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chi inventa il mio dna?



dal manifesto di domenica 18 febbraio 2001

   
    
 
    
 

18 Febbraio 2001 
  
 
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Chi inventa il mio Dna? 
E FRANCO CARLINI 

'solo l'inizio, baby". Questo è il succo più vero dell'evento scientifico
di lunedì scorso, la contemporanea presentazione da parte dei due gruppi di
ricercatori rivali, di due mappe del genoma umano. Già si sapeva in
anticipo, del resto, che l'aver messo (quasi) in fila le quattro lettere
dell'alfabeto dei geni, ACGT, base dopo base, gene dopo gene e cromosoma
dopo cromosoma, avrebbe prodotto non già dei "risultati" immediati, ma solo
una gigantesca stele di Rosetta da decodificare negli anni a venire. Ogni
gene infatti, contiene le istruzioni per fabbricare i veri mattoni
biologici dell'organismo, le proteine, e queste, a loro volta interagendo,
fanno la vita. Alcune proteine per esempio sono "solo" degli enzimi, cioè
dei catalizzatori di reazioni chimiche e svolgono un ruolo intermedio nei
processi di fabbricazione delle cellule. Non soltanto le persone
differiscono almeno in parte per i geni che possiedono (c'è chi ha i
capelli rossi e chi neri, chi ha gli occhi azzuri e chi banalmente
marroncini), ma in ognuno di noi, in diversi momenti della nostra esistenza
(anche della nostra giornata), sono attivi solo alcuni dei processi di
fabbricazione, in rapporto alle condizioni dell'ambiente circostante (il
nostro stesso corpo). Dunque una fantastica e per adesso quasi
inestricabile matassa di reazioni e controreazioni, che interagiscono tra
di loro e si condizionano.
Può apparire paradossale, ma proprio la consegna alla pubblica opinione
delle mappe del genoma umano, se apparentemente sanziona il trionfo di un
approccio iperiduzionista ("ridurre" appunto i fenomeni complessi al loro
più elementare alfabeto), indica, al contrario, tutti i limiti di questo
procedura e incita tutti alla modestia riguardo al moltissimo che ancora
non si sa. La mappa infatti è importantissima e cruciale, ma solo come
materiale di base, a partire dal quale studiare i processi superiori. Si
apre un filone di ricerca che durerà almeno una ventina d'anni, così almeno
dicono gli esperti. Il nome per la nuova disciplina già c'è: dopo la
Genomica è l'ora della Proteonica.
Ma perché trattare di genetica in questa pagina tradizionalmente dedicata
alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione? Per almeno due
buoni motivi, entrambi cruciali. Il primo è che, senza i computer e le
reti, questa enorme opera di schedatura e mappatura non sarebbe mai stata
possibile. E' dunque uno di quei casi in cui la disponibilità di alcuni
strumenti tecnici, sposta in avanti (e insieme condiziona e pilota) il modo
di fare scienza.
Il secondo buon motivo è che nella rete Internet, nel commercio
elettronico, nel caso Napster, così come nel progetto Genoma, il cuore del
conflitto è nella gestione e nel possesso della proprietà intellettuale,
delicatissimo tema su cui hanno dolcemente sorvolato gli scienziati
italiani che, sempre in questa settimana, si sono atteggiati a Galilei
perseguitati e coartati.
La foto storica dell'evento genoma ci tramanda due personaggi carismatici
seduti a fianco e persino sorridenti, anche se non si amano affatto. Sono
Craig Venter, il leader della privata Celera Genomics e Francis Collins,
che guida invece il consorzio pubblico internazionale Human Genome Project.
Craig Venter, che oggi troppa stampa magnifica come un eroe per aver
realizzato il Grande Progetto, era un tempo un ricercatore pubblico che
operava presso i National Institutes of Health. In quel ruolo cominciò a
mappare e sequenziare pezzi di Dna umano fin dai primi anni '90. La data
fatidica è il 20 giugno 1991, quando lo stesso Venter depositò presso il
