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mucche e uranio:la logica della pazzia
dalla rivista del manifesto marzo 2001
Mucche, uranio, Ogm
Giorgio Nebbia
LA LOGICA DELLA PAZZIA
Ieri gli abitanti del paese di Profittopoli si sono svegliati con la
notizia che la carne non è più sicura, che può essere portatrice di
malattie che colpiscono il
cervello e i centri motori, come quella chiamata Bse, che dovranno stare
attenti alla carne che usano.
Ma come? La carne, quell'alimento ricco di proteine il cui uso, il cui
crescente uso, è apparso da decenni come il segno della liberazione dalla
povertà nutritiva dei cereali e dei vegetali? Addirittura gli italiani
rischiano di dover rinunciare all'adorata bistecca alla fiorentina? Possibile?
Possibile e anzi certo. Per un qualche motivo apparentemente ancora poco
chiaro, nelle proteine di alcune parti di alcune mucche si è insediata una
sequenza di amminoacidi anormale, chiamata prione. Quando questo prione
entra in circolo le mucche presentano una malattia che colpisce il
cervello, a quanto pare trasferibile agli umani che si nutrono della carne
di tali bovini. La scoperta risale alla metà degli anni ottanta e sembrava
che la malattia fosse localizzata in Inghilcerra dove sono state uccise
decine di migliaia di mucche (portatrici o sospette portatrici) della
malattia.
Ma, in epoca di globalizzazione, il canale della Manica non e' una barriera
sufficiente per evitare la propagazione della malattia in altri paesi. La
carne che arriva sulle nostre mense è il risultato di un ciclo produttivo
quasi industriale, a carattere planetario. Nei paesi in cui sono
disponibili grandi estesi pascoli erbosi, i bovini sono allevati all'aria
aperta, ma questa pratica è troppo lenta e troppo costosa per allevatori
che hanno fretta di far crescere gli animali e di venderli: si e' così
sviluppata una zootecnia in cui gli animali sono tenuti in spazi ristretti,
alimentati con mangimi al più basso costo possibile, tenuti più fermi
possibile, perché ogni movimento fa diminuire il peso dell'animale da
vendere. Pratiche da decenni oggetto di critiche non sul piano etico, del
benessere degli animali, ma comportano 1'uso di antibiotici per evitare
malattie che farebbero diminuire le vendite, di ormoni che accelerano la
crescita e trattengono una maggiore quantità di liquidi all'interno
dell'animale. Antibiotici, ormoni e altri additivi possono passare nel
corpo dei consumatori per cui, dopo lunghe lotte, ne è stato vietato 1'uso
che però in parte continua in modo fraudolento e clandestino.
Quando arriva 1'età della macellazione, i bovini vengono uccisi e ne
vengono separate le varie parti. Viene staccata la pelle che alimenta il
ciclo produttivo del1'industria della concia che fornisce pelli e cuoio; si
ricupera il sangue che viene essiccato e in parte usato come concime, ricco
di azoto; vengono separati i grassi, che in parte possono essere sottoposti
a trattamenti per ricavarne grassi industriali; vengono separate le ossa
che possono essere trattate chimicamente per ricuperarne sostanze ricche di
fosforo, anch'esse utilizzabili come concimi. Allevamento e macellazione
sono tutte operazioni che comportano inquinamenti dell'aria e delle acque.
Le parti adatte alla produzione della carne sono poi trasportate nelle
macellerie nelle quali awiene un'ulteriore separazione delle frazioni di
`carne' destinata all'alimentazione umana. Restano varie parti di scarto.
Perché quindi non ricuperare, come suggerisce 1'ecologia, anche gli scarti
della macellazione, essiccandoli, macinandoli e trasformandoli in farine,
ricche di proteine, da addizionare ai mangimi vegetali?
Il ciclo è cosl molto più efficiente: i macellatori e i macellai riescono a
vendere gli scarti con maggiori profitti rispetto ai destini meno nobili;
gli allevatori riescono a far aumentare di peso gli animali utilizzando le
meno costose farine animali e tutti sono felici.
