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Legambiente: L'Italia Minore



11 Ottobre 2000 

LA RIVINCITA DELL'ITALIA MINORE 

    La manutenzione del territorio, il turismo rurale e naturalistico,
l'agricoltura, l'artigianato e il commercio possono fornire gli strumenti
più adeguati per investire su quelle aree che, forse in maniera un po'
esagerata, si definiscono "a rischio d'estinzione", quelle migliaia di
centri abitati diffusi capillarmente su tutto il territorio italiano che
pur avendo prodotto nei secoli un patrimonio straordinario di beni
culturali e ambientali, abilità manifatturiere, saperi e sapori, sono
realmente poco competitivi da un punto di vista economico, che vedono
sparire da un anno all'altro l'ufficio postale, la scuola, il presidio
sanitario, gli esercizi commerciali. Sono 2.830 i comuni interessati -
rivela lo studio realizzato per Legambiente e Confcommercio da Serico -
Gruppo Cresme - comuni che si concentrano lungo l'arco alpino piemontese,
lombardo e friulano, lungo Alpi e Appennini liguri, lungo la dorsale
appenninica tosco-emiliana e centro meridionale, nelle zone montuose
interne di Sicilia e Sardegna, sugli Appennini dalla Calabria all'Abruzzo e
si diffondono verso nord toccando anche le aree interne di Marche e
Toscana. Comuni che possono puntare sul loro rilancio sociale ed economico
investendo sul patrimonio ambientale e culturale che custodiscono, sulla
biodiversità innanzitutto, che vede l'Italia fra i paesi più ricchi, con
quasi 6.000 specie floristiche e 1.200 specie di vertebrati (più di un
terzo del patrimonio faunistico europeo) che abitano in questi 2.300.000
ettari di superficie che costituiscono il sistema delle aree naturali
protette. Proprio di questo si è parlato oggi a Roma, nel corso della prima
Convenzione programmatica nazionale organizzata da Legambiente e
Confcommercio "Investire sul Belpaese: i servizi territoriali diffusi per
la competizione globale", alla quale hanno partecipato tra gli altri,
Ermete Realacci, presidente nazionale di Legambiente, Sergio Billè,
presidente nazionale Confcommercio, i ministri Franco Bassanini (Funzione
Pubblica), Willer Bordon (Ambiente) e Alfonso Pecoraro Scanio (Politiche
Agricole); Sandro Polci di Serico - Gruppo Cresme, rappresentanti di Anci,
Upi, Uncem, Federparchi, Ancim, Conferenza delle Regioni e Province
Autonome, Slow Food, Confartigianato, Confesercenti, Cna e Cia. 2.830
comuni - pari al 35% del totale - in cui risiede l'8,7% della popolazione
con un reddito medio inferiore del 26% alla media nazionale; dove è
laureato l'1,5% dell'intera popolazione residente (rispetto alla media
nazionale del 3,6); gli occupati nelle imprese private sono meno di 1/3
della media nazionale (424.631 su un totale nazionale di 13,8 milioni) e si
esprime il 3,9% degli addetti al commercio (147.000 su 3.740.000) ma dove
sono registrate ben 774.800 Partite Iva (14% in più rispetto alla media
nazionale, ma che creano una ricchezza minore del 40% della media) a
testimonianza della polverizzazione della struttura produttiva in piccole e
piccolissime unità locali. "Sono proprio questi però - ha dichiarato
Realacci - i centri che custodiscono l'immenso patrimonio culturale e
storico, naturale ma anche enogastronomico del Paese. E' in queste zone che
troviamo vasta parte dei beni culturali nazionali, ricca di chiese e
conventi, dimore storiche e giardini, archivi e biblioteche. E sempre qui
alberga l'Italia dei prodotti tipici, delle tradizioni, dell'artigianato
artistico, della coesione sociale. Risorse immense che, valorizzate in modo
adeguato, diventano uno dei motori di un nuovo sviluppo economico del
Paese, una forza nuova capace di renderci competitivi, con una nostra
identità, nel processo di globalizzazione in corso". "Far morire gli
esercizi commerciali - ha dichiarato Billè - nei paesi che sono costretti a
vivere sotto il livello del benessere economico è un errore grave, direi
imperdonabile, perché senza queste strutture i paesi sono destinati ad una
lenta ma inesorabile agonia. E se bisogna salvare il commercio e cioè la
vita stessa di questi paesi bisogna fare in modo che anche le ricchezze
ambientali siano salvaguardate e dotate delle necessarie infrastrutture".
