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documento forum ambiente rosso - verde



Bozza di documento per un manifesto e un forum ambientalista proposta da:
Fabrizio Giovenale, Roberto Musacchio, Giorgio Nebbia e Franco Russo

Chi e perché

Noi sottoscritti che viviamo da gran tempo le problematiche dell’ambiente
siamo profondamente convinti del loro interesse vitale, imprescindibile,
per il nostro presente e il nostro futuro.

Il mondo in cui viviamo è sempre più segnato dal degrado ambientale: sulle
dimensioni globali come su quelle locali. E ciò si accompagna a crescenti
sofferenze umane e sociali di cui sono segnali la fame nel mondo, il
divario sempre più marcato fra ricchi e poveri, il peggioramento delle
condizioni per il lavoro.
L’accelerazione di questi fenomeni nel nostro tempo è l’effetto di un
processo neoliberista di globalizzazione dell’economia che ha sconvolto i
modi di produzione, gli assetti sociali e i nostri stessi modi di vivere,
segnando una nuova fase di dominio del capitale.

Siamo convinti che un orientamento mentale e politico all’altezza dei
problemi cui l’umanità si trova di fronte nel nostro tempo, e le azioni da
portare avanti di conseguenza, si legano strettamente alle scelte di cui
saremo capaci in fatto di politiche ambientali. E che  proprio da queste ci
possano venire nuovi motivi validi,  e una volontà rinnovata per
fuoriuscire dal modello capitalista.

Perciò avvertiamo l’esigenza del presente invito alla discussione. E
proponiamo una possibile agenda di temi.

La Economia Globale

Il contrasto tra le specifiche modalità evolutive della nostra specie e
quelle complessive della biosfera è venuto avanti, come sappiamo,
parallelamente alla storia delle civiltà umane: fino all’accelerazione
impresa dalla civiltà industriale al degrado fisico planetario. Tanto che
la seconda metà di questo secolo ha visto profilarsi la minaccia della
"saturazione", dell’incapacità della Terra di sopportare ancora senza
deterioramenti irreversibili nostri aumenti di numero e di consumi di noi
esseri umani.

L’estensione al mondo intero, dopo la caduta del Muro, di un Sistema
Economico Globale fondato sulla totale libertà di movimenti e comportamenti
di capitali e di imprese ha impresso al degrado un’accelerazione ulteriore:
col moltiplicarsi dei consumi di risorse, dei guasti e degli inquinamenti –
sotto i colpi di una corsa sfrenata al profitto – ad opera di soggetti
deresponsabilizzati nei confronti dei governi e dei popoli, sempre più
insensibili ai valori civili  ovvero ai diritti umani e alle istanze sociali.

Soggetti che dispongono perdipiù di sempre nuove tecnologie portatrici di
alterazioni ambientali, sanitarie e sociali sempre meno controllabili. Al
punto che – contrariamente alle speranze di ieri – gran parte dell’umanità
non si aspetta più miglioramenti per la propria esistenza.

La situazione

E dunque il Nuovo Ordine Mondiale si rivela tutt’altro che portatore di
progresso. Lo dimostra il fatto che ormai vanno insieme degrado ambientale
e peggioramento delle condizioni sociali, effetto serra e povertà. C’è una
crescita, ancorché rallentata, che però continua a peggiorare le condizioni
fisiche del globo senza neanche più far "progredire"  quelle sociali. Si
conferma e si aggrava la negatività di uno sviluppo fondato su questo
modello e sulla crescita quantitativa.

E appare sempre più manifesta, dietro i processi dell’Economia Globale, la
presenza egemonica USA a tutto campo: dai protezionisti vecchio-stile (la
"guerra delle banane") all’imposizione al mondo dei brevetti transgenici
all’uso ormai sistematico degli strumenti di guerra a sostegno della
supremazia economica. La guerra è divenuta strumento ordinario di gestione
di un determinato assetto e delle sue contraddizioni. Al contrario essa,
anche per le conseguenze ambientali e la sua inconciabilità con il pianeta,
dovrebbe essere del tutto ripudiata.

Di conseguenza, nessun sollievo per le "aree povere". I cui abitanti vedono
addirittura tornare ad abbreviarsi le speranze di vita, e che al tempo
stesso la pressione demografica spinge all’emigrazione verso le "aree
forti" del mondo. Dove più che accoglienza li aspettano, come sappiamo, lo
sfruttamento o l’espulsione.

Così l’insicurezza sta diventando, per parti sempre maggiori degli uomini e
delle donne del nostro tempo, la normale condizione di vita.

