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territorio un valore aggiunto
dal manifesto di giovedi 14 settembre 2000
Quel valore aggiunto del territorio
Un manifesto politico per favorire uno "sviluppo locale autosostenibile"
in cui sia
esaltato il ruolo dei soggetti collettivi e che dia fiducia alle nuove
pratiche comunitarie volte a favorire nuovi diritti di cittadinanza.
L'ultimo libro di Alberto Magnaghi edito da Bollati Boringhieri
GIANCARLO PABA
Il capitolo conclusivo dell'ultimo libro di Alberto Magnaghi (Il progetto
locale, Bollati Boringhieri, pp. 256, L. . 30.000) ha la forma di un piccolo
manifesto e riassume i risultati della lunga ricerca condotta da
Magnaghi, e dal gruppo di ricercatori e attivisti che fanno riferimento
alle sue idee, in molte università e città italiane. Forse proprio questo
carattere di sintesi politica ha fatto sì che venisse incluso nell'opuscolo
che "Carta" ha pubblicato in occasione dell'incontro di Napoli
(Democrazia fai-da-te). Un'inclusione curiosa e interessante, che
sottolinea il carattere aperto e sperimentale dell'esperienza di "Carta".
Quella sintesi è infatti suggestiva e relativamente completa, però è il
libro che occorre leggere e discutere interamente. Perché Il progetto
locale è un libro complesso, lucido e visionario insieme,
concettualmente denso e tuttavia pensato per produrre azioni e
progetti. E in particolare è necessario discutere gli aspetti più ruvidi del
testo, e inusuali, per il linguaggio normale e le politiche ordinarie della
sinistra. Magnaghi ha il coraggio di confrontarsi con parole che
esercitano infatti qualche spavento nella nostra cultura politica:
territorio, luogo, società locale, patrimonio, identità, comunità. Di fronte
alla crisi di queste complesse costruzioni sociali, molti imboccano la
scorciatoia troppo facile delle negazioni meccaniche ed elementari
(attraverso ossimori ormai insopportabili come non luoghi, dis-identità,
glocale, comunità virtuali). La scelta del libro, e della ricerca
sottostante, è assai diversa e più impegnativa. E' quella di "lavorare"
questi concetti, e i fenomeni che essi rappresentano, analizzandone i
processi di crisi-trasformazione, ridefinendone il senso e l'utilità nei
progetti di trasformazione radicale degli insediamenti umani.
Le prime argomentazioni del libro ruotano attorno al tema della
forma-metropoli. "Da molto tempo non edifichiamo più città. Dopo la
loro esplosione elettrica, energetica, tayloristica e telematica
dissociamo funzioni, disseminiamo di esse gran quantità di frammenti,
seppellendo a caso paesi, città, tessuti territoriali, paesaggi agrari.
Organizziamo parti inanimate di un soggetto vivente smembrato: zone
residenziali o quartieri dormitorio (per poveri ghettizzati o per ricchi
'blindati'); zone industriali, strade mercato, zone commerciali,
direzionali, di loisir; urbanizzazioni diffuse di villette 'democratiche';
conurbazioni caotiche; zone e centri per vacanze, favelas, baraccopoli e
così via. [...] La crescita illimitata, la dissoluzione della diversità,
delle
differenze, di ogni ambivalenza di senso sono immanenti alla
costruzione della forma metropoli. La forma limite è cosmopoli: un'unica
forma ripetuta, pervasiva, omologante, iterata nel territorio mondiale;
una distesa di oggetti di serie che ripercorre e occulta tutti i significati
incompatibili con la ratio dello sviluppo economico; una forma che nega
relazioni con altro da sé fino a divenire una tautologia, la monotona
rappresentazione di un segno che si autorappresenta, all'insegna del
pensiero unico".
Gli esiti ultrametropolitani dello sviluppo planetario insostenibile
sollecitano due sguardi profondamente differenti l'uno dall'altro. Il primo
sguardo - opposto a quello di Magnaghi - è quello di una
contemplazione estatica e ammirata. Il mondo della città sterminata e
informe, appare come un campo di innovazione e di opportunità, più o
meno così come è, nella sua controversa potenzialità e insieme nella
sua crudeltà. La potenza delle città globali seduce i visitatori, incanta
gli interpreti, apparendo insieme stimolante e infernale. Un punto di
vista trasversale, presente anche a sinistra e riassumibile nella vecchia
definizione di Colin Rowe in Collage City "Accettare e godere lo stupro
delle grandi città". La metropoli ultra-moderna viene considerata alla
fine come l'unico mondo possibile, e forse il migliore dei mondi
possibili. Spesso la cultura di sinistra è così: affascinata dalla potenza
dell'avversario, incapace di liberarsi dalla nostalgia del presente.