La rivitalizzazione economica di queste aree passa attraverso la
realizzazione di un'adeguata rete di servizi territoriali ed esercizi
commerciali. Ma quali energie imprenditoriali e produttive può liberare il
mantenimento di tale rete di servizi? In altre parole, quale ricchezza può
generare per finanziare tali investimenti? Investimenti realizzabili nei
prossimi anni (2000 / 2006) con i fondi comunitari, anche grazie progetto
della Rete Ecologica Nazionale che interessa le aree montane e insulari del
Paese. In particolare il progetto Ape (Appennino Parco d'Europa) che è
stato recentemente finanziato dal Cipe con 35 miliardi di lire. LA
MANUTENZIONE DEL TERRITORIO Il dissesto idrogeologico negli ultimi 70 anni
ha riguardato 2.678 comuni colpiti da frane e 1.727 da alluvioni, per un
totale 4.405 comuni colpiti (oltre il 50% dei comuni italiani). L'Italia è
quindi un paese ad alto rischio geologico, afflitto quasi annualmente da
gravi episodi di natura ambientale ma in buona misura anche da consumo
eccessivo di suolo (spesso abusivo), incuria e abbandono. Tale situazione
scaturisce anche dalla mancanza di manutenzione, attività storicamente
svolta dagli agricoltori ed oggi non più sviluppata adeguatamente. Le
catastrofi ambientali costano ogni anno 7 mila miliardi di lire solo per le
"terapie intensive": negli ultimi 50 anni solo per far fronte ai danni
derivanti dalle calamità innaturali sono stati spesi insomma 350 mila
miliardi. Esistono quindi molte opportunità in questo settore, sia per quel
che riguarda l'attività di contenimento e razionalizzazione dei costi di
intervento, attraverso attività manutentive di natura preventiva, sia per
lo sviluppo di nuove intraprese economiche, micro-imprese, tecnologicamente
e professionalmente attrezzate al mantenimento dell'assetto idrogeologico:
realtà imprenditoriali, che non godranno generalmente di commesse di grande
dimensione, caratterizzandosi per micro-attività puntuali e diffuse, ma che
saranno in grado di attivare circoli economici virtuosi, capaci di sicuri
benefici soprattutto grazie all'uso delle più moderne tecnologie
(monitoraggio permanente, analisi strumentali e interventi di ingegneria
naturalistica). IL TURISMO RURALE E NATURALISTICO Lo spazio rurale,
nell'era della new economy, rappresenta un grande patrimonio, un bacino di
ricchezza che, se adeguatamente valorizzato, può dare nuovo impulso alla
crescita economica, nonché valide risposte all'esigenza di fruizione
turistico-ricreativa. Quanto più cresce la standardizzazione e
l'omologazione offerta dalla città infatti, tanto più i cittadini, "ghiotti
di particolarismi", scelgono spazi alternativi, non omologati, verdi. Per
essere propositivi nel mercato si deve allora strutturare un'offerta in
grado di fornire servizi turistici, proporre attrattive territoriali e
produrre un'identità. Proprio la frequentazione della campagna da parte di
quote sempre maggiori di popolazione, rappresenta una potenzialità di
rinascita degli ambiti rurali più svantaggiati e marginali. Il turismo
infatti genera ricchezza locale, attraverso una valorizzazione locale delle
potenzialità. Basta pensare che dagli anni settanta ad oggi il turismo
rurale ha avuto una costante crescita fino ad un vero e proprio boom delle
regioni più "verdi": la Valle d'Aosta (+117%), il Trentino Alto-Adige
(+149%), la Sardegna (+159%), l'Umbria (+246%). A questo aumento di domanda
è corrisposto un aumento di offerta che ha portato, nello stesso periodo,
da 80 a 8.000 gli operatori agrituristici presenti sul territorio
nazionale. Gioca qui un ruolo fondamentale il desiderio di autonomia
dell'esperienza turistica; la ricerca di uno stile di genuinità e
autenticità; la ricerca di di "contenuti"; la domanda sempre più orientata
verso il "fuori stagione", con l'incremento dei soggiorni brevi (weekend o
settimana). Considerate le caratteristiche del territorio italiano
(composto per il 57,2% da terreni coltivati, per il 32,4% da boschi, per il
4,4% da aree urbanizzate, per l'1,1% da acque e dal 4,9% da aree naturali
non vegetate), e il fatto che circa 25 milioni di italiani vivono nei
comuni cosidetti "ruralissimi", possiamo ipotizzare che il turismo rurale,
interessi circa il 50% del turismo verde, per un totale di 93 milioni di
presenze annue e un giro d'affari di poco superiore a 6.800 miliardi. In
questo contesto si inserisce l'agriturismo, che con 8,9 milioni di presenze
stimate e una spesa media di 65mila lire procapite per presenza, può
contare su un giro d'affari annuo di circa 578 miliardi di lire. Ad oggi il
