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ambiente bush o seattle



dalla rivista del manifesto luglio 2001

Materiali per Genova

Massimo Serafini

BUSH O SEATTLE

A1 prossimo G8 di Genova, sui temi ambientali e in particolare su come
fronteggiare i mutamenti climatici, causati dall'aumento della concentrazione
dei gas serra in atmosfera, si riaprirà il confronto e forse lo scontro,
interrottosi alla conferenza dell'Aja fra le posizioni americane e quelle
europee. I1 nodo irrisolto è la ratifica o meno del protocollo di Kyoto
che, va ricordato, per avere valore legale, deve essere sotcoscritto da un
numero di paesi industrializzati rappresencativo di almeno il 55% delle
emissioni dei gas clima-alteranti. L'importanza della posta in palio e'
evidente, come chiara è la differenza fra le due posizioni. Realizzare,
infatti, gli obiettivi previsti dal protocollo, significa dover ridurre
entro scadenze precise le emissioni in atmosfera dei gas clima-alteranti,
in altre parole i consumi d'energia fossile, e di conseguenza dovere
mettere mano a profonde riforme strutturali del sistema dei trasporti e di
quello produttivo. Non farlo significa affidare il controllo del clima al
mercato o ad ipotetiche e future scoperte tecnico-scientifiche in campo
energetico e tecnologico. Dalla soluzione che prevarrà non dipende solo la
futura qualità ambientale del pianeta, ma anche la natura dei rapporti fra
la parte ricca e quella povera del mondo, le prospettive della pace, nonché
la possibilità di dare un diverso indirizzo ai processi di globalizzazione,
oggi governati dal liberismo e dal mercato. Proprio perché la posta in
palio è cosl alta sarà decisivo partecipare ed essere in tanti a Genova,
durante il G8, ed esserci in modo pacifico e insieme determinato per
sostenere le ragioni dell'ambiente, della pace e della qualità sociale
dello sviluppo. Dall'esito negativo della conferenza dell'Aja, molte cose
sono cambiate. Si è, in primo luogo aperta, una fase economica assai
incerta, nella quale prevalenti sono i segnali di crisi, soprattutto
dell'economia americana. Non c'è dubbio che, le evidenti difficoltà
dell'economia mondiale hanno moltiplicato le resistenze, già forti, a
Kyoto. La seconda novità è la vittoria di Bush nelle presidenziali
americane. Il tratto fortemente liberista e antiambientale della sua
politica e' apparso subito evidente. Bush ha innanzi tutto, fatto carta
straccia del protocollo di Kyoto e successivamente ha varato un piano
energetico (sfruttamento dei giacimenti petroliferi dell'Alaska e massiccio
rilancio dell'energia nucleare) che, se attuato, porterà a un incremento
mondiale delle emissioni di gas clima-alteranti e a un aggravamento della,
già drammatica, situazione ambientale del pianeta. L'Europa, pur ricercando
nuovi spazi di trattativa con gli Stati Uniti, ha deciso di procedere
unilateralmente nell'applicazione di Kyoto. Ma critiche alla posizione
americana sono venute anche dal nuovo governo giapponese, nonché dalla Cina
e dalla Russia.
Le posizioni di Bush sulla questione ambientale sono apparse dunque
fortemente isolate e impopolari, anche fra gli americani. Un isolamento,
però, più apparente che reale. In aiuto alle tesi americane è arrivata la
vittoria del centro-destra nelle elezioni italiane del 13 maggio. Fra le
prime dichiarazioni di Berlusconi c'è stata quella di pieno sostegno a Bush
e alla sua politica ambientale: «Applicare Kyoto avrebbe effetti
trascurabili per 1'ambiente e devastanti per 1'economia e I'occupazione».
Ne consegue che, sulla decisiva questione ambientale, la posizione europea
al G8 di Genova sarà meno unita e quella americana meno isolata. Va però
rilevato che, sia al vertice Nato di Bruxelles, sia in quello successivo di
Góteborg, Berlusconi ha dichiarato solennemente che il nostro paese
rispetterà gli impegni di Kyoto (contraddicendo, com'è suo costume, quanto
detto una settimana prima). Ha però voluto aggiungere - unico fra i capi di
Stato europei - questa poco rassicurante affermazione: «anche se poi i
protocolli si possono cambiare se intervengono proposte nuove, come quella
americana, su cui tutti devono discutere».
