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italia,un futuro sostenibile
da boiler.it 2 - 10 2002
Italia, un futuro sostenibile
Un paese ricco e in crescita, ma con un livello di istruzione e una spesa
per la salute e la cultura al di sotto della media europea. Migliora la
tutela ambientale, anche se l’uso delle risorse naturali non è dei più
efficienti. La situazione, infatti, è abbastanza positiva solo nei consumi
di energia rispetto alla produzione di ricchezza, nella crescita delle
fonti rinnovabili e nello sviluppo della raccolta differenziata. Molti
altri indicatori, invece, sono negativi: dai consumi di materiali, ai
consumi idrici, dal prelievo di risorse biologiche marine, alla nuova
superficie costruita, alla produzione di rifiuti in continuo aumento. È
questo il quadro che esce da un nuovo rapporto, realizzato dall’Istituto
sviluppo sostenibile Italia, che per la prima volta “fotografa” lo stato
della sostenibilità attraverso i suoi tre pilastri: economia, società e
ambiente.
Economia, ambiente, risorse: gli indicatori chiave
di Ivano Bollitore
L’ITALIA È UN PAESE RICCO e in crescita: aumenta sia il reddito, sia
l’aspettativa di vita media, tra le più elevate nel mondo. È in testa alle
classifiche mondiali per numero di auto, di telefoni cellulari e di uso
della televisione, ma ha un livello di istruzione e una spesa per la
salute, la sicurezza e la cultura al di sotto della media europea. Per quel
che riguarda la tutela ambientale sembra esserci stato un miglioramento,
anche se non si può dire si sia raggiunto né un buono stato né una buona
gestione e il quadro potrebbe rapidamente peggiorare se il ciclo
riformatore degli anni Novanta fosse interrotto. Nell’uso delle risorse
naturali l’Italia è poco efficiente. Registra, infatti, una situazione
abbastanza positiva solo nell’andamento dei consumi di energia rispetto
alla produzione di ricchezza economica, nella crescita delle fonti
energetiche rinnovabili e nello sviluppo della raccolta differenziata e,
quindi, del riciclo dei rifiuti urbani. Molti altri indicatori sono,
invece, negativi: dai consumi di materiali, ai consumi idrici; dal prelievo
di risorse biologiche marine, alla nuova superficie costruita, alla
produzione di rifiuti in continuo aumento. La situazione peggiore si
registra nel settore dei trasporti stradali, principale responsabile del
peggioramento della qualità ambientale delle città e dell’aumento delle
emissioni di gas serra.
In conclusione, dieci anni dopo Rio, all’indomani di Johannesburg, l’Italia
non si è ancora incamminata sulla via di uno sviluppo sostenibile, benché
disponga di risorse e capacità per poterla percorrere. Di questo si occupa
Un futuro sostenibile (Editori Riuniti 2002, 15 euro), il primo rapporto
dell’Istituto sviluppo sostenibile Italia, un nuovo think tank di esperti
di problemi ambientali e globali presieduto dall’ex ministro dell’Ambiente
Edo Ronchi. Il rapporto è suddiviso in due parti: l’analisi statistica di
30 indicatori chiave (10 socio-economici, 10 ambientali e 10 di uso delle
risorse) e da monografie su temi cruciali per la sostenibilità (cambiamenti
climatici, politiche europee e globali, mobilità). La scelta degli
indicatori-chiave e degli obiettivi da raggiungere è stata effettuata
cercando di definire la qualità dello sviluppo economico: livelli di
benessere socioeconomico e relativo andamento del carico sull’ambiente e
dell’uso di risorse (materia, acqua, energia, territorio). Ma ecco, in
sintesi, i risultati del rapporto.