problema principale riguarda la mancanza di una visione strategica e quindi
di un'offerta sistemica del turismo rurale, priva di veri e propri
progetti. Lo sviluppo di un'offerta turistica in grado di produrre un
incremento del turismo rurale, presuppone professionisti del turismo (tour
operator, agenzie di viaggi) orientati verso questo segmento di domanda con
precise strategie e strumenti di sostegno alle popolazioni locali, utili ad
individuare quelle figure necessarie a promuovere il territorio locale
recuperando stili, mestieri, ambienti e tradizioni. Le aree di intervento e
le nuove figure professionali ad esse associate potranno riguardare quindi
i servizi di accoglienza, accompagnamento e assistenza durante la vacanza;
i servizi di trasporto; i servizi ricettivi, diffusi e a basso impatto
ambientale ma ad alto impatto culturale (bed& breakfast, riuso delle
abitazioni inutilizzate, ricettività en plein air); l'organizzazione di
gite ed escursioni; i servizi di assistenza alla persona, compresi quelli
sanitari e assicurativi; gli optional in grado di personalizzare la vacanza
del cliente. Tutti elementi che Legambiente ha considerato nel progettare
Compagnia dei Parchi, l'iniziativa ideata per promuovere il turismo
sostenibile nelle aree protette italiane attraverso un catalogo di
abitazioni disponibili per l'affitto turistico. L'AGRICOLTURA E
L'ARTIGIANATO Da quando lo sviluppo rurale non ha più basato la propria
crescita sullo sfruttamento delle risorse agricole e forestali, le
politiche nazionali e locali, nonché comunitarie, hanno posto al centro
dell'attenzione l'ambiente e il suo sfruttamento compatibile e sostenibile.
In particolare le zone rurali presentano due "motori": uno di tipo esogeno,
rappresentato dall'intervento pubblico, sotto forma di dispositivi
vincolanti (norme, regolamenti) o incentivi (sovvenzioni, agevolazioni
fiscali, ecc.); e uno di tipo endogeno, in grado di favorire le attività
economiche durature basate sullo sfruttamento delle risorse locali
(prodotti naturali e biologici, prodotti tipici, mestieri e tradizioni
locali: tutte "produzioni" a basso impatto ambientale ma ad alto impatto
culturale). Esempi di strategie che in questi anni hanno promosso azioni in
ambito rurale volte a ricreare un quadro competitivo per le imprese locali,
possono essere le iniziative LEADER della Comunità Europea. Queste azioni
hanno il minimo comun denominatore nel porre il territorio, inteso come
ecosociosistema, al centro delle politiche di sviluppo, in un quadro in cui
l'ambiente offre sempre più reali opportunità di sviluppo, sia in termini
di sfruttamento diretto delle risorse, sia creando condizioni propizie alle
attività economiche. Proprio l'esperienza di queste azioni ha evidenziato
che le principali potenzialità sono da ricercarsi nella valorizzazione
dell'agricoltura mediante diverse azioni, come favorire le pratiche
agricole meno inquinanti o riducendo l'uso di prodotti chimici;
incoraggiare l'agricoltura biologica e la gestione dinamica del
rimboschimento forestale, stimolare le produzioni alternative (piante
medicinali, o aromatiche, miele, razze rustiche, ecc.); aumentare il
reddito proveniente da attività diverse sviluppando le già citate formule e
i prodotti del turismo "verde", e le attività di valorizzazione dei
prodotti locali (prodotti di fattoria, artigianali), o creare nuove
opportunità nei servizi legati all'uso ricreativo dell'ambiente, alla
manutenzione dei sentieri e dei corsi d'acqua, alla gestione di aree
protette e alla pulizia dei siti inquinati. Non dimentichiamo che i parchi
più pregiati e la natura più ricca insistono proprio su queste aree. Le
politiche ambientali quindi, offrono molte opportunità di sviluppo per le
economie locali, soprattutto nei prodotti e nei servizi legati al turismo
naturalistico e culturale, ma uno dei principali problemi per la promozione
di un'area svantaggiata nel mercato riguarda il raggiungimento di una
"massa critica", in grado di proporre non singoli esempi, ma un progetto
più ampio legato al territorio e alle sue forme di sfruttamento economico
ed ecologico. Si tratta cioè di mettere in atto non solo interventi
puntuali a livello locale, ma di inserire questi in una offerta più ampia,
nella quale trovino posto più elementi specifici in grado di connaturare un
prodotto territoriale: la riconversione all'agricoltura biologica, ad
esempio, dovrebbe essere condotta su scala più ampia ed interessare la
totalità di un territorio. Ciò consentirebbe la creazione di unità di
trasformazione e di commercializzazione dei prodotti economicamente vitali