Fino a quando qualcuno non ha scoperto la storia dei prioni e ha avuto il
sospetto, poi la certezza, che , quel ben-di-dio di scarti animali, potesse
far ammalare i bovini che se ne nutrono, rendendoli immangiabili e
invendibili. Davantí al fondato pericolo che la malattia della Bse pocesse
passare, attraverso la carne, negli esseri umani, sono crollate le vendite
di carne e sono aumentati vincoli e divieti. I: avidità privata ricadeva
così non solo sulla collettività, ma sugli stessi soggetti avidi.
A questo punto le autorità governative si sono rese conto che nessuno sa
esattamente chi importava farine animali per mangimi, con quali scarti di
macellazione queste erano state fatte, in quali momenti della catena
venivano trasmessi i prioni agli animali da allevamento, da dove venivano
gli animali destinati all'allevamento e alla macellazione.
E non si sa neanche da dove viene la malattia, quando e come la malattia si
trasmette agli umani e da chi. Improwisamente e' stato necessario
organizzare in fretta e furia controlli per la ricerca dei prioni negli
animali, nei mangimi, nella carne in commercio. Sono state emanate
frettolose leggi a livello europeo e nazionale, sotto la pressione di
interessi settoriali, degli allevatori che cercano generosi risarcimenti
statali per i mancati guadagni, dei macellai che hanno visto diminuire le
vendite, perfino dei ristoratori che temono di non poter fornire ai clienti
i prelibati piatti tradizionali. E del resto gli allevatori, i macellatori,
i macellai, i ristoratori hanno operato, secondo le leggi dell'economia
capitalistica, del libero mercato, per assicurarsi il massimo guadagno: non
era loro dovere guadagnare di meno per evitare la diffusione di malattie
fra i cittadini.
Evitare la diffusione di malattie avrebbe dovuto essere compito `dello
Stato', se esso operasse pro bono publico, come sarebbe il suo dovere. Ma i
governi, nazionali, europei, globali, pensano a tutelare ben altri
interessi, oggi come ai tempi di Marx, e le leggi mostrano «la massima
delicatezza verso ogni commerciante che cerca di guadagnare qualche
meritato soldo mediante la compravendita di merci sofiscicate».
E lo si è visto con i ministri che non sapevano quello che era noto da anni
(ma ai ministri i funzionari non dicono mai niente? E agli eurocrati che
vagano da Roma a Bruxelles nessuno racconta mai niente?); lo si è visto con
le strutture di controllo chimico e biologico prese di sorpresa, incapaci
di parlare e di dire la verità ai cittadini e agli stessi operatori economici.
Erano infatti stati smantellati e dispersi i vecchi laboratori di controllo
delle attività che influenzano la salute pubblica. Ma anche le università
dove erano mentre si stava addensando la tempesta esplosa in questi mesi ?
E uno.
L'altroieri
Ieri 1'altro gli abitanti del paese di Profittopoli si sono svegliati con
la notizia che alcuni loro figli, impiegati nelle guerre di pace - curiosa
contraddizione in termini - in Bosnia e Kosovo sono stati esposti a polveri
radioattive e tossiche dovute ai nuovi straordinari proiettili contenenti
uranio impoverito usati dal1'esercito americano.
Ne parlo qui perché si tratta di una storia merceologica simile a quella
della mucca pazza. L'uranio è la materia di base per la fabbricazione dei
`combustibili' per le centrali nucleari e dell' `esplosivo' per le bombe
atomiche. L'uranio naturale, un metallo presente in natura in molte rocce,
sotto forma di sali o ossidi, esiste in vari isotopi, atomi con uguale
comportamento chimico, ma con una struttura diversa del nucleo; i
principali isotopi sono 1'uranio-238, con 92 protoni (sono loro che
`governano' il comportamento chimico dell'atomo) e 146 neutroni, e
1'uranio-235, con i soliti 92 protoni ma solo 143 neutroni.