Economia e società
Degli indicatori socioeconomici, tre risultano in evoluzione positiva
(aspettativa di vita, tasso nazionale di disoccupazione, e reddito
procapite), mentre gli indicatori legati alla distribuzione della ricchezza
(indice Dini di distribuzione del reddito, tasso di disoccupazione nel Sud
e tasso di attività femminile) risultano in tendenza negativa e comunque
lontani dagli obiettivi. Un indice integrato per definire benessere, salute
e sicurezza, mostra un livello qualitativo inferiore alla media europea
anche se in lieve miglioramento; in tendenza negativa gli aiuti allo
sviluppo e in lieve miglioramento gli investimenti nella ricerca
scientifica anche se ancora ben distanti dall’obiettivo.
Indice migliore: aumento reddito procapite
Indice peggiore: distribuzione ricchezza (indice Dini, disoccupazione Sud e
attività donne)
Ambiente
Una tendenza ancora negativa si registra nelle emissioni di gas serra,
nell’andamento dell’inquinamento nelle principali città (a causa di benzene
e polveri) e all’abusivismo edilizio, un tema questo tutti italiano. Un
andamento tendenzialmente positivo – anche se non sempre con un tasso
sufficiente - si registra nelle emissioni di diossine e furani, chilometri
di costa inquinata, certificazioni ambientali, riduzione del consumo di
fitofarmaci in agricoltura, aumento delle aree naturali protette. Un
andamento invece oscillante e più incerto riguarda gli incendi boschivi.
Indice migliore: aumento aree protette
Indice peggiore: aumento emissioni di gas serra
Uso di risorse
Pochi indicatori in questo campo mostrano andamenti positivi: il consumo di
energia per unità di ricchezza prodotta, la lieve ripresa della produzione
di energia rinnovabile. Sui rifiuti si registrano due tendenze opposte: a
fronte di un deciso aumento della quota di raccolta differenziata (anche se
distante dall’obiettivo), il volume totale dei rifiuti prodotti continua a
crescere (come del resto in tutt’Europa). Registrano tendenze negative gli
altri indicatori di risorse: consumo diretto di materiali in crescita
(anche se dal livello migliore in Europa), consumo di acqua dolce,
sfruttamento delle risorse ittiche, e molto grave il rapporto tra il
trasporto ferroviario e quello su strada. Un andamento incerto ha invece
la superficie costruita che ha risentito positivamente delle politiche
favorevoli al recupero edilizio avviate negli ultimi anni.
Indice migliore: andamento raccolta differenziata rifiuti
Indice peggiore: andamento quota trasporto su strada
L’indice ISSI consente di integrare i 30 indicatori chiave tenendo conto
delle parziali sovrapposizioni e correlazioni statistiche tra i diversi
parametri. Ne emerge un andamento oscillante nel decennio, con una lieve
tendenza al miglioramento negli ultimi anni Novanta, anche se ancora
distante dall’andamento necessario a raggiungere l’obiettivo nel medio
periodo (2012). Fatto 100 tale obiettivo, l’Italia mostra un indice di
circa 35 nel 1999 anche se in lieve crescita. In conclusione, nel corso del
decennio passato si è avviato un percorso verso una maggiore sostenibilità
anche se ancora debole e incerto. Il set di indicatori ambientali mostra
l’andamento meno negativo, mentre quello di consumo delle risorse mostra la
tendenza peggiore. Il blocco delle politiche attive in diversi settori –
che danno risultati spesso dopo un certo lasso di tempo – potrebbe far
regredire rapidamente la situazione verso una maggiore insostenibilità
dello sviluppo in Italia.
