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La sfida di Shiva alle multinazionali
INTERVISTA CON L'ECOLOGISTA INDIANA, PALADINA DEI DIRITTI DEI
CONTADINI, IN QUESTI GIORNI IN ITALIA PER IL VERTICE DELLA FAO
La sfida di Shiva alle multinazionali
<<Nei prossimi anni il Sud del mondo avra' un ruolo fondamentale>>
Al modello della globalizzazione a ogni costo, propone di sostituire
la tutela delle diversita' e un mercato dalla parte dei consumatori
di Denise Murgia
Vandana Shiva, ecofemminista indiana, laureata in fisica, direttrice
dell'Istituto indipendente "Fondazione di Ricerca per la Scienza,
la Tecnologia e l'Ecologia" di Nuova Delhi, da 20 anni dedica
la sua vita allo studio e alla ricerca sulle principali questioni
ecologiche, portando avanti importanti battaglie per la tutela
della diversita' biologica e dei saperi tradizionali delle popolazioni
indigene contro i tentativi monopolistici delle grandi multinazionali
dell'agrobusiness. Tra gli innumerevoli riconoscimenti (nel 1993
ha ricevuto il Right Livelihood Award, Premio Nobel alternativo),
il Premio AcquiAmbiente, premio speciale "Ken Saro Wiwa". E'
stato in occasione della premiazione di quest'ultimo, svoltasi
ad Acqui Terme il 21 aprile 2002, che abbiamo potuto incontrarla.
Lei ha dato vita e opera all'interno del movimento Navdanya.
Quali sono i punti fondamentali della vostra azione?
<<Cio' che noi sosteniamo e' che dobbiamo avere quattro sovranita'
fondamentali: 1) dobbiamo avere la sovranita' sulla nostra terra,
e la nostra terra non puo' essere sottoposta al controllo delle
multinazionali, e questo e' l'aspetto politico; 2) dobbiamo avere
la sovranita' sulla nostra biodiversita', la nostra biodiversita'
non puo' diventare monopolio, il monopolio brevettato, di 5 multinazionali
in tutto il mondo; 3) dobbiamo avere la sovranita' sul nostro
cibo, e il nostro cibo non puo' essere distrutto da quattro o
cinque aziende dell'agro-business; 4) dobbiamo avere la sovranita'
sulla nostra acqua, che e' stata anch'essa privatizzata. I sistemi
di irrigazione che sono stati privatizzati, in India, costano
dieci volte tanto. Ecco perche' i contadini stanno morendo: il
costo dell'acqua e' aumentato del 20% ovunque sia stata introdotta
la privatizzazione>>.
Quali vie d'uscita vede? Che le multinazionali falliscano prima
che facciano ulteriori danni?
<<Esattamente. Credo che un'altra chance sia sapere che loro
falliranno, e non aver paura del breve periodo. Dovrebbero riconoscere
l'insostenibilita' della struttura, anche per loro stesse. Per
quanto riguarda noi ritengo che il modo per sconfiggerle prima
che distruggano troppo sia mettere la nostra liberta' contro
la loro e difenderla tenacemente, celebrare la nostra diversita',
rifiutare la monocoltura, e non permettere che ci governino con
la paura, il controllo e la manipolazione, ed essere gioiosi
e pieni di speranza>>.
Crede che questo sia possibile anche in Europa dove le normative
comunitarie in materia di agricoltura vincolano anche i piccoli
produttori?
<<Credo che la liberta' fondamentale sia fare da se, l'obbligo
fondamentale sia fare da se. Fare per se stessi, se si vuole;
se non si vuole si puo' andare dal proprio vicino; ma se lo si
vuole, le proprie leggi e la propria economia non dovrebbero
impedirlo. Questo e' il problema: non e' detto che si produca
formaggio ogni giorno, ma se si vuole farlo non devono essere
le multinazionali ad impedirlo. La globalizzazione ha portato
ad una regolamentazione ossessiva nei confronti dei cittadini,
che vengono trattati come se fossero totalmente malati, e allo
stesso tempo ad una deregolamentazione per le aziende>>.
Con tutto cio' ci vuole dire che occorre uscire dal sistema
di mercato?