Se si `bombardano' dei nuclei di uranio con neutroni, i due isotopi si
comportano diversamente: I'uranio 238, ma solo in particolari condizioni,
ingloba un neutrone e si trasforma nell'elemento nettunio che a sua volta
si trasforma nell'elemento plutonio. L'uranio-235 assorbe più facilmente i
neutroni e subisce una `fissione', come si suol dire, trasformandosi in due
nuclei più piccoli e in vari neutroni e liberando enormi quantità di
calore. Calore che può essere ricuperato e trasformato in elettricità
commerciale vendibile, come avviene nelle centrali nucleari, o che può
essere fatto liberare in forma esplosiva e devastante, come avviene nelle
bombe atomiche.
L'unico inconveniente sta nel fatto che 1'uranio-235 è presente nell'uranio
naturale in piccola quantità, solo 7 atomi rispetto a 993 atomi di
uranio-238: le centrali nucleari funzionano soltanto se i neutroni
bombardano dell'uranio nel quale 1'isotopo-235 e' in concentrazione di
almeno 30 atomi per mille; le bombe nucleari richiedono uranio contenente
circa 900 atomi di uranio-235 per mille.
Poiché la prima applicazione `merceologica' dell'uranio è stata la
fabbricazione delle bombe atomiche, a partire dal 1942 sono stati messi in
funzione giganteschi impianti industriali per la separazione dei due
isotopi. Si tratta di far passare un gas costituito da fluoruro di uranio
attraverso degli enormi setacci con fori piccolissimi; attraverso tali fori
passa `più facilmente' 1'uranio-235, quello utile, che è `un po' piú
piccolo' come dimensione, di quello 238. Dopo innumerevoli passaggi si
ottiene, alla fine, una corrente di uranio arricchito' in cui è presente
una maggiore quantità di uranio-235, e un residuo di uranio `impoverito'
costituito in prevalenza da uranio-238.
Nel corso di mezzo secolo si sono accumulate centinaia di migliaia di
tonnellate di uranio `impoverito' come sottoprodotto e scoria degli
impianti di diffusione gassosa. Altro uranio impoverito è stato ottenuto
dal trattamento del combustibile che deve essere estratto dalle centrali
nucleari ogni pochi mesi di funzionamento. In tale combustibile
`irraggiato' è presente uranio-238 insieme a piccole quantità resìdue di
uranio-235, contaminato da plutonio, da altri elementi transuranici e dai
prodotti di fissione, tutti altamente radioattivi.
È un delitto buttare via tutti questi residui di uranio-238, dopo aver
fatto tanta fatica e aver speso tanti solidi per I'estrazione del minerale,
la sua purificazione, 1'arricchimento, eccetera: perché non riciclarlo,
sempre come suggerisce 1'ecologia? `Per fortuna' le fertili menti degli
ingegneri militari hanno scoperto che I'uranio, anche quello `impoverito',
molto pesante (pesa quasi il doppio del piombo, quasi come il più costoso
tungsteno), quando urta ad alta velocita' un corpo metallico (per esempio
la corazza di un carro armato), sviluppa un'altissima temperatura alla
quale 1'uranio si ossida e si incendia facendo fondere la corazza e
bruciando i soldati dentro il carro armato. Ecco quindi un `utile' impiego
per riciclare 1'uranio impoverito come componente dei proiettili per
cannoni e missili.
Il primo impiego dell'uranio impoverito si è avuto su larga scala, da parte
degli Stati Uniti, nella guerra del Golfo nel 1991 (ne sono state usate
circa 500 tonnellate), poi in Bosnia nel 1995 e, nel 1999, nella Serbia e
nel Kosovo dalle forze Nato.
La guerra è sempre terribile e ciascun paese, per vincere, deve uccidere i
soldati nemici e distruggere le armi nemiche e i beni nemici: nell'intero
secolo passato le guerre hanno sterminato i nemici anche al di là di ogni
ragionevole necessità, hanno ucciso e dilaniato i corpi di centinaia di
milioni di civili inermi. Se si escludono le esplosioni di bombe atomiche,
e quelle delle giungle del Vietnam con pesticidi persistenti inquinati da
diossina, finora le armi impiegate in guerra hanno però danneggiato e
devastato soldati e civili senza compromettere le future condizioni
ecologiche dei territori di guerra.