Un futuro sostenibile per l’Italia.Rapporto Issi 2002
a cura di Edo Ronchi
Editori Riuniti 2002
15 euro – 328 pagine
Misurare la sostenibilità
di Toni Federico (coordinatore Gruppo indicatori Issi)
da Un futuro sostenibile per l’Italia. Rapporto Issi 2002 (Editori Riuniti,
15 euro)
AMBIENTE E SVILUPPO rappresentano tematiche fortemente conflittuali nella
misura in cui le risorse disponibili sul pianeta, un sistema
termodinamicamente chiuso che riceve energia soltanto dal sole, sono
limitate. Perché il pianeta sopravviva in una situazione di ulteriore
aumento della popolazione mondiale, occorre trovare un equilibrio. Lo
sviluppo sostenibile è nato nel corso degli anni Ottanta come concetto di
sintesi, per stabilire le regole di un possibile equilibrio, ed entra a far
parte integrante del dibattito e dei negoziati internazionali sull’ambiente
nei primi anni Novanta. Contrariamente al convincimento di molti, si tratta
di una nozione di natura scientifica che prefigura una possibile soluzione
di un problema sistemico di stabilità intertemporale (durabilità) per il
sistema planetario, regolato da un insieme complesso di relazioni e di
leggi, in presenza del vincolo dell’esauribilità delle risorse. Come in
tutti i sistemi complessi, le soluzioni sono molteplici e, talvolta, solo
parzialmente soddisfacenti. Il quadro si complica quando la soluzione
cercata viene ulteriormente vincolata sulla base delle preferenze che sono
espresse dai diversi gruppi di pensiero. L’insieme delle preferenze
costituisce l’indispensabile “visione” del futuro del pianeta, il
desiderato “guard rail” del cammino dell’umanità.
In un contesto di visioni soggettive non è tutto condiviso, molte questioni
restano controverse. Questa è la ragione per la quale il concetto di
sviluppo sostenibile è stato dotato di principi sui quali è stato possibile
trovare un accordo: il principio di equità, di responsabilità condivisa, di
sussidiarietà. Altri principi restano oggetto di discussione e di veri e
propri conflitti, come il principio di precauzione. Alcuni di essi sono
stati raccolti nella lista dei ventisette principi dello sviluppo
sostenibile, concordati a Rio de Janeiro al Summit della Terra del 1992;
altri, come l’obbligo dell’eliminazione della miseria dal mondo,
solennemente ribadito dai governanti nei Principi del Millennio di fine
secolo, restano lettera morta.
Ancora più controverso appare il significato operazionale dello sviluppo
sostenibile. L’Agenda 21, documento principe sulle modalità attuative dello
sviluppo sostenibile, nel quale si richiamano i compiti e le responsabilità
dei governi e dei soggetti sociali, conserva la propria validità ed il
fondamentale valore di guida globale. Rilanciata per la prima volta a New
York dall’Ungass, Assemblea speciale dell’Onu a cinque anni da Rio, verrà
riconfermata nel secondo Vertice della Terra, la Conferenza Mondiale di
Johannesburg, prevista per il settembre del 2002, il cui fine è lo sviluppo
sostenibile: una soluzione, cioè, con i suoi problemi, non un problema con
le sue possibili soluzioni come accadde dieci anni prima a Rio de Janeiro.
L’Agenda 21 evidenzia la necessità di dotare i principi dello sviluppo
sostenibile di un solido retroterra di ragioni scientifiche documentate da
misurazioni, indicatori e modelli matematici. Nella realtà delle cose,
soltanto dopo dieci anni vengono a maturazione nelle strategie per lo
sviluppo sostenibile sviluppate dai governi e dalle Agenzie internazionali
le esigenze di associare a esse i necessari indicatori dotati di target e
di tempi di attuazione. L’ Unione Europea solo di recente, al Consiglio di
Barcellona 2002, ha messo a punto gli indicatori e le modalità di reporting
annuale per la verifica della sostenibilità. Purtroppo, l’Italia non è
ancora capace di dotarsi di un’Agenda 21 e di un processo credibile di
attuazione. Molto spesso sono state le Ong ambientaliste a sviluppare
progetti adeguati di indicatori globali di sostenibilità, spesso di grande
respiro, come Ecological Footprint, Environmental Space, Total Material
Requirement, Genuine Saving etc.
