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I: In Amazzonia arrivamo i biopirati





da Panorama  gennaio 2000

In Amazzonia arrivano i biopirati

Gli sciamani sudamericani denunciano il saccheggio delle erbe medicinali
amazzoniche da parte della medicina occidentale. In nome della New Age
di Ivano Sartori


Il cactus taringui dai poteri allucinogeni. Le foglie del jamou per
scacciare la febbre. Una tisana d'alcaparo per curare l'emicrania. Da
secoli gli indigeni boliviani conoscono le virtù terapeutiche delle
piante della foresta amazzonica. Da qualche anno anche i Paesi ricchi
hanno imparato ad apprezzarle e sfruttarle. Avventurieri senza scrupoli
battono i villaggi, spiano il lavoro degli sciamani, rubano i segreti
ancestrali delle loro pozioni, si fanno consegnare bacche ed erbe in
cambio di qualche dollaro. Li chiamano biopirati, ladri del patrimonio
genetico amazzonico. Sono fornitori, esploratori, battistrada di una
farmacopea industriale a corto di idee e di formule.

La regione di Izozag, nella Bolivia orientale, è particolarmente presa
di mira dai saccheggiatori. «E qui che sperano di trovare la formula per
sconfiggere il cancro», spiega il guaritore Miguel Cuellar, 64 anni, 12
mogli e un numero imprecisato di figli. «Avevo cinque anni quando mio
zio decise di trasmettermi le sue conoscenze sulle piante medicinali:
per quindici anni mi spiegò e mi insegnò, mentre questi stranieri
vogliono apprendere tutto in pochi giorni». Don Miguel Cuellar è uno
degli sciamani più stimati dela Bolivia. Come gli altri colleghi delle
trentasette comunità indigene del Paese, si sente truffato. «Ho rivelato
parecchi segreti e in cambio non ho ricevuto nulla». Si sente
minacciato.

Sa bene che i tre quarti dei medicinali moderni sono ricavati dalla
flora selvatica. E la foresta amazzonica è un erbario sterminato, in
gran parte vergine. Dopo l'incolumità degli alberi di alto fusto che
hanno mobilitato l'opinione internazionale negli ultimi anni, sono ora a
repentaglio le specie botaniche dalle proprietà medicinali. Don Miguel
illustra come funziona il meccanismo della rapina: «Utilizzano le nostre
piante per le manipolazioni genetiche. Depositano il brevetto del
principio attivo e così diventano proprietari delle nostre conoscenze e
della vegetazione che ci circonda».

Da qualche anno il furto sistematico delle risorse genetiche allarma le
autorità di La Paz. Nel 1995 il governo scopre che la società americana
Hoesing ha brevettato l'apelawa, una varietà del cereale quinoa,
utilizzata dai contadini aymara e quechua per curare la sterilità
maschile. «L'abbiamo saputo in tempo e siamo riusciti a fare annullare
il brevetto» spiega Pedro Avejera-Betarte, del ministero delle
Popolazioni indigene e dello Sviluppo durevole. «Avevano rubato alcuni
esemplari della pianta, analizzandola minuziosamente erano riusciti a
ricostruire la sequenza genetica e a divenire proprietari del suo
principio attivo medicinale e nutrizionale».

Ma è una lotta ad armi impari. «Quanti altri brevetti di piante
biopiratate in Bolivia sono stati depositati senza che noi lo
sapessimo?» si chiede Avejera-Betarte. L'ignoranza e una comprensibile
fame di denaro sono complici dei rapinatori. Recentemente si è saputo di
un sedicente etnobotanico che pagava un boliviano, circa trecento lire,
per ogni pianta medicinale che gli indios aguarati gli procurassero. Una
miseria. Quando il capo del villaggio ne è stato informato, lo straniero
aveva già preso il volo con il suo prezioso carico. «Da noi non c'è
penuria del verde delle piante » ammette Pedro Avejera-Betarte, «ma del
verde dei dollari». Alcuni biopirati più astuti si spacciano per
antropologi e si infiltrano tra gli allievi degli sciamani.

Oppure si fingono malati. «Come terapeuta non posso rifiutarmi di curare
una persona malata, devo dispensare ad altri il dono che ho ricevuto
dagli antenati e da Dio» spiega don Miguel. Gli strumenti per difendersi
sono pochi e inefficaci. La Convenzione di Rio de Janeiro del 1992 sulla
biodiversità stabilisce che ai popoli in via di sviluppo è dovuta una
ricompensa per l'utilizzo del loro materiale genetico. E precisa che
ogni nazione ha il diritto sovrano di sfruttare le prorie risorse. Ma
questi principi, condivisibili in via formale, pongono problemi di ardua
soluzione. Chi ha accesso alle risorse genetiche? Chi gestisce tale
accesso? Chi incassa i benefici della biotecnologia? E in che misura?
Solo da cinque anni le popolazioni indigene, che sono poi le
proprietarie dei terreni su cui le piante crescono e i detentori dei
segreti della loro manipolazione, hanno ottenuto gli stessi diritti
degli altri boliviani.

Quale può essere il loro grado di conoscenze e di autonomia per
lanciarsi in una battaglia internazionale che vede schierati potenti
multinazionali, borghesie interne e profittatori d'ogni risma? E il
diritto di proprietà rivendicato dagli indigeni è da intendersi
individuale, sulla falsariga dei Paesi sviluppati, o comunitario?
Intanto che le autorità nazionali e locali dibattono e preparano
progetti di legge, i biopirati continuano la spoliazione favoriti dal
generale clima di globalizzazione.

A Santa Cruz si è però costituito il Cidob, un comitato di autodifesa
che ha deciso di adottare gli stessi strumenti della mondializzazione:
attraverso Internet si sono messi in contatto con gli altri
comproprietari della foresta amazzonica (Peruviani, Ecuadoriani,
Venezuelani e Colombiani) per economizzare gli sforzi e puntare sugli
stessi obiettivi.

Tra questi c'è la cura delle malattie dei Paesi poveri, come la lebbra
bianca, con le risorse dei Paesi poveri. Insomma, un'alleanza del Sud
del pianeta per sviluppare un'industria farmaceutica sudamericana basata
sull'uso di una farmacopea di origine naturale. «Questo sì potrebbe
condurci all'integrazione nell'economia mondiale alla pari» sogna Pedro
Avejera-Betarte.