E naturalmente le istituzioni della democrazia contano sempre meno.
L’americanizzazione imposta porta a sostituirne i loro poteri con quelli di
strutture tecnocratiche (FMI, WTO, Banca Mondiale) espressione diretta dei
potentati economici.

Anche le esperienze di governo delle sinistre moderate e verdi in Europa
subiscono la "curvatura liberista": anzi la assumono come connotato di
modernità, rinunciando perciò a perseguire le priorità sociali e
ambientali. Cade così anche la speranza di far prevalere in qualche misura
le esigenze dell’ambiente sulle logiche di mercato.

Anzi accade il contrario. È  il mercato che ingloba l’ambiente: dalla
"brevettabilità genetica" alla compravendita delle quote di inquinamento
alla mercificazione delle risorse  naturali primarie (acqua, energia, suolo).

Le privatizzazioni sono uno degli strumenti di questo processo mercificatore.

Ma l’aspetto forse più tragico sta nella passivizzazione cui sono
condannate le grandi moltitudini umane per la cappa di piombo imposta dal
"pensiero unico" alle capacità di reazione e alle volontà di riscatto.

La necessità di reagire

Se pensiamo alla portata sconvolgente di quel che accade – dalle guerre
alle manipolazioni genetiche alla resa di milioni di persone alla
condizione di cavie per simili pratiche di dominio politico-tecnocratico –
sentiamo con nettezza che non si può più né tacere né stare a guardare. 

È necessario rimettere in campo un fronte di alternativa. Un fronte che
contesti apertamente Economia Globale e neoliberismo Che si schieri a
favore di un modello diverso di società. Un fronte che si alimenti delle
aspirazioni a una nuova prospettiva di liberazione: a un nuovo modo di
essere di sinistra, di perseguire insieme libertà ed eguaglianza. A un
ambientalismo che rifiuti la subalternità al Sistema. 

Un fronte che si ispiri alle tante esperienze di lotta che mettono insieme
ambiente e equità sociale: dai Chiapas ai Sem-terra ai Paysans francesi di
José Bové ai comitati nostrani contro i rifiuti e per la lotta
all’elettrosmog.

Un fronte simile vedrà necessariamente ancora nel mondo del lavoro una sua
parte integrante. Tanto più oggi, con il "compromesso sviluppista" messo in
crisi da una crescita senza sviluppo che vanifica le stesse conquiste dei
lavoratori. 

Un fronte che rifiuti le lusinghe mistificanti della Terza Via ("l’amore
per il rischio"), il lavoratore "imprenditore di se stesso", i
fondi-pensione sul mercato dei capitali) e si dia invece come finalità le
"garanzie come diritto". Garanzie di lavoro con l’affermazione dei diritti
umani e fra essi le libertà e i diritti sindacali e fondamentali della
persona e per condizioni di lavoro sicure, non inquinanti nonché per
condizioni decorose di vita.

Un fronte, infine, capace di ri-creare le condizioni favorevoli a un
movimento autenticamente rosso-verde. "Ecosocialista". Che possa aiutare
donne e uomini a ricostruire le cause e i nessi del loro disagio sociale e
ambientale. E a muoversi per venirne fuori.
Da questo punto di vista ciò che è accaduto a Seattle è di grandissima
importanza e mostra la praticabilità.

Queste, grosso modo,  le opzioni che un fronte alternativo simile dovrebbe
impegnarsi a portare avanti:

la consapevolezza dei "valori in sé" legati alle condizioni ambientali;
la subordinazione sistematica delle motivazioni economiche a quelle sociali
e ambientali;
la pratica attiva della solidarietà, dell’equità e della razionalità
parsimoniosa nell’uso delle risorse;
il rifiuto della guerra e della violenza;
un diverso rapporto Nord-Sud basato sull’equità e la cooperazione solidale;
una politica di accoglienza e di integrazione interetnica, contro ogni
forma di razzismo;
il diritto al lavoro e a una sua retribuzione tale da garantire condizioni
decorose di vita;
il diritto alla sicurezza: a una società senza rischi né sul lavoro né nei
rapporti con l’ambiente;
il riconoscimento del valore pubblico (collettivo per eccellenza) dei beni
ambientali: acqua, aria, suolo, energia, patrimoni genetici;
la costruzione di un collegamento forte fra i temi del lavoro e dell’ambiente;
la riconquista della "dimensione locale" dell’economia e della socialità in
contrapposizione alle pulsioni dissipative, inumane e genocide
dell’Economia Globale.

