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ecocidio e mucca pazza



dal manifesto di mercoledi 4 luglio 2001

 Carne, j'accuse 
"Ecocidio" di Jeremy Rifkin, dall'antico Egitto ai giorni della "mucca
pazza", una spietata ricostruzione storica, antropologica, economica e
politica dei costi e dei pericoli della cultura della bistecca. Con un
appello rivolto a un mondo popolato da un miliardo di bovini, un'immensa
mandria che occupa il 24 per cento della superficie della terra e che
consuma una quantità di cereali sufficiente a sfamare centinaia di milioni
di persone: la specie umana, se vuole salvare se stessa e il pianeta che la
ospita, è destinata ad andare "oltre la carne" 
FRANCESCA COLESANTI 

Vien voglia di non credergli. Per un estremo istinto di autodifesa e di
sopravvivenza, scorrendo quelle pagine si cerca l'errore, l'esagerazione,
l'estremismo. Non ci sono. Dalle parole di Jeremy Rifkin - presidente della
Foundation on Economic Trends di Washington e docente alla Wharton School
of Finance and Commerce dove tiene i corsi dell'Executive Education Program
sul rapporto tra l'evoluzione della scienza e della tecnologia e lo
sviluppo economico - traspare solo la dura realtà, la cruda realtà, la
realtà della bistecca. E della cultura che l'ha prodotta.
Ecocidio (Mondadori, pp. 373, L. . 35.000) è una affascinante quanto
rigorosa ricostruzione storica dell'ascesa della cultura della carne dagli
albori dell'umanità fino ai nostri giorni, all'epoca della mucca pazza. E
se tutto conosciamo ormai sull'encefalopatia spongiforme bovina e dintorni,
molto abbiamo invece da imparare sui meccanismi che hanno portato le
società industrializzate a fare della carne un pilastro portante della
propria economia, del proprio modus vivendi, con tutte le conseguenze che
ciò comporta sull'ecosistema mondiale.
Sulla base degli elementi tratti dalla ricostruzione storica, economica e
sociopolitica, Jeremy Rifkin non soltanto lancia un appello all'umanità,
affinché superi nel ventunesimo secolo la cultura della bistecca, ma emette
una sentenza dal sapore più che profetico: la specie umana, se vuole
salvare se stessa e il pianeta che la ospita, è destinata ad andare "oltre
la carne". Lo smantellamento del complesso bovino globale e l'eliminazione
della carne dalla dieta umana sono un obiettivo fondamentale dei prossimi
decenni. Nel nuovo mondo che si va formando, secondo l'autore di La fine
del lavoro (1995) e di Il secolo bio-tech del 1998 (entrambi editi da
Baldini & Castoldi) e del volume L'era dell'accesso. La rivoluzione della
new economy (Mondadori, 2000), la natura non è più un nemico da
sottomettere e domare, ma una comunità primordiale di cui far parte. Le
altre creature non sono più oggetti o vittime, ma compagni partecipi di
quella grande comunità della vita che costituisce la natura e la biosfera.