e quindi di un maggiore valore aggiunto. Questo permetterebbe inoltre di
creare aree biologiche più vaste e coerenti e, contemporaneamente, più
adeguate dal punto di vista ecologico. In questo senso potranno diventare
importanti ruoli quali quelli dei "coordinatori-promotori territoriali"
che, attraverso tecniche di marketing territoriale siano in grado di
sviluppare progetti complessivi di sviluppo produttivo a sostegno delle
aree oggi ancora svantaggiate. IL COMMERCIO Già il Libro verde sul
commercio (1996, Commissione delle comunità Europee), aveva rilevato che il
commercio locale costituisce un sistema efficiente per ridurre il rischio
di marginalizzazione delle popolazioni rurali, che devono poter disporre di
un'ampia gamma di servizi in loco. Talvolta il commercio è indispensabile
per il mantenimento di altre attività, in quanto sbocco naturale
dell'artigianato locale, con un'importanza particolare per la creazione di
legami sociali e il conferimento di una dimensione dinamica alla vita della
comunità che si effettua largamente attraverso i piccoli negozi locali. I
negozi di vicinato sono infatti uno dei 17 settori di intervento
individuati della Commissione delle comunità europee in materia di
iniziative per lo sviluppo locale dell'occupazione. Coerentemente con
queste indicazioni, il decreto legislativo n. 114 del 31 marzo 1998,
concernente la riforma della disciplina del commercio, prevede che la
Regione predisponga strumenti normativi e incentivi volti a favorire lo
sviluppo della rete commerciale nelle aree montane e rurali, nonché nei
Comuni, frazioni e località con popolazione inferiore a 3mila abitanti. Più
in particolare, si prevede la facoltà di svolgere in un solo esercizio,
oltre all'attività commerciale, altri servizi di particolare interesse per
le collettività, eventualmente in convenzione con soggetti pubblici e
privati. E' inoltre contemplata la possibilità che in tali aree le Regioni
possano prevedere l'esenzione per tali empori polifunzionali da tributi
regionali. Anche i Comuni possono stabilire particolari agevolazioni, fino
all'esenzione, per i tributi di loro competenza. Già la legge n° 97/94
sulla montagna inoltre, prevedeva analoghe facilitazioni fiscali per gli
esercizi commerciali situati nei Comuni montani di minore consistenza
demografica, la cui individuazione veniva rimessa alle Regioni: poche di
esse hanno peraltro dato uno sbocco operativo a tale adempimento. Le leggi
regionali di attuazione del decreto legislativo n° 114 dovranno delineare
concreti sbocchi operativi a tali disposizioni, incentivando gli empori
polifunzionali nei Comuni montani minori, specie di media ed elevata
altitudine e minore interesse turistico, assicurando la presenza di un
servizio distributivo minimo alla popolazione residente ed incentivandone a
un tempo la valorizzazione turistica. Secondo l'indicazione contenuta nel
decreto, si tratta di contrastare la tendenza alla "desertificazione" dei
servizi commerciali nelle zone montane proprio attraverso la promozione di
tali empori. Attraverso la promozione e il monitoraggio di esperienze
pilota da localizzare in contesti socio-economici ed ambientali
differenziati, potrebbe essere possibile individuare un nucleo base di
questi servizi, ai quali altri potranno aggregarsi in relazione alle
caratteristiche peculiari dei differenti insediamenti. In linea generale,
unitamente ai tradizionali servizi privati, commerciali e paracommerciali
(somministrazione di alimenti e bevande, rivendita di generi di monopolio,
di giornali e riviste, di attività di artigianato di servizio) potrebbero
essere erogati in tali empori alcuni servizi pubblici e di interesse
pubblico da affidare in convenzione (servizi postali, servizi ambulatoriali
di carattere igienico-sanitario, ecc.). Va del resto sottolineato che anche
dall'art.53 della legge n° 449/97 viene una spinta in questa direzione: ci
si riferisce alla facoltà per l'Ente Poste di stipulare nei Comuni montani
contratti per l'affidamento dei propri servizi a soggetti privati, anche a
esercenti di attività commerciali. Gli empori polifunzionali potrebbero
inoltre fornire servizi di supporto alla promozione turistica ed assolvere
a una funzione di valorizzazione e promozione dei prodotti tipici locali,
sia di carattere agro-alimentare, che di carattere artigianale. Va anche
approfondita la possibilità di ideare un marchio volontario da assegnare ai
punti di vendita che inseriscano nel loro assortimento una certa
percentuale di prodotti tipici delle zone di insediamento, prevedendo
modalità di controllo e tutela in favore dei consumatori