Viceversa le polveri di ossido di uranio che si spargono sui carri armati e
sugli edifici colpiti da bombe all'uranio impoverito ricadono al suolo e lì
restano per sempre. Nel territorio contaminato passano sia i soldati
vincitori, sia gli abitanti quando tornano alle loro case, e ciascuno
assorbe dal suolo e respira una parte della polvere di uranio con danni
alla salute che durano per decenni e si cominciano a riconoscere soltanto
adesso.
Solo di recente è stato accertato che nella guerra del Golfo ( 1991 ) il
terreno dei combattimenti è stato contaminato da 300 mila chilogrammi di
finissima polvere di ossido di uranio e che da anni i reduci della guerra
hanno manifestato delle misteriose malattie (la sindrome del Golfo); però
fino al gennaio 1998 il ministero della difesa americano ha negato che
circa 90 mila soldati americani siano stati esposti alla polvere di uranio
impoverito velenosa e radioattiva. Nella ricca America i veterani possono
fare causa al loro governo, e chiedere indennizzi e risarcimenti. Ma chi
aiuterà a riconoscere le malattie, dovute ad una cosl subdola causa, quando
compaiono negli abitanti dell'Iraq meridionale, o della ex-Jugoslavia,
tornati nelle loro terre? Chi li aiuterà a guarire?
Una fotografia diffusa anche da Internet mostra dei bambini che in Kosovo
giocano su un carro armato distrutto da un proiettile all'uranio impoverito
e coperto dalla polvere dell'arma micidiale: chi sono quei bambini, che
sarà della loro salute? Quante saranno alla fine le vittime?
In Italia il problema è scoppiato perché qualcuno ha denunciato le
possibili malattie, dovute all'uranio impoverito, in reduci delle missioni
militari in Bosnia e Kosovo. Ricordate lo sbalordimento di ministri e
generali? .
Con tutti i servizi segreti nessuno ha avvertito i ministri sui pericoli
delle armi usate dai loro stessi alleati, quando tali pericoli erano
descritti in centinaia
di articoli e pubblicazioni, accessibili da anni perfino su Internet? In
una società capitalistica nessuno tocchi il complesso militare industriale.
E due.
Il giorno ancora prima
II giorno ancora prima di questi eventi, gli abitanti del solito paese di
Profittopoli si sono svegliati con la notizia che gli `scienziati' hanno
scoperto il modo di modificare vegetali e animali intervenendo sul loro
patrimonio genetico, sono cioè in grado di `fabbricare' nuove `cose' -
esseri viventi? merci? - intervenendo con le `biotecnologie' sulle basi
stesse della vita.
La genetica tradizionale riesce a ottenere ibridi dal1'incrocio di piante e
animali differenti, talvolta con grandi successi; si pensi alle selezioni
che hanno permesso di ottenere ibridi di mais con una resa per ettaro
doppia, o frumento che non si lascia abbattere dal vento, o agli incroci
che hanno permesso di ottenere mucche ad alta produzione di latte, eccetera.
Ma la biotecnologia va molto al di là di questo. La natura ha `fabbricato',
attraverso lenti processi evolutivi, piante e animali senza pensare che
dovessero `servire' un giorno alle fabbriche e ai commerci, e quindi molti
organismi vegetali e animali sono `economicamente' scadenti. Alcune piante,
le leguminose, sono capaci di fissare direttamente 1'azoto dell'aria
trasformandolo in proteine, grazie a microrganismi presenti nelle radici;
altre, commercialmente preziose, come i cereali, possono crescere soltanto
portando via azoto dai sali presenti nel terreno e per questo richiedono
I'apporto di costosi concimi, Un vecchio sogno, che appariva
fantascientifico, immaginava di inserire nei cereali i batteri
azotofissatori in modo da evitare I'impiego di concimi nella loro
coltivazione. Le biotecnologie vanno in tale direzíone.