Per ora, né a Bruxelles né a Goteborg, sono emerse nuove proposte da parte
di Bush, anzi in quelle sedi egli ha ribadito che gli Stati Uniti non
ratificheranno , mai Kyoto. L,'unica concessione fatta agli europei e', per
la prima volta, il riconoscimento che 1'effetto serra non ' è solo un
problema reale e grave ma in larga parte è anche causato dalle attività
umane. Si tratta sicuramente di un passo avanti, dovuto al fatto che gli
scienziati della National Academy of Science, cui lui aveva espressamente
richiesto un parere, hanno concluso confermando le tesi del gruppo
intergovernativo delle Nazioni Unite (Ipcc) che ha ribadito la stretta
correlazione fra aumento delle emissioni di CO2, dovute alle attività
dell'uomo, e i drammatici mutamenti climatici in atto.
Nessuna nuova proposta, dunque, se non un generico appello ai paesi europei
a investire in ricerca scientifica. Forse la nuova proposta cui si
riferisce Berlusconi nelle sue dichiarazioni, è quella presentata da un
dirigente deI ministero dell"ambiente,Corrado Clini (iniziativa di cui
hanno parlato i giornali qualche settimana fa), a un meeting fra tecnici
italiani e americani, tenutosi a New York il 18 e 19 maggio scorsi. II
contenuto di questa nuova `base di discussione', con 1'obiettivo di
coinvolgere nuovamente gli Stati Uniti e far loro prendere impegni precisi
e comuni per fronteggiare le anomalie climatiche, è il seguente: si propone
di eliminare 1'obbligo, da parte dei paesi industrializzati, di realizzare
determinate riduzioni delle emissioni di gas clima-alteranti (1'Italia
entro il 2012 dovrebbe ridurre le emissioni rispetto a quelle del 1990 del
6,5%, mentre la riduzione media per tutti i paesi industrializzati sarebbe
al 2012 del 5,2%). Invece di limitare le emissioni annuali, si propone di
definire un limite assoluto alla concentrazione di COz in atmosfera, pari a
450-550 ppm (parti per milione), ritenuto dai proponenti, sopportabile
dagli ecosistemi naturali e dal1'uomo. È da tenere presente che, rispetto
alla concentrazione di 270-280 ppm dell'era preindustriale (prima del 1850)
già oggi 1'atmosfera terrestre presenta una concentrazione molto più
elevata, pari a 370 ppm. Spostando il limite a 450-550 ppm, si
permetterebbe ai paesi industrializzati, vale a dire quelli che, secondo il
protocollo di Kyoto, avevano 1'obbligo di ridurre le emissioni, di
continuare come prima per altri 15-20 anni, anzi di aumentarle, passando
dagli attuali 6 GtC (Giga-tonnellate di Carbonio) fino a 11 GtC I'anno.
Solo dopo aver portato il mondo a questo limite estremo sarebbe prevista
una vera e propria terapia d'urto contro le emissioni di COZ, che nel giro
di 50 anni dovrebbero essere ridotte dell'80%.