Il caso ITALIA

Le capacità di tradurre questi principi in pratiche operative concrete
mancano al governo del nostro paese. Grande è la delusione rispetto alle
speranze del 21 aprile. Ha prevalso ancora la logica esclusivamente
monetarista, la continuità coi vecchi modi dello sviluppo. Anche quando
(raggiunta ormai l’unità monetaria europea) avviare un cambiamento di rotta
sarebbe stato più agevole, questa possibilità è stata lasciata cadere.

Ambiente e qualità sociale non sono iscritti in realtà nella pratica di
questo governo. La possibilità di creare "nessi virtuosi" lavoro-ambiente
(nonostante i suggerimenti ambientalisti) non sono prese in considerazione.
Si seguitano a privatizzare risorse fondamentali. Anzi sulla
privatizzazione delle risorse, acqua, energia, suolo, si pensa di costruire
occasioni di accumulazione. Analogamente le infrastrutture (dall’Alta
Velocità in poi) tendono a divenire luogo di profitto e di controllo sugli
assetti territoriali e sulla circolazione di merci appaltato a poteri
forti. Così come permane la logica delle grandi opere sbagliate e a grave
impatto ambientale (dal Ponte sullo Stretto al Mose di Venezia). Si
liberalizzano le tecnologie produttive di elettrosmog senza neanche averle
prima disciplinate con leggi. Addirittura si svendono i beni culturali e
gli usi civici di proprietà pubblica. Il territorio è sempre più
compromesso, aria acqua e terre sempre più contaminate, le città in preda
alla congestione, ai gas venefici e agli inquinamenti acustici da mezzi
motorizzati.
Le scelte per il "che fare"
Chiaro che un programma alternativo, fondato sul nesso lavoro-ambiente,
sarà bene costruirlo collegiamente. Alcune idee tuttavia possono essere
anticipate.

L’economia autocentrata.
La prima è quella di una nuova serie di attività economiche fondate sulle
vocazioni e le peculiarità dei territori, complementari e sostitutive per
quanto possibile rispetto ai circuiti dell’Economia Globale. Un’economia
che rivaluti la dimensione locale in termini di valorizzazione delle
risorse ambientali e umane. Aperta alle interrelazioni con il sociale e
chiusa allo sfruttamento.

Lavoro - Ambiente
La seconda idea è che la nuova occupazione debba venire in larga misura dai
grandi progetti di risanamento ambientale (forestale, idrogeologico,
agricolo, urbano) con la possibilità di creare centinaia di migliaia di
posti di lavoro.

I piani di bacino
Si pensi all’importanza estrema della realizzazione di "Piani di bacino"
per la ri-naturalizzazione e la riqualificazione dei rapporti fra il
territorio e le acque. La vegetazione arborea come sostegno e "respiro"
della terra. L’acqua come vita. Il fiume come cultura. Possono essere
queste le premesse per uno sviluppo diverso. E concretamente sono i piani
di bacino la base di un diverso governo del territorio.

Le conversioni ecologiche
E se l’effetto-serra mette in discussione la vita stessa della biosfera,
occorre concentrare le politiche per fronteggiarlo in modo ben più radicale
di quanto previsto dagli impegni (disattesi, peraltro) di Kyoto.

Ciò di cui c’è bisogno è una conversione complessiva "in chiave ecologica"
delle diverse attività: produzioni, infrastrutture, energia, trasporti…

Il rischio zero
Bisogna affermare nelle produzioni, per i lavoratori e le popolazioni, il
diritto a ricercare il rischio zero. Il che significa che ci deve essere un
principio di cautela in cui spetta ai produttori dimostrare le non
nocività, e non il contrario che tutto è consentito se non si dimostra la
nocività.
Questo deve valere per tutti i componenti dei cicli oltreché per i prodotti
finali.
Il risanamento e la riconversione degli impianti inquinanti deve essere
progettato e guidato con interventi guidati dal pubblico. E che ci deve
essere un adeguato controllo pubblico sui rischi delle produzioni, che sia
a disposizione dei delegati alla sicurezza e fornisca strumenti utili alla
contrattazione.

Le città - Sono attraversate da profondi fenomeni generatori di crisi, che
ne rimettono in discussione il ruolo specifico di "nicchia ecologica" per i
loro abitanti. L’accumulo di inquinamenti, la paralisi della mobilità, le
disfunzioni, il moltiplicarsi dei processi di mercificazione e formazione
di rendite, il dilagare delle emarginazioni e della povertà ne sono la
sostanza.

La riconquista di una vita cittadina a misura d’uomo e di un
"effetto-città" in armonia con la natura è un grande obiettivo. Richiede la
riqualificazione di tutti i cicli e di tutte le funzioni urbane.

