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gela il conflitto fra occupazione e ambiente
da liberazione sabato 9 marzo
Gela, la strada è riconvertire il petrolchimico
Il conflitto tra occupazione e ambiente
Gela è una città sfregiata, un territorio massacrato e snaturato, regalato
all'Eni che ha costruito il sogno meridionale del miracolo italiano, il
mito del progresso legato esclusivamente allo sviluppo della chimica. Erano
gli anni del boom economico nazionale, quelli descritti da Paolo Volponi e
Ottiero Ottieri nei loro romanzi, quando la Sicilia diventava il polo
nazionale della chimica: Milazzo, Augusta, Priolo, Gela.
Oggi appaiono evidenti gli errori di quella sfida, e le ultime vicende che
hanno coinvolto il petrolchimico di Gela ci parlano di una falsa
contrapposizione tra salute, ambiente e lavoro.
Lo stabilimento deve continuare a vivere, ne vale l'economia di una intera
città, lo sviluppo economico e sociale di un pezzo della Sicilia, infatti
il petrolchimico di Gela conta tremila lavoratori a cui si aggiungono circa
cinquecento dell'indotto.
Ma negli ultimi anni il processo di privatizzazione dell'Eni ha portato
alla perdita di cinquemila posti di lavoro, ad una precarietà delle
condizioni di lavoro, all'abbattimento della sicurezza.
Il petrolchimico deve continuare a vivere, ma il decreto del Governo
Berlusconi di riclassificazione del pet-coke, da rifiuto a combustibile, è
solo una scorciatoia, un modo subdolo e populista di aggirare l'ostacolo,
non affrontando il tema dell'inquinamento ambientale, delle falde
acquifere, del territorio e i problemi della salute.
I latini dicevano "nomina sunt consequentia rerum", le parole traggono il
loro significato dalle cose, ma con questo tanto agognato decreto, ahimè
anche dal centrosinistra e dalle organizzazioni sindacali, si sancisce il
principio paradossale che ad una sostanza inquinante basta modificare
l'etichetta per farla diventare non dannosa e addirittura salubre. Il
decreto, sollecitato dal governo regionale, è scandaloso, in contrasto con
le direttive europee sull'ambiente e sulla salute.
Noi proponiamo un'altra strada: una legge speciale su Gela, così come si è
fatta per Genova o Bagnoli, per la riconversione eco-compatibile della
fabbrica, garantendo la salvaguardia di tutti i posti di lavoro.
Sono ancora disponibili quaranta miliardi, stanziati dal governo nazionale
nel 1995, per investimenti sulla tutela ambientale ma l'Eni ha chiesto che
venissero utilizzati per lo stoccaggio dell'ammoniaca, e da allora il
Governo regionale non utilizza quelle risorse.
L'Eni è un'azienda che gode di ottima salute, nel bilancio consuntivo del
duemila si è registrato un utile di quattordicimila miliardi, è necessario
che una parte di queste risorse vengano utilizzate nella riconversione
dello stabilimento Agip Petroli di Gela, nella salvaguardia dell'ambiente,
nella sicurezza e in nuovi posti di lavoro.
In questi giorni di chiusura dello stabilimento, più di cento lavoratori
dell'indotto sono stati licenziati e questo è il segnale evidente di una
economia debole, costruita esclusivamente sui profitti delle imprese, che
ha come unica variabile i lavoratori.
Ma un dubbio legittimo ha sfiorato, in questi giorni, la nostra mente: le
intenzioni dell'Eni non sono per niente buone. Infatti, utilizzando il
provvedimento di sequestro dell'impianti da parte della magistratura,
l'azienda sembra voler abbandonare Gela. Non è pura fantascienza, questa
scelta sarebbe perfettamente in linea con le direttive di grandi colossi
industriali, come Breda, Italtel, Blu, che stanno scegliendo di considerare
come un ramo secco la linea di produzione siciliana.
Forse tra qualche anno scopriremo, magari quando finalmente si istituirà un
registro dei tumori per la città, come il rapporto tra emissioni inquinanti
e danni irreparabili per la salute siano strettamente connessi e come la
scelta di questo decreto avrà contribuito anche a danneggiare l'economia e
lo sviluppo del territorio.
Questa vicenda è paradossale, sintomatica del livello di corruzione delle
coscienze e anche di una parte della sinistra che ha invocato a gran voce
che il governo Berlusconi facesse questo decreto.
Del resto non ci possiamo stupire, Gela può essere assunta come la capitale
del marcio nella gestione della cosa pubblica, e in questo un ruolo
preminente è stato svolto dai Democratici di sinistra e i dai cossuttiani,
i quali hanno responsabilità gravissime rispetto al governo della città.
Per noi c'è un filo rosso che lega la vicenda del petrolchimico con le
improvvise dimissioni del sindaco diessino Franco Gallo e questo legame è
sancito dal consorzio "Gela Sviluppo", costituito da una serie comuni del
nisseno e dall'Eni.
Il presidente di questo consorzio è lo stesso ex sindaco di Gela che non
poteva andare a gestire i settecento miliardi previsti dal quadro
comunitario di sostegno se avesse continuato ad essere il primo cittadino
di uno dei comuni del consorzio. Una situazione molto intrigata che ci
parla del ruolo preminente delle organizzazioni criminali che sono pronte a
mettere le mani sulla valanga di miliardi che arrivano dall'Europa,
l'affare del secolo si chiama "Agenda Duemila" e in questo business c'è
anche lo zampino dell'Eni che dopo aver saccheggiato il territorio, deciso
cosa dovevano fare le amministrazioni locali, ridotto in posizione di
subalternità la sinistra e il sindacato, avere inquinata indisturbata il
territorio, avere ottenuto i decreti per tutte le scelte nefaste, oggi si
appresta a co-gestire le risorse comunitarie. Con buona pace dello sviluppo
di una città, dei lavoratori che lottano per il loro futuro e per quello
dei loro figli, quegli stessi studenti che, qualche giorno fa, sono scesi
in piazza per dire che lavoro, ambiente e salute sono elementi di una
stessa battaglia di civiltà.
segretario Prc Sicilia
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