Per ottenere questo risultato drammatico si propone per i prossimi 15 anni
di spingere al massimo la ricerca scientifica nel campo delle fonti
energetiche rinnovabili, ma soprattutto sul nucleare, ritenuto l'unica vera
soluzione al problema energetico dell'umanita'. Ci si affida alle scoperte
scientifiche del futuro, chiamate a risolvere i due grandi problemi del
nucleare: quello delle scorie radioattive e quello della sicurezza dei
reattori, fingendo di ignorare che la scienza si trova lontanissima da una
soluzione su ambedue i versanti. L'idea di investire miliardi di dollari
per ricercare il reattore intrinsecamente sicuro non regge ad alcuna
valutazione costi- benefici, visto che, con risorse molto minori, si
potrebbe generare I'energia e il calore necessari alla societa' e al suo
sviluppo con le fonti rínnovabili. Più grave e quasi delirante è la
proposta di lasciar crescere le concentrazioni dei gas clima-alteranti fino
a 450-550 ppm. Basta pensare, per respingerla, che il solo passaggio dai
280 ppm dell'epoca preindustriale ai 370 attuali ha provocato gravi
scompensi climatici, che hanno gi~ sconvolto numerosi paesi della terra e
in particolare quelli più poveri. Il rapporto 2000 dell'organizzazione
meteorologica mondiale segnala che gli eventi climatici estremi hanno
provocato, nel 1999, oltre 35.000 morti, centinaia di migliaia di feriti e
danni stimati in non meno di 40 miliardi di dollari (contro i nove
provocati dagli stessi eventi alla fine degli anni '50). Questa nuova base
di discussione presentata da Clini, com'è noto, fu duramente rifiutata dal
governo Amato, a quei tempi ancora in carica, mentre, al contrario,
ricevette entusiastici apprezzamenti da parte di Berlusconi e di numerosi
esponenti del centro-destra, che addirittura chiesero, proprio su quella
base, al ministro Mattioli di non sottoscrivere il documento comune europeo
che riproponeva fedeltà a Kyoto. Ora che anche Berlusconi si è allineato
alle posizioni europee e ha solennemente dichiarato che rispetterà gli
impegni del protocollo, non si capisce che fine farà la proposta. Un modo
per capirlo forse c'è. Basterà verificare a quali incarichi sarà destinato
il suo autore dal nuovo ministro dell'Ambiente Matteoli: se al G8 sarà lui
il consulente climatico di Berlusconi, vorrà dire che la base di
discussione elaborata da Clini farà parte della discussione del vertice. Il
popolo di Seattle, cui per ora si sta negando anche il diritto di
manifestare, da solo non basta per impedire che Kyoto sia liquidato e che
sia, data via libera a chi vuole `incendiare' il pianeta. All'indomani
delle elezioni è stata annunciata da Francesco Rutelli un'intransigente
opposizione al governo Berlusconi. Sulle questioni ambientali e in
particolare su un tema cosl rilevante come quello del clima, questo
annuncio potrebbe diventare realtà. Non è sufficiente chiedere al nuovo
ministro dell'interno che sia garantita la libertà di manifestare. A Genova
bisogna esserci e mobilitare molte forze, anche oltre il classico popolo di
sinistra. Così come sarà decisiva, al fine di impedire che prevalgano tesi
come quelle di abbandonare Kyoto, la presenza del sindacato e dei
lavoratori. È in atto un dibattito sulle cause della sconfitta del 13
maggio purtroppo povero di idee adeguate. Ci si interroga su quante gambe
deve avere I'Ulivo. L'importante è che comincino a camminare a Genova, al
fianco del vasto schieramento che darà vita al controvertice, e siano
soprattutto mosse da una testa capace di proporre al paese un progetto
alternativo di società e di sviluppo sostenibile.
Tutto ciò pone però interrogativi non facili anche al movimento, e in
particolare a quello ambientalista, di breve e lungo periodo, sui contenuti
e sulle forme di organizzazione e di lotta.
Come si spiega che malgrado un lungo lavoro che ha diffuso in gran parte
della società americana una sensibilita' ambientalista, Bush abbia compiuto
immediatamente e in modo cosl radicato una svolta in tutt'altra direzione?
La risposta sembra quasi owia e può bastare ad una contropropaganda
efficace: egli ha dovuto soddisfare i príncipali finanziatori della sua
campagna elettorale (le multinazionali del petrolio e dell'energìa).
Ancora: questa svolta è destinata.a durare e a accentuarsi, oppure si
moderera'?
Anche qui una risposta si può leggere nei fatti: le resistenze già emerse
all'interno e all'esterno, tra gli scienziati interrogati, nell'opinione
pubblica, in piazza, e perfino in molti governi sembrano corpose e possono
ottenere una parziale marcia indietro.
Le cose sono però meno semplici, e meno rassicuranti.
In realtà le scelte di Bush hanno a loro sostegno ben più dei petrolieri e
affini. Anzitutto incontrano il sostegno di innumerevoli cittadini,
americani e non solo, che a volte si professano anche ambientalisti se si
tratta di opporsi ad una discarica o di proteggere una specie animale, ma
non sono disposti a rinunciare a nulla nei propri consumi e negli stili di
vita particolarmente voraci di energia, quale che essa sia, immediatamente
e a buon mercato. E son favorite da un sistema produttivo oggi in crisi per
una insufficienza di domanda e dunque interessato a rilanciare il consumo
privato di qualsiasi tipo e a qualsiasi prezzo.