La `correzione' artif ciale dei `difetti' delle piante e degli animali può
essere ispirata anche a fini nobili: 1'aumento delle rese agricole potrebbe
contribuire a ridurre la fame nel mondo; la disponibilità di piante
geneticamente modificate resistenti ai parassiti potrebbe far diminuire la
richiesta di pesticidi e i conseguenti effetti negativi sugli ecosistemi;
una maggiore resistenza dei prodotti agricoli al degrado nei processi di
trasformazione e conservazione potrebbe facilitare il trasporto e la durata
degli alimenti.
Alcune di queste correzioni sono possibili con delicate e costose tecniche
- biotecnologiche, appunto `inventate' negli ultimi venti anni e che
consentono di `tagliare' dei pezzetti del patrimonio genetico che governa i
caratteri delle cellule víventi, inserendoli nelle cellule di altre piante
o animali. Queste operazioni richiedono però grandi investimenti e possono
essere fatte soltanto da industrie specializzate, in pratica dai grandi
gruppi multinazionali dell'industria agroalímentare e chimica.
Per proteggere dai concorrenti i risultati di tali costose ricerche, le
industrie che le hanno condotte li stanno brevettando: chi vuole sementi
resistenti, per esempio, ad un certo parassita o ad un erbicida dannoso,
deve acquistare la conoscenza delle rispettive procedure di manipolazione
genetica da chi le ha realizzate per primo. E si è subito posto il problema
se si può brevettare `la vita', e se si può accettare che una impresa
industriale diventi, di fatto, padrona esclusiva di conoscenze da cui
potrebbe dipendere la vita di milioni di persone. C'è il rischio di un
nuovo imperialismo biologico, per cui una società o uno Stato potrebbero
negare ad altri paesi la disponibilità di piante utili o di cure per alcune
malattie? Ancora una volta la risposta sconfina nel terreno dell'etica e
comunque vengono alla mente altri tempi e altre persone, come i coniugi
Curie che, un secolo fa, scoprirono I'esistenza del radio e le sue
proprietà curative del cancro e si rifiutarono di brevettare questa loro
scoperta. Un secolo dopo la ditta americana che ha analizzato il genoma
umano `patteggia' la pubblicazione delle preziose informazioni con la
garanzia di tenerne segrete alcune, quelle `vendibili'.
Quali possono essere le conseguenze della produzione di piante transgeniche
sull'ambiente, e dell'uso di organismi transgenici e dei loro derivati
sulla salute umana? Cultori di etica e ambientalisti dicano pure la loro,
ma il mercato risponde positivamente: si moltiplicano gli agricoltori che
`comprano' sementi di piante transgeniche resistenti ai parassiti, e
vendono i relativi raccolti. Tra le piante maggiormente coinvolte ci sono
il mais, la soia, le patate, i pomodori, la colza, la barbabietola da
zucchero.
Per quanto riguarda I'ambiente, uno dei successi dell'ingegneria genetica
consiste nel produrre piante resistenti a un potente erbicida, il
glifosato. Tale erbicida distrugge sia le piante indesiderabili, sia le
stesse colture agricole, il che è scomodo; la Monsanto, la società
produttrice, ha cosl incaricato gli scienziati di preparare delle varietà
di soia, mais, eccetera, resistenti al glifosato. In questo modo la
massiccia applicazione di glifosato distrugge bene le piante infestanti ma
non disturba le coltivazioni delle altre piante di interesse commerciale,
una volta che siano geneticamente modificate, per cui la società
proprietaria dei brevetti può guadagnare sia vendendo`di più' il proprio
erbicida, sia vendendo le sementi transgeniche; 1' `unico' inconveniente è
che il glifosato, impiegato in dosi elevate, finisce nel terreno e nelle
acque e resta nei vegetali destinati all'alimentazione umana.