Patent Office americano un dossier di 400 pagine; era la domanda di
brevetto per 347 geni umani, di cui chiedeva ogni diritto futuro. In realtà
nemmeno di geni si trattava, ma solo di frammenti (in termine tecnico
Expressed Sequence Tags) di cui ignorava del tutto funzione e ruolo, ed
erano il frutto delle prime macchine di sequenziazione automatica che
facevano più presto e in maniera massiccia quello che fino allora era
compito dei tecnici di laboratorio: estrarre il Dna dalle cellule e farlo
migrare su dei gel per rivelarne la struttura analitica.
Fu scandalo, e giusto scandalo, almeno tra i ricercatori più seri. Il
coscopritore della struttura a doppia elica del Dna, il premio Nobel James
Watson dichiarò nell'occasione: "Appena l'ho sentito sono caduto dalla
seggiola... con l'avvento delle macchine automatiche anche una scimmia
potrebbe fare quello che il gruppo di Venter fa. Quello che importa è
interpretare la sequenza. Se questi bit sparsi di informazione fossero
brevettati, rimarrei inorridito".
Dieci anni dopo la questione rimane essenzialmente la stessa, ma con
qualche peggioramento e molte preoccupazioni in più. E' vero infatti che la
ricerca pubblica americana ha sostanzialmente espulso Venter, ma egli è
stato massicciamente adottato da Wall Street e dai media e ciò ha costretto
anche i più rigorosi assertori della libera circolazione delle idee a
trattare con lui. Come nella New Economy, anche in questo campo l'interesse
generale ha ceduto la guida agli andamenti finanziari. Così il Patent
Office non ha modificato in maniera sostanziale la sua politica di
concedere generosamente dei brevetti per invenzioni della natura come
appunto sono i geni. Ma c'è di peggio: i brevetti, una volta depositati
sono pubblici; nel caso dell'archivio Venter, invece, anche la loro
consultazione per fini di studio e di libera ricerca (quel valore tanto
sventolato dai Garattini e dalle Montalcini) viene vincolato e ristretto.
All'operazione, che nega alla radice tutta l'ideologia della scienza
accumulata negli ultimi duemila anni di storia dell'umanità, si è piegata
colpevolmente anche la rivista Science, una delle due grandi stelle
dell'universo editoriale scientifico (l'altra è l'inglese Nature).
L'assurdità è doppia. Intanto perché Venter e gli altri frenetici
brevettatori, non hanno inventato nulla. L'invenzione è frutto degli
infiniti tentativi casuali che la specie umana, evolvendo, ha compiuto
inconsapevolmente. E poi perché in tutti i codici legali dei paesi che
tutelano la proprietà intellettuale, tali diritti si possono attribuire
solo per l'espressione delle idee (il diritto d'autore) o per le invenzioni
concrete. Le idee non si possono privatizzare - così dice il diritto.
Semmai può essere concessa una protezione, limitata nel tempo, alle idee
che si concretizzano in modalità espressive (per esempio letterarie o
musicali) o in apparati della tecnica (le invenzioni, appunto coperte da
brevetto).
Dunque diritto vorrebbe che se qualcuno, grazie alle conoscenze del genoma,
riesce a fare un medicinale che cura una certa malattia, allora quel
farmaco sia brevettabile, ma vuole anche che tutti i ricercatori e tutte le
case farmaceutiche siano messi in grado, a partire da una base di
conoscenza comune e pubblica, di tentare le loro invenzioni farmacologiche.
Molto semplice e lineare, eppure questo codice della scienza e della
società civile è oggi continuamente violato da ricercatori quotati borsa,
da case farmaceutiche, da università e persino dagli stessi governi. Alcuni
burocrati sui quali non è possibile esercitare alcun vero controllo
democratico o sociale, provvedono poi, con grande solerzia, a distribuire
brevetti per il software o per i geni con una leggerezza quantomeno
sospetta e sovente con grande incompetenza della materia.