<<No! Non significa stare fuori dal mercato: significa creare
un mercato migliore. Noi lo facciamo in India con la vendita
diretta. Abbiamo iniziato, rispondendo alle richieste dei contadini,
con il creare un mercato diretto, questo significa che portiamo
i loro prodotti direttamente sul mercato, in parte perche' noi
non sosteniamo i prodotti chimici ma solo quelli organici, ma
anche perche' e' ricco di diversita'. Adesso abbiamo un incredibile
festival d'arte, i contadini portano i loro raccolti alle nostre
fiere alimentari e vengono con le loro ricette tradizionali che
le casalinghe di citta' vogliono imparare. Due anni fa ogni bambino
a Delhi beveva solo Coca Cola o Pepsi, adesso puo' andare da
qualsiasi parte e avere una bevanda tradizionale>>.
A quanto pare i contadini rispondono alla vostra politica,
vedono i benefici di tutto questo. E i consumatori? In fondo
sono loro che acquistano i prodotti e fanno la differenza tra
il mercato per la produzione globale e quello per la produzione
locale.
<<Si'. Noi rispondiamo alle richieste dei contadini, a nostra
volta. Per quanto riguarda i consumatori, Navdanya ha creato
un'unione di consumatori e produttori e noi li portiamo insieme
ai festivals e alle fiere; i nostri soci consumatori ordinano
cio' di cui hanno bisogno, i nostri contadini ci dicono cio'
di cui hanno bisogno, e noi cerchiamo di unire le due cose>>.
Su cosa sta lavorando attualmente? Navdanya? E cos'altro?
<<Navdanya ha creato un movimento vasto; continuiamo con l'attivita'
di conservazione dei diversi semi (la salvaguardia dei semi e'
una cosa che ho imparato dai contadini), con l'agricoltura biologica,
con la vendita diretta. Ma, oltre a cio', abbiamo ampliato il
lavoro di Navdanya per creare movimenti di base democratici e
fare passi avanti contro la globalizzazione. Noi li chiamiamo
democrazia della terra perche' si tratta della democrazia di
tutto il mondo, democrazia per tutte le specie. Questo significa
liberta' per tutti, non solo per qualcuno o per qualche multinazionale.
E' una democrazia basata sul principio dell'autogoverno locale,
dell'economia locale, votata ad affrontare i problemi della violenza,
che sta aumentando, i problemi della proprieta' e i problemi
della sostenibilita'. Vediamo la democrazia della terra come
il prossimo passo del nostro movimento per il mantenimento della
diversita'. Non e' solo il problema della biodiversita', ma comprende
anche quello della diversita' culturale nella democrazia. Perche'
dopo l'11 settembre, dopo le leggi antiterrorismo, con i governi
che ovunque creano sistemi che danno vita a una societa' che
diventa sempre piu' violenta e intollerante, abbiamo bisogno
di un altro modo di pensare la nostra vita e il nostro mondo
e per noi questo modo e' la democrazia della terra. In indhi
la chiamiamo Jaiv Panchayats, jaiv - che significa vivere - e
panchayats che in India e' la democrazia locale; percio' democrazia
della terra e' democrazia viva in contrapposizione alla democrazia
morta>>.
Il prossimo mese di settembre si terra' a Johannesburg il Vertice
delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile. A dieci anni
dal Vertice della Terra di Rio de Janeiro, quali sono stati,
secondo lei, i fallimenti di Rio, e che aspettative ha per Johannesburg?
<<Il principale fallimento del Vertice di Rio e' che i governi
hanno portato avanti l'agenda della globalizzazione e non hanno
rafforzato gli obblighi sottesi all'agenda stessa. Si tratta
di un fallimento intenzionale. Riguardo Johannesburg c'e' un
tentativo di presentarlo come se non avesse niente a che vedere
con l'ambiente. Vanno in giro dicendo "non usate la parola Terra
in relazione all'incontro, non chiamatelo il Vertice della Terra".
Per me e' il vertice della Terra, il vertice della terra della
gente, perche' mobiliteremo la gente, i bambini intorno ad esso.
Prima della Rivoluzione industriale, anche in Europa la gente
vedeva la terra come un qualcosa di vivente, non come una cosa
morta. In seguito la terra vivente non fu piu' generatrice di
vita e le donne che continuavano a relazionarsi con questa terra
viva, usando piante medicinali e operando guarigioni, furono
bruciate come streghe. Un'inquisizione simile e' in atto in questo
momento, prima furono bandite le parti viventi della terra, adesso
vogliono bandire la terra, e far credere che il cibo locale,
che viene dal suolo e dalla biodiversita' o dai semi, venga dalla
Monsanto. Vorrebbero farci credere che sono i soldi e la tecnologia
a far andare avanti il mondo e non la gente e la natura. La sfida
della vita e' riconoscere che noi dipendiamo dalla natura, ma
anche che la gente e' il filo dell'economia, della societa',
della cultura; e l'economia non sono i 3 miliardi di dollari
che si muovono al giorno, questa non e' un'economia, e' una falsa
economia. Questo significa che sono le multinazionali a dire
quello che vogliono fare, se vogliono volontariamente etichettare
gli organismi geneticamente modificati ce lo diranno loro, noi
dovremmo lasciarle libere di fare. Io ho un messaggio molto semplice
per Johannesburg e tutti gli stati del pianeta: fate che la gente
stia al centro, fate che la natura stia al centro, mettete le
multinazionali sotto controllo e rendete i governi responsabili>>.