Api, il dio toro, rappresentava per i popoli del Nilo la forza e la
virilità, ci racconta Jeremy Rifkin nel capitolo dedicato a "Il bestiame e
la costruzione della civiltà occidentale", immergendoci per un attimo con
una scrittura quasi fiabesca nella mitologia degli antichi egizi: "Api
simboleggiava il vigore della giovinezza e l'eternità della vita, ed era
incarnato in un toro in carne e ossa che veniva custodito in un santuario e
accudito dai sacerdoti, alla fine dell'anno, Api veniva macellato secondo
un elaborato rituale; la sua carne veniva consumata dal re, che acquistava
così la fiera forza dell'animale, la sua maestosa potenza e la virilità, in
modo da diventare immortale". "Dopo la macellazione e il pasto rituale
delle carni del dio Api - continua a narrare Rifkin -, i suoi resti
venivano mummificati e sepolti in una camera speciale, celata da un
gigantesco sarcofago pesante più di cinquanta tonnellate". Poi, il brusco,
teatrale risveglio nei box degli allevamenti intensivi statunitensi, dove
gli animali vengono castrati, imbottiti di farmaci e messi all'ingrasso.
Raggiunti i cinquecento chilogrammi, i vitelli maturi sono ammassati in
giganteschi camion; il viaggio verso il mattatoio è duro e brutale: ore,
giorni, lungo i percorsi autostradali, senza soste, nutrimento e acqua. "Al
termine del viaggio, gli animali ancora sani vengono fatti scendere; gli
altri, schiacciati sul piano di carico del camion, incapaci di alzarsi o di
camminare, vengono agganciati per gli arti rotti e trascinati giù dal
camion fino alla rampa di carico, dove attendono il proprio turno di
macellazione".
Ma la massima crudezza, Rifkin la raggiunge nel capitolo di Ecocidio
dedicato alla "industrializzazione dei bovini", là dove descrive la catena
all'interno degli impianti di macellazione: "L'animale morto si muove lungo
una catena di smontaggio. Alla prima stazione viene scuoiato. Poi la
carcassa viene decapitata, la lingua tagliata e rimossa; la testa e la
lingua vengono attaccate a ganci che scorrono lungo la catena di
smontaggio. La carcassa, quindi, viene eviscerata: fegato, cuore, intestini
e altri organi interni vengono rimossi. Nella stazione successiva, la
carcassa viene squartata con una motosega lungo la colonna vertebrale e
privata della coda. La carcassa squartata viene lavata con un getto di
acqua tiepida, avvolta in un tessuto e mandata nelle celle frigorifere. Il
giorno seguente i macellai muniti di seghe a nastro smembrano la carcassa
nei tagli canonici: filetto, costata, girello, spalla. I tagli vengono
posti su un nastro trasportatore per la selezione e il confezionamento. I
tagli di carne, affettati, pesati e confezionati sotto vuoto raggiungono
così i banchi refrigerati dei supermercati di tutto il paese, dove vengono
esposti e offerti in vendita".
Il pregio di questo libro - scritto nel 1992 e che per grande coraggio
editoriale o estrema cautela politica la Mondadori ha deciso di pubblicare
ora, soltanto dopo l'apice della crisi della mucca pazza in Italia (sarà
per questo che l'Ecocidio di Rifkin sta transitando nelle nostre librerie
quasi sotto totale silenzio stampa?) - non sta tanto, anzi non sta affatto,
nel facile sensazionalismo che può indurre la descrizione di un mattatoio o
di un allevamento intensivo. Sta invece nell'attenta analisi delle
conseguenze e dei costi per l'umanità che ha comportato il consumo della
carne dai tempi dei conquistadores spagnoli delle Americhe fino alla
giungla automatizzata della "carne moderna" dei nostri giorni.
"Vacche ovunque", titola il primo capitolo della parte quarta, dedicata al
tema "Nutrire le bestie e affamare la gente". "Più di un miliardo di vacche
pascolano nei cinque continenti. Un quarto delle terre emerse è usato per
nutrire bovini e altro bestiame". Questo significa, spiega Rifkin prendendo
ad esempio gli Stati uniti, che il 70 per cento dei cereali prodotti in
America viene utilizzato per l'alimentazione animale. Ma, a fronte di un
utilizzo di 157 milioni di tonnellate di cereali per il nutrimento del
bestiame da macello, la carne consumata dall'uomo è pari a meno di 28
milioni di tonnellate di carne.
"Sfortunatamente - conclude Jeremy Rifkin - tra gli animali domestici i
bovini sono i convertitori meno efficienti di energia, anzi possono essere
considerati le Cadillac degli animali d'allevamento". E, poiché la domanda
mondiale di cereali per l'alimentazione animale è in continua crescita, le
multinazionali incoraggiano i paesi del terzo mondo alla conversione
dell'agricoltura a cereali per il nutrimento dei manzi dei paesi ricchi.
Quando in Etiopia la grande carestia mieteva vittime su vittime, la gran
parte di quella terra era utilizzata per la produzione di mangimi a base di
semi di lino esportati in Gran Bretagna. "Con un terzo della produzione
cerealicola mondiale destinata all'alimentazione animale e la popolazione
mondiale in crescita al ritmo del venti per cento ogni dieci anni, si sta
preparando una crisi alimentare di proporzioni planetarie". E l'impatto
distruttivo dei bovini si manifesta anche nella progressiva
desertificazione di ampie fasce di territorio non soltanto nelle due
Americhe ma anche in Africa e in Asia: foreste abbattute, terre fertili
trasformate in deserti, minacce di profonde e devastanti modifiche climatiche.
Risvegliare nel consesso umano la coscienza del saccheggio dei bovini è un
compito difficile e ingrato. Ma con questo libro Jeremy Rifkin può almeno
dire di aver fatto il possibile.