Lo sguardo contenuto nel libro è radicalmente differente. Magnaghi si
rifiuta di godere dello sfacelo metropolitano, e non si accontenta di
qualche sottoprodotto estetico e creativo della "città disfatta". La critica
della forma metropoli è spietata e senza appello: il modello
metropolitano è dominio inarrestabile della crescita quantitativa,
accentuazione del carattere dissipativo ed entropico dei sistemi
urbanizzati, crescente divaricazione economica e sociale delle
popolazioni, creazione di nuove povertà e di feroci forme di esclusione,
distruzione di insediamenti e paesaggi, dispersione e svalorizzazione
del patrimonio collettivo, erosione e perdita dello spazio pubblico,
distruzione della città stessa alla fine come forma decentemente
funzionante di affratellamento e di valore d'uso sociale.
La differenza dal primo sguardo è significativa: la "forma-metropoli" non
è considerata come un destino da accettare con rassegnazione, entro il
quale organizzare qualche forma di lamentosa resistenza o di
adattamento alternativo, ma come la forma spaziale organica del
dominio del denaro e dell'economia globale. Questo dominio può essere
messo in discussione, secondo Magnaghi, ed è anzi necessario superare
la forma-metropoli e riprogettare l'insediamento umano in forme
radicalmente differenti, sulla base di principi completamente alternativi.
Il libro contiene appunto questi principi, quasi fosse un manuale per
l'edificazione delle nuove città, a disposizione dei nuovi abitanti che
chiedono insieme libertà, diritti di cittadinanza e dignità di
insediamento.
Il concetto chiave che può sostenere la costruzione di un'organizzazione
alternativa, post-metropolitana, degli insediamenti umani è quello di
territorio, ed appunto come "approccio territorialista" viene oggi definito
il complesso delle teorie e delle pratiche che deriva dal lavoro di
Magnaghi. "Il territorio non esiste in natura: esso è un esito dinamico,
stratificato, complesso di successivi cicli di civilizzazione; è un
complesso sistema di relazioni fra comunità insediate e ambiente. [...]
Nel modo di produzione del territorio sta la chiave di una sostenibilità
durevole, strategica". Produrre "valore aggiunto territoriale" significa
aumentare la ricchezza e il patrimonio collettivo, sostenere la lunga
durata delle formazioni insediative, governare le trasformazioni fisiche e
sociali dei milieu e degli ambienti di vita. Nella creazione di nuovi valori
territoriali le identità si ricostituiscono su nuove basi, le comunità
trovano ragioni non aggressive di costruzione dello spazio sociale, i
luoghi e gli spazi pubblici riescono ad ospitare la convivenza dei nuovi
popoli della città. La visione di Magnaghi è quindi dinamica e inquieta,
scontenta del presente e proiettata verso il futuro, aperta alle
innovazioni compatibili con l'interpretazione delle regole che all'interno
di ogni società locale creano ricchezza territoriale, identità collettiva e
nuove comunità.
Il radicamento locale dei processi di costruzione di nuovo territorio è un
altro punto fondamentale del libro. La valorizzazione dei luoghi, le
possibilità di "fare società locale" aperta e accogliente a partire dal
carattere unico e irripetibile di ogni insediamento umano, sono anzi il
centro del modello socio-territoriale proposto, definito appunto come
"sviluppo locale autosostenibile". Il luogo è costituito dalla
sedimentazione degli atti di costruzione della ricchezza collettiva, e lo
statuto dei luoghi è l'insieme delle regole che ne assicurano la
continuità di significato nel corso del tempo, la lunga durata, in una
dialettica giudiziosa tra permanenze e trasformazioni. Nella visione di
Magnaghi il territorio post-metropolitano è una costellazione di luoghi e
di insediamenti autocentrati, ambientalmente e socialmente sostenibili,
autogovernati, connessi in "sistemi relazionali complessi e aperti" non
gerarchizzati. I "nuovi municipi" sono articolati in reti ecosolidali di
piccole città mondiali, e sono costituiti da insediamenti misurati nella
forma e nel metabolismo, e tuttavia potenti nella capacità di articolarsi
in reti di interazione e di scambio a livello territoriale (nel "locale di
ordine superiore", secondo la terminologia usata altrove da Magnaghi).
