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LA TERRA NELLE MANI DI POCHI



DA BOILER DI GIOVEDI 5 APRILE 2001


Nelle mani di pochi

di Brian Halweil 
  


 IL SEMPRE MINORE GUADAGNO dagli agricoltori è accelerato da una forte
concentrazione in ogni anello della catena alimentare; dalle sementi e gli
erbicidi fino al finanziamento e alla distribuzione delle aziende agricole.
In Canada, ad esempio, solo tre aziende controllano più del 70 per cento
delle vendite di fertilizzanti, cinque istituti di credito forniscono la
stragrande maggioranza del credito agricolo, due aziende controllano più
del 70 per cento dell’imballaggio delle carni e cinque ditte controllano la
distribuzione di prodotti alimentari. L’unione di Philip Morris e Nabisco
crea un impero destinato a raccogliere circa 10 centesimi di ogni dollaro
che un consumatore americano spenderà in cibo, secondo un portavoce di
queste imprese. Una situazione del genere può essere fatale per gli
agricoltori, permettendo ai grandi marchi dell’agrobusiness di imporre
prezzi più alti sui prodotti venduti agli agricoltori e offrendo d’altra
parte prezzi più bassi per la materia prima.
Una forma di monopolio particolarmente preoccupante, secondo Bill
Heffernan, sociologo rurale della University of Missouri, è l’emergere di
gruppi di aziende che attraverso fusioni, subentri e alleanze con altri
gruppi alimentari creano «un controllo del sistema alimentare totalmente
verticalizzato, senza soluzioni di continuità, che va dal gene al bancone
del supermercato». Consideriamo ad esempio la recente partnership fra
Monsanto e Cargill, che controlla sementi, fertilizzanti, pesticidi,
finanziamenti agricoli, raccolta e lavorazione di cereali, lavorazione di
mangimi per il bestiame, allevamento di bestiame, macellazione e alcune
famose marche di prodotti alimentari. Dal punto di vista di un’impresa come
Cargill, queste alleanze permettono incredibili forme di controllo dei
costi e sono quindi estremamente redditizie.
Ma immaginiamo invece il punto di vista del coltivatore. Vuole comprare dei
semi per coltivare il grano? Se Cargill è l’unico acquirente di grano nel
raggio di un centinaio di miglia, e Cargill compra esclusivamente una
particolare varietà di grano della Monsanto, non comprare quella varietà di
grano significa perdere ogni speranza di vendere il proprio raccolto. Gli
serve un prestito per comprare i semi? Si rivolgerà allora a una banca
Ellswort di proprietà di Cargill, avendo però l’accortezza di far loro
sapere quali sementi ha scelto di acquistare. Meglio ancora se aggiungerà
vi voler acquistare anche i fertilizzanti di marca Saskferco, sempre della
Cargill. Bene, se una volta che il grano è cresciuto questo agricoltore non
vuole essere costretto a vendere il proprio prodotto alla Cargill,
evidentemente al prezzo imposto dalla Cargill stessa, potrà utilizzarlo
come mangime per i maiali. Ma non si scappa: la Cargill Excel Corporation
compra anche i maiali. Allora questo agricoltore va a vivere in città e
dice addio alla vita della fattoria. Niente più tortine di polenta fatta in
casa per colazione; deve comprare i corn flakes commerciali. Ed ecco
l’ultima buona notizia: la Cargill Foods è fra i principali produttori di
cereali per la colazione. E anche gli altri cereali per colazione hanno gli
stessi prezzi, altissimi, in quanto vengono dall’oligopolio alimentare.
«Per i coltivatori indipendenti», spiega Heffernan, «rimane ben poco spazio
nel sistema globale: la logica è “accetta le regole del gioco o esci dagli
affari”». Negli ultimi venti anni la percentuale dei prodotti agricoli Usa
coltivati sotto contratto è più che triplicata, passando dal 10 al 35 per
cento, senza considerare i contratti che gli agricoltori firmano per
coltivare sementi geneticamente modificate. Il controllo centralizzato del
sistema alimentare, in cui i coltivatori sono in effetti ridotti a
manovalanza presa a nolo per lavorare sulla loro terra, ricorda a Heffernan
le fattorie statali dell’Unione Sovietica, dove il ruolo del Grande
fratello è giocato ora dagli amministratori delle società di agrobusiness.
Torna anche alla memoria lo “spaccio aziendale” che una volta faceva da
centro commerciale delle piccole cittadine minerarie o industriali, con la
differenza che oggi, anche spostandosi fuori dalla propria zona, si
continuano a trovare gli stessi negozi. Lo spaccio aziendale è diventato
globale.
Con le associazioni di imprese che possiedono le risorse finanziarie e
l’influenza politica, non c’è da stupirsi se le politiche agricole, che
comprendono sussidi, sgravi fiscali e normative ambientali sia a livello
nazionale che internazionale, generalmente non favoriscono gli agricoltori.
Le associazioni di imprese esercitano forti pressioni sulle priorità di