Emblematico è il "diritto alla mobilità". Che richiede scelte concrete
(trasporto pubblico, blocco delle ulteriori espansioni, razionalizzazioni
di funzioni e di orari) per avvicinarci al massimo all’obiettivo della
città senz’auto. Ma altrettanta importanza va data per lo stesso fine al
"diritto alla non-mobilità": all’assicurare ai cittadini le cose più
necessarie all’esistenza quotidiana entro distanze quanto più possibile
pedonali.

Il ciclo delle merci – Deve tendere a sostituire il tradizionale modello
produzione-consumo-rifiuti con  un modello basato sul criterio di ridurre i
rifiuti al minimo. Fin dalla scelta di partenza: su che cosa produrre,
perché, per chi, quanto, dove, come….

Un circuito virtuoso, cioè, in cui le merci incorporino valenze sociali e
ambientali, siano pensate per l’utilità ed il benessere di tutti, siano
adatte ad essere reinserite dopo l’uso nel ciclo produttivo (intere o per
parti) non trasformandosi in rifiuti evitando dunque le discariche e gli
inceneritori che non vogliamo.
Alla qualità delle merci, delle produzioni e delle attività economiche va
finalizzato il sistema di incentivi nazionali e europei.

La sanità dell’ambiente – La società industriale ha disseminato il
territorio di inquinamenti e veleni, che rischiano purtroppo di
sopravvivere alle stesse attività produttive. Dalla Farmoplant alla ACNA a
Marghera… Ambiente e lavoro umano sono stati troppo e troppo malamente
sfruttati. Abbiamo lasciato che si infliggessero malattie agli uomini e
alla natura.

E dunque la bonifica delle aree industriali è una necessità. Ed è anche una
straordinaria occasione per ripulire i territori ricostruendo "nel
profondo" la loro storia produttiva. Conoscere è indispensabile: sia per
bonificare che per monitorare la salute dei lavoratori che degli abitanti.

La bonifica va considerate una vera e propria attività industriale nuova:
propedeutica e complementare rispetto a diversi aspetti delle funzioni e
degli insediamenti industriali. 

Democrazia senza segreti e diritto alla sicurezza
Oggi si tratta, infatti, di lavorare per una società che sia in grado di
dare sicurezza e ridurre i rischi. Di portare più sicurezza nel lavoro,
nella città, nella vita domestica.

Il che significa necessariamente una gamma molto ampia di provvedimenti di
tutela e d’informazione. Non si può seguitare ad esser ridotti al ruolo di
cavie del profitto. Perciò occorre regolamentare, risanare (e quando
necessario vietare) le diverse fonti di rischio possibili, dall’elettrosmog
ai prodotti transgenetici.

La società alla quale aspiriamo non ammette segreti sui dati che riguardano
la vita dei lavoratori e dei cittadini. Richiede quindi non solo
l’accessibilità ma la socializzazione di tutte le informazioni.

Biotecnologie. – L’alimentazione è una grande questione aperta. La morte
per fame falcia i paesi poveri. La sottonutrizione è di massa. Ma il
degrado alimentare minaccia anche i poveri (e i non-poveri) dei paesi ricchi.

La manipolazione biogenetica è l’opzione messa in campo dalle
Multinazionali per assumere il controllo e la proprietà della
alimentazione. In realtà per appropriarsi del controllo sulla riproduzione
della vita e giungere così al controllo totale.

Intenti e rischi inaccettabili. Perciò vanno rifiutate le sperimentazioni
"sul campo", le commercializzazioni, le brevettazioni e va lasciata in mani
pubbliche la ricerca.

Alimentazione – E con la lotta al transgenico va aperta una grande vertenza
sul diritto all’alimentazione. A scala mondiale, europea e nazionale.
Vertenza che riguarda: 
i rapporti tra Nord e Sud del mondo;
lo sviluppo "autocentrato" dei paesi terzi;
le politiche europee, che devono vedere gli incentivi orientarsi verso le
produzioni più "fondate sul lavoro" e più utili all’umanità nel complesso;
il recupero per tutti delle possibilità di accesso ai prodotti "sani", oggi
limitate tanto dal disagio economico  che dalle politiche ispirate dalle
Multinazionali transgeniche (Maastricht, Consiglio d’Europa).

Per una critica ecologica dell’economia
Una critica che contesti la logica quantitativa e della crescita fine a se
stessa e ricerchi le soluzioni ai problemi sociali in un ambito nuovo
fondato sulla qualità dotandosi anche di nuovi indicatori alternativi al
PIL.
Antonio Bruno
Vice Presidente del Consiglio Comunale di Genova
Altro Polo - Sinistra Verde
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