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la via di mercato alla biodiversita'



dal manifesto di mercoledi 16 maggio 2001

La "via di mercato" alla biodiversità 
TERRATERRA di MARINA FORTI - 

Udite, udite. The Economist, il più autorevole organo del capitalismo
mondiale, dedica la copertina dell'ultimo numero, e un interessante
reportage, a "come salvare le foreste tropicali". Il primo dei commenti
editoriali, quello su cui il giornale mette più enfasi, spiega in modo
ineccepibile l'urgenza di proteggere la biodiversità: ecosistemi
diversificati - afferma - proteggono i bacini idrici, la piovosità, i
terreni, la produzione di cibo. "I costi della deforestazione sono ormai
sentiti sotto forma di clima alterato, siccità, inondazioni, frane,
erosione dei suoli. Il risultato è sofferenza umana ed economica su larga
scala". L'editoriale aggiunge che "riforestare sarà la sola risposta, ma le
piantagioni non hanno la stessa utilità di foreste diversificate che sono
il prodotto di migliaia d'anni di evoluzione". Perfetto, è quello che
sostengono da tempo tutti gli ambientalisti. Per farsi capire meglio dal
suo lettore-tipo, l'editorialista dell'Economist paragona i benefici di
un'ampia diversità biologica ai vantaggi di un portafoglio di investimenti
diversificato: "Le specie, come le azioni, sono diverse le une dalle altre
e rispondono diversamente agli eventi esterni"...
Fa impressione vedere argomenti ambientalisti ripresi con tanta convinzione
da un giornale che ha sempre fatto del mercato e del profitto la sua
religione. E infatti, il punto è come salvare le foreste tropicali: per
fortuna, scrive The Economist, "la coscienza del valore della biodiversità
si afferma di pari passo con la scoperta di modi per renderlo redditizio
senza distruggerlo". Insomma, si può sfruttare le risorse naturali senza
devastarle, anzi: usare le risorse in modo sostenibile può perfino essere
conveniente in termini di profitto. (Bisogna ammetterlo: molte politiche
sensate dal punto di vista ambientale si affermano solo se, e quando, si
dimostrano utili anche dal punto di vista economico).
L'Economist argomenta con l'esempio del Brasile, dove la deforestazione del
14% della parte brasiliana dell'Amazzonia, in gran parte negli ultimi 30
anni, "è stata un disastro economico tanto quanto ambientale". Già: e non
solo perché la deforestazione alla cieca significa abbattere tutti gli
alberi per poi abbandonare quelli che non hanno valore commerciale. C'è
anche il fatto che fino a tempi recenti un sistema di incentivi favoriva la
distruzione di foreste per riconvertire i terreni all'agricoltura. Ma le
terre ricavate distruggendo la foresta non sono produttive, quindi molti
deforestano, intascano il sussidio e poi abbandonano la terra, oppure usano
finte aziende agricole per coprire proventi di altre attività facendoli
passare per reddito agricolo (esentasse). Il risultato è che ci sono oggi
165mila chilometri quadri di terra deforestata e abbandonata in Amazzonia.
Secondo l'indagine dell'Economist, la riduzione degli incentivi e sgravi
fiscali ha fatto sì che ora il terreno coperto da foresta intatta vale il
40% più del terreno denudato. "La foresta ben preservata è un bene che,
gestito correttamente, può dare un buon reddito per sempre". E' ben vero
che molte aziende del legname ormai preferiscono applicare i criteri della
"foresteria sostenibile" - che significa dividere gli appezzamenti di
foresta in almeno 30 settori, ogni anno si taglia uno e poi si lascia stare
per 29 anni; inoltre tagliare solo gli alberi utili (e mai quelli più
vecchi), in modo che la foresta si rigeneri. Questo permette di ottenere la
certificazione di organismi internazionali come il Forest Stewardship
Council, e nei paesi acquirenti di legno tropicale sono sempre di più i
consumatori disposti a comprare (e pagare di più) solo legno "certificato".
Il governo brasiliano potrebbe accelerare la transizione alla foresteria
sostenibile concedento licenze solo a chi applica questi criteri, azzarda
l'Economist. Se poi riuscisse a controllare anche la corruzione e il non
rispetto delle leggi, "il Brasile potrebbe anche ispirare altri paesi
tropicali a seguirne l'esempio".
Sarà "la via di mercato" alla protezione della biodiversità? Purtroppo,
tagliare incentivi e sussidi agricoli, o promuovere le certificazioni
ambientali, non è bastato a rallentare la deforestazione: l'anno scorso
(citiamo sempre dal settimanale britannico) è stata analoga al 1998 e al '99.