Andra' a Johannesburg?
<<Si', ci andro'. Non voglio che passi un messaggio negativo.
Voglio che passi un messaggio di speranza, di democrazia, di
fiducia, responsabilita>>.
Quale puo' essere l'equilibrio tra il modello che lei prospetta
e il modello industriale occidentale? Crede che i paesi occidentali
siano pronti ad affrontare un simile cambiamento?
<<Il primo elemento della globalizzazione e' che ci viene imposto
un cattivo modello. Per me il primo passo deve essere quello
di bloccare la distruzione di culture ed economie sostenibili,
il che avviene attraverso l'esportazione di modelli alternativi
in tutto il mondo, attraverso aiuto, sussidi e coraggio. Quindi,
se riusciamo a proteggere il Terzo mondo dalla distruzione l'occidente
stesso sara' in grado di cambiare dall'interno. Il dibattito
in questo momento non e' se l'Occidente vuole cambiare, bensi'
se ha il diritto di distruggere il Terzo Mondo>>.
Quali sono i contenuti che il Sud del mondo puo' dare al paradigma
politico della sostenibilita'?
<<Credo che il primo elemento sia la biodiversita', solo il
Sud sa come conservarla e usarla in modo sostenibile. In secondo
luogo, la maggior parte del Sud non e' ancora bloccato in un
sistema di mercato obbligatorio, percio' puo' ancora fare un'altra
scelta. Credo che l'insegnamento piu' importante per la sostenibilita'
che il Sud puo' dare, sia il fondamentale riconoscimento che
le risorse della terra sono pensate per sostenere l'intera vita,
non possono essere trasformate in merci, trasformate in proprieta'
di cinque multinazionali dell'acqua che cercano un mercato da
tre miliardi di dollari, o di cinque aziende delle sementi e
della biotecnologia che ugualmente cercano un mercato di tre
miliardi di dollari. Oggi cinque multinazionali vogliono prendere
tutta l'acqua, tutti i semi e dirci che dobbiamo pagare loro
i diritti di proprieta': ci devi pagare per bere ogni sorso d'acqua,
ci devi pagare per piantare ogni seme. Il Sud invece vive ancora
in una cultura che riconosce che i semi appartengono alla natura
e devono ritornare alla natura ed che e' nostro dovere piantarli
nuovamente; e per questo non possiamo essere trattati come ladri>>.
E' contraria ai brevetti?
<<Sono totalmente contraria ai brevetti sulla vita>>.
Quando parlate del riconoscimento dei saperi tradizionali delle
popolazioni indigene, che cosa intendete?
<<Riconoscere significa riconoscere l'esistenza di qualcosa
e che nessuno ha il diritto di possedere questo qualcosa. Parliamo
di proprieta' comune, di proprieta' collettiva. E in realta'
non e' neanche una proprieta'. Vogliamo il riconoscimento dell'acqua
e della biodiversita' come beni comuni, di cui dobbiamo prenderci
cura insieme. La comunita' ha il diritto di usare le risorse,
ma ha il diritto di usarle, non di possederle, il diritto di
usarle e il diritto di evitare certi tipi di abusi, ma non si
tratta di diritti di possesso esclusivo. Infatti, e' stato il
colonialismo a mettere la nostra terra sotto proprieta', noi
potevamo usare la terra, potevamo coltivarci il cibo, ma non
era nostra da poterla comprare e vendere, furono gli inglesi
ad introdurre il concetto di privatizzazione delle risorse, le
merci, che passando di mano in mano diventano una proprieta'
privata. Il termine privato deriva dal latino privare, che significa
significa togliere agli altri, non condividere. E cio' di cui
abbiamo bisogno e che il Sud puo' dare, e che le donne possono
dare e' il riconoscimento che se tu vuoi avere parte della mia
tazza di caffe', e' mio dovere dartela, non ho diritto di dire
"pagami">>.
[ La Nuova Sardegna, venerdi' 14 giugno 2002 ]