Un altro esempio è offerto dal mais transgenico: nelle pratiche di
agricoltura `biologica' alcuni parassiti vengono combattuti con la tossina
presente in un batterio, il Bacillus thuringiensis, Bt, costoso e delicato
da applicare. Un'altra delle operazioni biotecnologiche ha permesso di
ottenere del mais che porta, `dentro' il proprio patrimonio genetico, le
proprietà pesticide del Bt; i parassiti non attaccano le piante, ma c'è il
rischio che la tossina passi negli ecosistemi e negli alimenti.
È possibile che i nuovi caratteri acquisiti dalle piante geneticamente
modificate, per esempio la resistenza ad alcuni antibiotici, vengano
trasferiti agli organismi dei consumatori, siano esseri umani o altri
organismi animali, al punto da rendere inefficace 1'impiego di tali
antibiotici nel caso di malattie? L'uso alimentare di piante o di animali
transgenici può avere effetti nocivi sulla salute delle persone? Dopo
quanto tempo possono farsi sentire gli eventuali effetti nocivi?
È in corso uno scontro di giganti fra le grandi compagnie agroalimentari e
chimiche da una parte e, dall'altra, le organizzazioni di difesa
dell'ambiente e dei consumatori, con i governi e i Parlamenti, nazionale ed
europei, presi fra questi due fuochi.
Come è prevedibile, sono più forti e attrezzate le strutture che `vogliono'
dimostrare 1'assoluta innocuità degli ingredienti derivati da organismi
transgenici. È la stessa situazione che ha impedito, per anni, di togliere
dal commercio pesticidi come il Ddt o i derivati dell'acido
triclorofenossiacetico o gli oli alimentari contenenti acido erucico o di
vietare gli ormoni nei mangimi: sono troppo pochi i laboratori che lavorano
per la difesa dei cittadini, rispetto alla gran · massa di laboratori e dí
`scienziati' impegnati a dimostrare che non c'era allora, e non c'è oggi,
nessun pericolo per la salute.
Davanti comunque ad una crescente, giusta, domanda, da parte dei
consumatori, di maggiore sicurezza, alcuni governi europei, in un primo
tempo, hanno considerato 1'ipotesi di vietare le importazioni, dag(i Stati
Uniti, di sementi di piante transgeniche: una azione che avrebbe
danneggiato 1'agricoltura americana e che si è dimostrata non praticabile
anche perché talvolta i semi di soia o di mais transgenici rappresentano
una frazione di poche unità percento su enormi partite di merce. Poi è
stata avanzata la proposta di vietare la coltivazione di piante
transgeniche in Europa, ma anche questa strada è stata rapidamente
abbandonata davanti alle proteste degli agricoltori che hanno ben presto
riconosciuto i vantaggi economici delle nuove coltivazioni.
I soggetti più importanti, ma anche più trascurati, i consumatori,
rivendicano almeno il diritto di conoscere che cosa i loro alimenti
contengono. I governi dei vari paesi discutono la possibilità di segnalare
aí consumatori, con una etichetta, gli alimenti che contengono ingredienti
derivati da prodotti trnsgenici sulla base di proprie considerazioni, del
prezzo, di una maggiore o minore convinzione della loro innocuità, per
consentire loro di sceglierli o evitarli.
La presenza di semi di mais o di soia o di pomodoro, geneticamente
modificati, nelle partite che entrano nei vari cicli produttivi
agroindustriali è, entro certi limiti, riconoscibile; è possibile
riconoscere la presenza di un seme transgenico anche fra mille o anche
diecimila semi normali. I problemi si fanno più complicati quando si tratta
di ricostruire la `storia naturale' dei derivati, per esempio delle farine,
o della lecitina, o di un grasso, estratti da mais o soia transgenici. Per
ora i governi pensano di imporre 1'etichettatura al più agli alimenti
transgenici quando sono facilmente riconoscibili per via analitica, mentre
sarebbero esenti da etichettatura i derivati di organismi transgenici
`sostanzialmente equivalenti' ai loro omologhi tradizionali. Una
definizione generica e abbastanza equivoca che esenta dalla etichettatura
molti prodotti di cui al consumatore potrebbe comunque interessare di
conoscere 1'origine.