Nonostante scetticismi e ritardi, molti sono gli obiettivi positivi
espressi nel decennio all’interno dei quadri negoziali dei Multilateral
Environmental Agreement (Mea). Particolare attenzione merita il target
dello 0,7 per cento per gli aiuti allo sviluppo (Oda) da parte dei paesi
ricchi, affermato a Rio, e via via disatteso e dimenticato, fino alla
recente liquidazione nel Vertice di Monterey (2002) sugli aiuti allo
sviluppo, in nome delle trionfanti teorie neoliberiste patrocinate dagli
Usa. La riduzione delle emissioni mondiali di CO2 su base 1990, convenuto
nella misura del 5,2 per cento nel corso della Cop di Kyoto della
Convenzione Globale sul Clima, essa pure varata a Rio, ha monopolizzato il
dibattito dal 1997 in poi. Se pur si tratta di un obiettivo insufficiente a
fermare l’effetto serra, ha il merito di aver fissato per la prima volta in
modo chiaro che la global governance dell’ambiente e dello sviluppo
sostenibile passa obbligatoriamente attraverso la fissazione di obiettivi
chiari e quantitativi, di tempi di conseguimento e di indicatori per la
verifica. È proprio dalla precisazione degli obiettivi che lo sviluppo
sostenibile ricava forza e concretezza.
Rappresentare fenomeni complessi attraverso equivalenti numerici e
indicatori non è una tradizione consolidata e non è ancora una pratica
corrente. Vi sono, tuttavia, alcune eccezioni. In economia è invalso l’uso,
peraltro criticabile, di associare il concetto di ricchezza e di benessere
al prodotto interno lordo (Pil), un indice di fine Ottocento, divenuto
popolare nel dopoguerra. Il Pil appare inadeguato a rappresentare la
ricchezza reale di un paese, poiché incapace di descrivere le reali
componenti del benessere e la ricchezza costituita dalle risorse naturali,
dalla cultura, dalla tecnologia, dai saperi, dall’ambiente e dalla qualità
della vita. Probabilmente è inadeguato anche come indice della pura e
semplice crescita economica. Alcuni indici di crisi, quali il tasso di
inflazione ed il tasso di disoccupazione, sono ormai divenuti familiari ai
più. Il bombardamento mediatico ci impone indici borsistici e finanziari.
La maggioranza dei cittadini li avverte essenzialmente in funzione delle
variazioni giornaliere, connesse a concetti di utilità immediata come
vendere o comprare titoli, mentre il reale significato dei valori assoluti
è ignoto.
La società dell’informazione e della comunicazione, ormai fondamentalmente
globalizzata, necessita invece di certezze, di numeri e di indicatori al di
là ed al di sopra delle distanze e delle lingue. La questione ambientale,
nell’ambito della quale finalmente molti fenomeni rilevanti cominciano a
essere valutati e misurati in maniera adeguata, non può fare a meno di
numeri e cifre. Gran parte delle Autorità e delle Agenzie ambientali nel
mondo sono nate negli ultimi quindici anni anche con l’obiettivo della
disseminazione di informazioni corrette e puntuali sullo stato
dell’ambiente. L’ambizione dei progetti degli indicatori di sviluppo
sostenibile è di dissipare l’aleatorietà e la soggettività intorno ai
fenomeni ambientali, di superare definitivamente la visione emergenziale
dei problemi che ha talvolta contaminato l’opinione pubblica e di vincolare
le scelte e le decisioni a incontrovertibili riscontri obiettivi.
Indicatori e target debbono articolarsi in un mosaico leggibile e
ragionevole, efficiente per le amministrazioni, chiaro e comprensibile per
la pubblica opinione.
La questione scientifica, intesa in senso stretto, non può però passare in
seconda linea rispetto alle necessarie semplificazioni
informativo-comunicazionali. Esistono regole precise, sistemiche, che
definiscono la capacità degli indici di sviluppo sostenibile di
rappresentare, in tutti gli aspetti, lo stato e l’evoluzione del macro
sistema società-economia-ambiente. Non si tratta di addomesticare la
complessità, ma di articolare i fenomeni in gerarchie di aggregati
osservabili per sintesi e integrazioni, sia verticali sia orizzontali,
rappresentati da espressioni quantitative appropriate al livello di
aggregazione. Indici e indicatori, dall’alto verso il basso, devono
accrescersi di numero e di dettaglio in modo da rappresentare con rigore i
fenomeni e i processi, anche nel loro evolversi.