una gestione così
disastrosa del ruolo dell'informazione pubblica se sia cioè dipesa dai
vertici romani di viale Mazzini e di Saxa Rubra o da quelli veneziani di
Palazzo Labia, sede regionale della Rai Veneto. Certo è che non ci sono
scusanti che giustificano un comportamento così scandaloso". "C'è un patto
per la chimica che deve essere rispettato; bisogna gestirlo in modo da
uscire in positivo da situazioni a rischio". Lo ha detto Nicola Tognana,
vicepresidente di Confindustria, commentando con i giornalisti, a Treviso,
la fuga di gas a Marghera. "Evidentemente noi possiamo pensar e di avere
dei rischi calcolati, ma il rischio zero assoluto non esiste, perché non
esiste neppure in casa", precisa Tognana. "Per Porto Marghera penso che sia
venuta l'ora di pensare di cambiare radicalmente". Lo ha ribadito il
presidente
della Regione del Veneto Giancarlo Galan. "Certo è una situazione
difficile, complicata. Intanto c'è un problema di base: è meglio tenere la
chimica tutta concentrata in un posto, o forse non è più pericoloso
dividerla in dieci posti diversi? Altra domanda: può restare lì sulla
gronda lagunare, in laguna di Venezia, nell'ecosistema più delicato del
mondo? E se decidiamo di no, occorre tenere conto che ci sono migliaia e
migliaia di persone che dipendono da Marghera. Certo col senno di poi non
l'avremmo mai dovuto costruire quel sito e oggi ci dobbiamo porre
seriamente il problema di trasferirlo, credo che sia venuto il momento".