Ma se un alimento non porta alcuna indicazione, o addirittura se, come si
comincia a fare, per motivi pubblicitari, un alimento è presentato come
`esente' da derivati di organismi geneticamente modificati, quali garanzia
ha il consumatore sull'origine dei vari ingredienti?
In questa confusione, e davanti a difficoltà anche analitiche, che
credibilità può avere 1'affermazione che una merendina o una maionese o una
conserva di pomodoro non contiene derivati di piante transgeniche, quando
non si è in grado di garantire 1'origine delle lecitine, dei grassi, delle
farine, dell'amido, dei pomodori, dello zucchero, eccetera, presenti nei
vari alimenti? Chi fabbrica dolciumi, paste, pane, alimenti in scatola,
eccetera, acquista materie prime da produttori che a loro volta hanno
trattato altre materie prime acquistate da altri ancora, che a loro volta
hanno acquistato mais o soia o pomodori da agricoltori o importatori.
Tutto ciò senza poter qui parlare del più importante e in certi casi
scandaloso aspetto dell'agricpltura transgenica lasciata in mano alle
multinazionali e ad un mercato da loro dominato: il rapporto cioè con i
paesi sottosviluppati. Paesi in cui le nuove tecnologie mettono fuori
mercato la produzione locale. E dove inoltri le medesime multinazionali si
assicurano, oltre ai diritti di brevetto, anche una quota del valore
prodotto, per via del fatto che le nuove specie vengono create `sterili',
obbligando così chi le usa ad acquistare continua mente e per sempre le
sementi dalla casa madre.
Per sventare le possibili frodi per i consumatori assume ancora maggiore
importanza la disponibilità di metodi analitici in grado di svelare le
modificazion genetiche e di laboratori in grado di applicare tal metodi in
modo affidabile e convincente.
E ritorna la domanda già fatta poco fa: come possono essere organizzate
strutture pubbliche di controllo che richiedono apparecchiature sofisticate
e costose per analisi che a loro volta richiedono tempo, specialisti che
sono anch'esse costose, quando i laboratori esistenti non riescono a
sconfiggere neanche le frodi pi banali, come la sofisticazione dell'olio di
oliva con oli di nocciole? E tre.
Domani?
Le storie di Profittopoli potrebbero continuare solo ci si voltasse
indietro qualche mese, qualche anno. Abusivismo edilizio con conseguente
erosione del suolo, frane e alluvioni; montagne di rifiuti; inquinamento
delle acque; frodi alimentari e industriali; scorie radioattive sparse per
I'Italia; importazioni di metalli radioattivi; incidenti nelle fabbriche,
morti sul lavoro, navi che affondano con i loro carichi di petrolio e
sostanze tossiche - e poi scelte industriali imprevidenti e miopi, con
devastanti conseguenze economiche ambientali: incentivi a chi distrugge le
automobili e televisori per comprarne di nuovi e aumentare la massa dei
rottami; benzine che prima sono verdi e poi si rivelano tossiche; le
timidezze nelle campagne contro fumo per non disturbare le multinazìonalì
del tabacco e lo stesso Stato venditore di veleni cancerogeni possibile
andare avanti così, solo per non intralciare leggi del libero mercato?
possibile continuare con la divinizzazione de pubblicità, con una società
nella quale «ogni uomo ingegna di procurare all'altro uomo un nuovo bisogno
per costringerlo ad un nuovo sacrificio?
Nessuna soluzione tecnico-scientifica sarà efficace se non si mette in
discussione il meccanismo che alimenta i pochi episodi ricordati e tutti
gli altri: la legge profitto fine a se stesso. Profitto non destinato a
fabbricare merci utili agli esseri umani, non destinati a far lavorare le
persone, a liberare dalla povertà e dalla miseria gli abitanti dei paesi
poveri e a liberare dall'alienazione gli abitanti dei paesi ricchi. Ma
profitto fine a se stesso, come vogliono le regole del capitalismo, sempre
più arrogante quanto più è globale, quanto riesce a intossicare non solo il
corpo ma la mente dei suoi adoratori, nel nord, nel sud, nell'est del mondo