ricerca in campo agricolo sia a livello privato che pubblico. Questo può
spiegare come mai il ministero dell’Agricoltura degli Stati Uniti (Usda),
istituzione che dovrebbe agire a tutela degli agricoltori, contribuisce
alla ricerca per lo sviluppo della tecnologia “terminator” per la
sterilizzazione dei semi; una biotecnologia il cui unico scopo è quello di
aumentare la dipendenza degli agricoltori dalle ditte che vendono sementi.
In alcuni casi l’ingerenza è indiretta, come nelle decisioni di
finanziamento dei governi, mentre in altri è più sfacciatamente manifesta.
Quando Novartis ha fornito 25 milioni di dollari per finanziare una
partnership di ricerca in collaborazione con il dipartimento di biologia
agricola della University of California di Berkeley, una delle condizioni
era che Novartis avesse il preventivo diritto di veto per ogni invenzione
brevettabile. In queste circostanze, ovviamente, i rappresentanti della
University of California, ben consapevoli dell’origine dei finanziamenti
ricevuti, sono fortemente spinti a concentrarsi su tecnologie come quella
del gene Terminator, che allontana il profitto dal coltivatore, piuttosto
che su tecnologie che beneficiano direttamente il coltivatore o il più
ampio pubblico dei consumatori.
Anche le politiche che vengono generalmente considerate a tutela degli
agricoltori, come la liberalizzazione del mercato dei prodotti agricoli,
sono pesantemente influenzate dalle multinazionali. I principali artefici
delle recenti revisioni dell’Accordo generale su prezzi e tariffe (il Gatt,
predecessore della World Trade Organization) sono state le ditte di
lavorazione o commercializzazione dei prodotti alimentari, che hanno
preparato la strada per un maggiore flusso commerciale delle derrate
agricole. Prima di queste revisioni molti Paesi utilizzavano politiche
nazionali per assicurare che i loro coltivatori non fossero spodestati dai
grandi mercanti internazionali. Ora questi mercanti sono in grado di
aggirare qualunque forma di protezione.
La rapidità con cui il principio dell’agrobusiness – quello di comprare al
minor prezzo possibile e di vendere al maggiore – si è diffuso in tutto il
pianeta ha accentuato le pressioni sugli agricoltori già esercitate dalla
marginalizzazione economica. Una recente nota dell’Organizzazione su cibo e
agricoltura delle Nazioni Unite (la Fao) riguardo l’esperienza di sedici
Paesi in via di sviluppo nell’implementare l’ultima fase del Gatt ha
concluso che «una preoccupazione riportata comunemente riguarda la generale
tendenza verso la concentrazione delle fattorie», un processo che tende a
marginalizzare ulteriormente i piccoli produttori e ad esacerbare la
povertà rurale e la disoccupazione. La triste conseguenza, secondo Thomas
Reardon della Michigan State University, è che mentre i piccoli coltivatori
in tutto il mondo non riescono a vendere i propri prodotti sul mercato
interno a causa delle importazioni a prezzi sempre minori, sono d’altra
parte spesso esclusi dalla possibilità di partecipare a loro volta alle
esportazioni. Per mantenere bassi i costi delle transazioni e delle
lavorazioni standardizzate, gli esportatori e altri operatori del settore
tendono ad acquistare le merci da pochi gruppi di grandi produttori,
piuttosto che da una moltitudine dei piccoli agricoltori.
Gli esperti di economia agricola hanno notato che il divario fra i prezzi
di acquisto al dettaglio dei cibi e quelli di acquisto all’ingrosso che ha
continuato a crescere nel corso degli anni Novanta era dovuto quasi
esclusivamente a meccanismi di politica commerciale piuttosto che a
un’effettiva riduzione dei costi. Il mercato globale dei prodotti
alimentari, dominato da un ristretto gruppo di corporazioni internazionali
integrate verticalmente, sta dunque sempre più allontanando i consumatori
dagli agricoltori, e gli agricoltori dalla loro terra.
Non si capisce perché quando andiamo a comprare un filone di pane dobbiamo
spendere tanto per il suo imballaggio quanto per i suoi elementi nutritivi.
Ma il problema più grave è un altro. Gli agricoltori sono raffinati
professionisti, con notevoli conoscenze del terreno che lavorano, della
meteorologia, delle piante autoctone, dei fertilizzanti e degli
impollinatori naturali, dell’ecologia e della comunità agricola. Quando
arriveremo a un mondo in cui la terra coltivata non è più gestita da questi
professionisti ma da assenti burocrazie commerciali interessate solo a
trarre il massimo profitto al costo minimo, che cibo avremo, e a che prezzo?


I paragrafi dell’articolo di Brian Halweil:
Che fine hanno fatto i contadini?
Una specie a rischio
Lavorare la terra
Nelle mani di pochi
Aziende, piccolo è meglio.1
Aziende, piccolo è meglio.2
Ricostruire le riserve alimentari