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genoma:veleno sulla mappa dell'uomo
da boiler.it di mercoledi 9 maggio 2001
GENOMA
Veleno sulla mappa dell'uomo
di Sara Capogrossi Colognesi
A QUANTO PARE non si estinguono le battaglie e le recriminazioni tra la
Celera e il consorzio di studiosi che ha completato il sequenziamento del
genoma. Questa volta, a gettare benzina sul fuoco è Eric Lander, direttore
del Whitehead Institute di Boston insieme a John Sulston e Robert
Waterston, uno dei membri principali del consorzio. “Il metodo della
Celera, completamente basato sullo shotgun”, dichiara Lander, “è un flop.
Senza “se” o “ma”. La Celera non ha affatto prodotto indipendentemente una
sequenza del genoma”, insite lo studioso, convinto che l’azienda di Craig
Venter non abbia fatto altro che sfruttare i risultati conseguiti dai
ricercatori del consorzio. Accuse gravi, che vengono decisamente respinte
dal direttore della Celera: “Noi riteniamo che non ci sia alcune
legittimità in ciò che sta dicendo Eric”, risponde Venter, “e non capiamo
perché stia sostenendo tali cose”.
Un attacco che è solo l’ultimo di una lunga serie all’azienda privata che
ha sfidato i ricercatori di tutto il mondo nella corsa per leggere il Dna.
Grandi perplessità aveva già suscitato l’accordo stipulato con Science,
che, pubblicando il lavoro della Celera, si impegnava a non rendere i dati
disponibili, come normalmente avviene e come si è verificato nel caso dei
risultati raggiunti dal consorzio, usciti sulla rivista rivale Nature. Una
figura, quella dell’imprenditore-scienziato, che desta perplessità e
preoccupazioni nell’intero mondo scientifico. Ma anche sospetti, come
quello di approfittarsi del lavoro altrui per avvantaggiarsene economicamente.
In effetti la Celera non ha mai negato di aver utilizzato i dati che via
via erano messi a disposizione di tutti – e quindi anche della concorrenza
– dal consorzio. Venter e i suoi si sarebbero quindi scaricati i pezzi già
assemblati, li avrebbero spezzettati, mischiati insieme a quelli in loro
possesso e riassemblato l’insieme con un metodo da loro sviluppato. Lander
muove la sua accusa dalla convinzione dell’inadeguatezza delle tecniche di
assemblaggio della Celera, che, secondo lo studioso, non avrebbero portato
a niente senza le informazioni raccolte dal consorzio.
E la sua non è una voce isolata. “Sono d’accordo con Eric ed ero
indipendentemente giunto alla medesima conclusione”,dichiara, per esempio,
Philip Green, un biologo che ha scritto due programmi computazionali
standard usati dai ricercatori per il genoma. “Quei dati spezzettati
contengono l’informazione sugli assemblamenti locali, fino al punto che
puoi ricostruire quasi perfettamente la sequenza originale”. Ma il
matematico che ha organizzato il software della Celera, Eugene Myers, si
oppone a questa “semplificazione del problema” e sostiene che il suo
programma ha utilizzato unicamente i dati della Celera per ricostruire le
sequenze genetiche, “approfittando” dei risultati del consorzio solo per
riempire alcuni buchi nella struttura.
Al contrario di altre, però, questa controversia troverà forse una facile
soluzione. Sarà il genoma del topo, o meglio il suo sequenziamento,
intrapreso dalla Celera, a dirci se il metodo shotgun è efficace. Questi
piccoli roditori hanno infatti una quantità di Dna paragonabile a quella
umana. Perciò, se è vero che Myers, come lui stesso garantisce, ha potuto
assemblare il genoma del topo usando solo i dati della Celera e arrivando a
risultati simili a quelli trovati per l’uomo, allora si dovrà ammettere che
Venter ha ragione e “Lander dovrà scusarsi”, aggiunge Gerald Rubin,
vicepresidente dell’Howard Hughes Medical Institute. Vedremo dunque la
conclusione di questo confronto, che non è certo sterile o inutile. Capire,
infatti, se entrambi i metodi siano efficaci e quale sia il migliore
potrebbe aiutare la ricerca nel futuro.