La concezione dei luoghi e degli insediamenti come straordinarie
stratificazioni di manufatti e di natura, esalta il ruolo dei soggetti
collettivi che quei manufatti hanno faticosamente realizzato. Il capitolo
dedicato all'emersione nelle città contemporanee di nuove forme di
soggettività urbana "insorgenti" e attive, riprende alcune ricerche sui
"cantieri sociali" del laboratorio universitario di cui Magnaghi è da anni
coordinatore. Nella visione proposta nel libro, insurgent city non è il
canto della città disfatta, della metropoli scoppiata negli spazi e nelle
menti, non è il godimento masochistico e sterile della marginalità e
della deprivazione. E', viceversa, ricognizione minuziosa e piena di
speranza delle energie positive, individuali e collettive presenti nelle
città, è fiducia rinnovata nel legame sociale, nelle "nuove pratiche di
comunità", nelle forme nascenti di fratellanza e di azione collettiva.
Insurgent city non è antagonismo puro e semplice: rovesciamento
meccanico del bene nel male, e del male nel bene. La città delle nuove
cittadinanze emergenti è invece un laboratorio costruttivo di nuova
socialità e di nuova qualità urbana e ambientale: "Il fare società locale
è qui un'incessante crescita della tela di ragno di reti civiche fra i
soggetti insorgenti più disparati: donne, bambini, anziani, gruppi etnici,
associazioni, centri sociali, gruppi di volontariato che ritessono spazio
pubblico nella città; nuovi agricoltori che producono beni pubblici;
produttori che valorizzano l'ambiente e le colture locali; ecobanche e
commerci solidali. Tutto ciò oggi è un'esplosione di frammenti
puntiformi nel territorio ostile della globalizzazione. Perciò un altro
aspetto importante del fare società locale consiste nel connettere i
frammenti di energie innovative facendoli precipitare sinergicamente in
uno stesso territorio, cominciando a trasformarlo visibilmente come atto
cooperativo della rete del multiverso di attori, costruendo scenari
condivisi di futuro".
L'ultima questione di grande interesse riproposta da Magnaghi è quella
dell'utilità ancora oggi di un pensiero e di una sperimentazione che
abbiano il coraggio di chiamarsi utopistici. Il tema dell'utopia è
d'altronde tornato in discussione anche di recente. Françoise Choay lo
ha ristudiato in un articolo di un'enciclopedia dedicata all'argomento,
analizzando in profondità proprio il lavoro di Magnaghi, e nell'ultimo
numero di International Journal of Urban and Regional Research, John
Friedmann, il teorico americano del planning più radicale e alternativo,
richiama di nuovo esplicitamente la necessità di rifondare una visione
utopistica della trasformazione territoriale e sociale, criticando la
freddezza analitica e la sostanziale neutralità di molte ricerche, anche
di sinistra, sulla globalizzazione e l'informatizzazione del mondo (il
riferimento è in questo caso ai libri di Manuel Castells).
Anche stavolta però, nel libro di Magnaghi, il concetto non viene accolto
meccanicamente e pacificamente. Il tema dell'utopia viene anch'esso
rilavorato, e originalmente ridefinito, facendolo giocare con gli altri temi
del libro. L'utopia di Magnaghi diventa alla fine un grande e concreto
campo di azioni sapienti e di comportamenti costruttivi. Magnaghi non
invoca una prospettiva palingenetica o escatologica, ma costruisce con
fatica un percorso progettuale che possa consentire fin da subito di
riorganizzare a poco a poco il mondo, a partire dalle città e dai nuovi
popoli che le abitano. E' un'utopia radicata nelle piccole prese di potere,
nelle forme disseminate di resistenza attiva, di empowerment e di
azione affermativa. un'utopia scagliata contro il troppo realismo, la
nostalgia del presente appunto, che caratterizza molta parte della
sinistra: "Ritengo utile recuperare il ruolo della costruzione di visioni di
città idealtipiche rispetto al diffuso realismo con cui affrontiamo
emergenze, facciamo di necessità virtù trovando ritmi musicali nella
città diffusa e poetiche democratiche nel corporate planning". Ma anche
scagliata contro il punto di vista alla fine stitico e riposante di chi
aspetta la fine dal mondo, e finisce per desiderarla, nella speranza di
un nuovo cominciamento.
Il fascino del lavoro di Magnaghi, il suo carattere di novità, sta forse in
questo saper parlare a un universo molto differenziato di interlocutori,
offrendo un modello di trasformazione sociale capace di mettere al
lavoro le speranze, le competenze, i saperi, i desideri, e diciamo pure,
gli ideali, di ciascuno: "I soggetti produttori di nuova territorialità non
possono essere educati o inventati: essi esistono già come energie
contraddittorie rispetto al modello di sviluppo tradizionale e alla
'supernazione': sono un multiverso di soggetti, comportamenti,
associazioni, pratiche anomale, culture che vanno 'liberati' dalle loro
nicchie ecologiche o di mercato e aiutati a costruire le reti del 'localismo
cosmopolita'; così come gli stati moderni 'liberarono' il mercato dai
vincoli daziari feudali".