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RICOSTRUIRE LE RISERVE ALIMENTARI



DA BOILER.IT DI GIOVEDI 5 APRILE 2001

 
Ricostruire le riserve alimentari

di Brian Halweil 
  


 CONSIDERANDO LA VASTA GAMMA di pressioni subite dai coltivatori, non è
difficile capire la loro disperazione. La situazione è diventata esplosiva
e stabilizzare l’erosione della cultura agricola e dell’ecologia è una
necessità fondamentale non solo per gli agricoltori ma per tutta la
società. I giganti dell’agrobusiness sono molto ben difesi, e le proteste
isolate hanno tanto effetto quanto un pizzico di zanzara sulla carrozzeria
di un trattore. Le possibilità per gli agricoltori di guadagnare una forza
politica indipendente sembrano davvero minime, in quanto i loro numeri,
almeno nei paesi industrializzati, continuano a ridursi. Una speranza di
cambiamento più realistica sta nell’unione fra le forze degli agricoltori e
quelle, molto più numerose, dei vari gruppi della società civile che
sentono i rischi complessivi di una continua ristrutturazione
dell’agricoltura. Importanti esempi di questa sinergia sono le battaglie in
corso contro i progetti per la navigabilità del Mississippi e del fiume
Paraguay-Paraná voluti in nome del commercio globale della soia (di cui si
parlava all’inizio di questo articolo).
Per quanto riguarda il Mississippi si sono uniti fra loro i seguenti soggetti:
gruppi ambientalisti nazionali, fra i quali Sierra Club e National Audubon
Society, indignati dalla possibilità che un bene comune venga danneggiato a
beneficio esclusivo di un ristretto gruppo commerciale;
gli agricoltori e le organizzazioni in sostegno degli agricoltori,
preoccupate dello strapotere che sempre più assume l’oligopolio
dell’agrobusiness;
i gruppi di contribuenti, contrari a un progetto che preleverà dalle casse
dello Stato più di un miliardo di dollari;
i cacciatori e i pescatori preoccupati dalla perdita di habitat;
i biologi, gli ecologi e i “birder”, consapevoli delle numerose specie
minacciate di uccelli, pesci, anfibi e piante;
i gruppi impegnati nell’autonomia locale che cercano di ridurre l’impatto
dell’economia globale sulle comunità locali;
gli studiosi di economia agricola, che sostengono che il progetto aumenterà
ulteriormente la dipendenza degli agricoltori dalle aziende che forniscono
i servizi aggiuntivi, pregiudicando così importanti opportunità di
mantenere risorse finanziarie all’interno della comunità locale per quanto
riguarda la lavorazione e l’imballaggio.
Una simile associazione fra gruppi ambientalisti e rappresentanti degli
agricoltori si è formata nell’altro emisfero per contrastare il progetto di
ampliamento dell’Hidrovía. Anche in questo caso l’iniziativa fa parte di un
più ampio movimento contro l’egemonia dell’agricoltura industriale. Alla
coalizione partecipano, per esempio, un’organizzazione di base del Brasile
che aiuta i lavoratori a organizzare le occupazioni delle terre incolte di
proprietà di ricchi latifondisti, 57 organizzazioni di rappresentanza degli
agricoltori che hanno base in 23 nazioni e gruppi ambientalisti
dell’America latina preoccupati delle operazioni di taglio e allevamento,
sostenute dai ricchi latifondisti, che probabilmente seguirebbero alle
opere per l’Hidrovía. Hanno aderito anche i sindaci delle cittadine rurali
consapevoli dell’importante slancio che gli agricoltori possono dare alle
economie locali e le organizzazioni che lavorano per la tutela sociale
delle città brasiliane, che considerano l’occupazione della terra come
un’alternativa alle bidonville. 
I progetti dell’Hidrovía e del Mississippi, per quanto imponenti,
costituiscono solo due delle centinaia di pericoli posti dallo sviluppo
agro-industriale nel mondo. Le coalizioni che si sono formate per
combattere questi problemi costituiscono il tipo di risposta che potrebbe
arginare l’avanzata del mostro, in quanto non si tratta di slanci
donchisciotteschi o di vaghe esibizioni di idealismo, bensì di iniziative
molto realistiche e fortemente legate al territorio. Nel caso della
coalizione contro il progetto sul Mississippi, è stato proposto anche di
discutere le valutazioni fornite dal genio civile, di premere per una più
rigorosa legge antitrust sui monopoli dell’agrobusiness, di rivedere i
sussidi all’agricoltura attualmente forniti dagli Stati Uniti, che sono
destinati in modo non proporzionato alle grandi aziende agricole. I gruppi
ambientalisti stanno inoltre lavorando per ristabilire un equilibrio fra
l’utilizzo del Mississippi come canale per lo spostamento di merci e come
sistema idrografico. Si stanno infine promuovendo alternative alla
rotazione soia-grano, fra cui la produzione di cibo biologico certificato,
che potrebbero abbattere i costi di input, migliorare il prodotto finale e
ridurre l’inquinamento da azoto.
I governi degli Stati Uniti e del Brasile hanno commesso gravissimi errori,
perché hanno conferito tanto potere alle grandi aziende dell’agrobusiness
che queste ora progettano di rimodellare i fiumi e il territorio a seconda
dei loro interessi. Ma la strategia delle ampie coalizioni può mobilitarsi
in tempo per salvare parte dell’agricoltura mondiale prima che sia troppo
tardi. Dave Brubaker, capo del progetto Spira/Grace sull’allevamento
industriale di animali presso il dipartimento di salute pubblica della John
Hopkins University, vede queste diverse coalizioni come «l’inizio di una
rivoluzione per quanto riguarda la nostra concezione del sistema
alimentare, in quanto la produzione di cibo è finalmente collegata al
benessere sociale, alla salute umana e all’ambiente». Il progetto di
Brubaker riunisce gli ufficiali sanitari che lavorano sull’abuso di
antibiotici e sulla contaminazione delle acque da parte degli scarichi
delle porcilaie, i coltivatori e le comunità locali che si oppongono alla
diffusione di nuove industrie agricole che soppianterebbero quelle
esistenti e un insieme di naturali alleati, fra cui gruppi di attivisti per
i diritti degli animali, sindacati, gruppi religiosi, associazioni per i
diritti dei consumatori e ambientalisti.
«Con il progressivo allargarsi delle parti in causa, si riduce, di fatto,
la distanza fra gli agricoltori e i consumatori» nota Mark Ritchie,
presidente dell’Institute for Agriculture and Trade Policy. Questa minore
distanza si dimostrerà cruciale per la sostenibilità del nostro sistema di
produzione alimentare, in quanto le abitudini di acquisto e di consumo
ecologicamente e socialmente consapevoli non sono soltanto il risultato
passivo dei cambiamenti del modo in cui il cibo viene prodotto, ma possono
esserne i fattori attivi. Gli accordi di acquisto fra coltivatori e
consumatori evidenziano il crescente numero dei non-coltivatori che hanno
già trasformato il loro ruolo all’interno della catena alimentare: hanno
deciso di non essere più costretti a scegliere più fra migliaia di
differenti prodotti offerti da una dozzina di ditte. E poiché gran parte
dei passaggi che contribuiscono al prezzo finale dei prodotti alimentari
sono legati alla crescente quantità di tempo che il cibo trascorre nei
trasporti e nei magazzini del mercato globale, l’avvicinamento fra
coltivatori e consumatori aiuterà non solo la cultura e l’ecologia delle
comunità agricole. Permetterà a noi tutti di mangiare cibi più freschi, più
saporiti, più nutrienti.