Ma ha anche, a proprio vantaggio, alcune debolezze del movimento che gli si
oppone.
È infatti indubitabile, ad esempio, che la proposta di sostituire ai limiti
di emissione decisi a Kyoto, a partire da subito su scadenze precise, più
radical vaghe soluzioni future fornite dal scientifica, a tempi imprecisati
e senza neppure impegni precisi di investimento,e' un imbroglio evidente.
Ma è altrettanto vero che i governi che hanno firmato il protocollo di
Kyoto hanno nel frattempo finora anch'essi disatteso i vincoli e, salvo
alcune eccezzioni(come la Germania, in senso parzialmente positivo o come
I'Italia, in modo scandalosamente negativo) non hanno fatto nulla per
favorire 1'uso delle energie alternative gia' praticabili, o che con poco
sforzo potrebbero presto divenire convenienti. Ed e' vero che il movimento
ambientalista nell'ultimo decennio, particolarmente in Europa dove aveva
anche un peso nelle istituzioni o nei governi, ha messo la questione
energetica, cioè quella decisiva, ai margini nella sua attenzione culturale
e nella sua pratica di movimento.
D'altra parte, è del tutto evidente quanto sia moralmente indecente e
logicamente infondato I'argomento di Bush quando rifiuta Kyoto in nome del
fatto che i maggiori pericoli di inquinamento oggi derivano dallo sviluppo
industriale dei paesi poveri che quell'accordo non vincola. Indecente
perché non si può condannare i
poveri a rinunciare ad un minimo di sviluppo che è necessario alla
soprawivenza a fronte dell'impazzimento consumistico dei paesi opulenti.
Infondato perché quel tipo di sviluppo nel quale essi sono incamminati, e
che e' particolarmente pericoloso per 1'ambiente viene loro non solo
suggerito per imitazione, ma direttamente imposto dalle scelte e dai
ricatti dei potenti del mondo i quali delocalizzano gli investimenti alla
ricerca dei bassi salari e anche per trasferire lontano dalle metropoli le
produzioni inquinanti.
È però anche vero che se non si riesce a concepire, nelle sue linee, e nei
suoi strumenti, una diversa divisione internazionale del lavoro, un nuovo
tipo di sviluppo, non affidato solo al meccanismo di mercato e alle grandi
concentrazioni finanziarie e industriali,indifferenti agli effetti sociali
e di lungo periodo delle loro scelte, allora diventa fatale che proprio dai
paesi poveri nascano i maggiori pericoli ambientali, ed essi stessi siano
obbligati ad accettarli, se non a chiederli per sé e per tutti, pur di
soprawivere e affrancarsi.
A quale conclusione ci porta tutto questo? Molto semplice. Per contrastare
1'attuale svolta ambientalista, che parte da Bush, ma trova già connivenze
altrove, occorre izitutto un grande, radicale e globale movimento
contestativo di massa, come quello partito da Seattle, ben oltre l'ambito
locale e 1'azione episodica: molto di piu' di un moderato condizionamento
dei i poteri esistenti. E occorre, altrettanto, cosi' nel movimento come a
livello politico, definire e costruire proposte alternative, che incidano
sulle scelte della ricerca, di politica economica, sulle strategie degli
investimenti, sugli stili di vita e le priorita' del consumo. E inventare
forme organizzative adeguate e forme di lotta che accompagnino e integrino
la manifestazione di piazza, e vadano ormai oltre 1'individuazione di un
nemico unificante. L'ambientalismo ha inventato una parola d'ordine su cui
e' per una fase cresciuto: pensare globalmente, agire localmente. Anche se
poi, spesso, ha smesso sia di pensare globalmente che di agire localmente
sulle questioni cruciali. Ora si trova nella necessità di tornare a pensare
globalmente sul serio e con piena autonomia dal pensiero dominante, di
continuare ad agire localmente ma selezionando i temi con più rigore per
potere poi efficacemente anche agire globalmente, di ottenere risultati,
sedimentare organizzazione, conquistare un'egemonia più ampia e duratura.