[Ecologia] Le reazioni alle motivazioni della sentenza ILVA
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- From: Alessandro Marescotti <a.marescotti at peacelink.org>
- Date: Sun, 4 Dec 2022 21:30:10 +0100
Oltre 3700 pagine suddivise in 15 capitoli
Processo ILVA, i file online con le motivazioni della sentenza
E' stato il più ampio processo in Italia per udienze e per pagine di motivazioni. In esse si riconosce che "l'iniziativa di Alessandro Marescotti, responsabile di Peacelink, le analisi sulla diossina sul formaggio, deve dirsi davvero il primo vero impulso per le indagini di questo processo"
4 dicembre 2022
Redazione PeaceLink
https://www.peacelink.it/processoilva/a/49304.html
Qui di seguito pubblichiamo diversi interventi
CorrieredelMezzogiorno.it
Le motivazioni della sentenza del processo e il destino della fabbrica
di Sergio Talamo
Il ministro Adolfo Urso dice che «il treno sta deragliando», e la Corte d’Assise di Taranto spiega il perché: «Una gestione disastrosa». Tutto chiaro? Non tanto. Depositate le motivazioni della sentenza ex Ilva, la nebbia resta fittissima. Perché nel treno che deraglia ci ha messo del suo anche la politica. In 10 anni, dal famoso 2012 in cui partì l’inchiesta “Ambiente Svenduto”, i diversi governi hanno guidato la locomotiva facendola sbandare più volte. E la stazione in cui si sono fermati è un curioso luogo dove la minoranza pagatrice è pubblica e il centro decisionale è privato. Così, se Arcelor Mittal, per fare pressing sul miliardo del Decreto Aiuti tuttora bloccato, espelle le 145 aziende dell’indotto, accade che il governo convochi un vertice in cui l’azienda neppure si presenta. Le motivazioni della sentenza Ambiente Svenduto, 18 mesi dopo il primo grado, forniscono uno spaccato drammatico su ciò che è accaduto a Taranto. Le iperboli non mancano: Taranto era diventata un «girone dantesco» in cui la famiglia Riva faceva «razzismo ambientale», cioè approfittava del sottosviluppo per ottenere profitti eludendo ogni controllo. «Una gestione disastrosa che ha arrecato un gravissimo pericolo per la salute pubblica… dagli omicidi colposi alla mortalità interna ed esterna per tumori, alla presenza di diossina nel latte materno». Fra il 1995 e il 2012, l’impianto era un «deposito di esplosivi gestito dai nostri imputati come fochisti». Ma se per i vertici dello stabilimento la durezza delle condanne sembra giustificata, restano fumose le responsabilità politiche. D’accordo, «la capacità di influenzare le istituzioni da parte dell’Ilva, facendo leva sul potere economico e contrattuale, ha reso per lungo tempo molto difficile l’accertamento dei crimini, con costante opera di tacitazione delle voci discordi». Ed è significativo, nelle motivazioni della sentenza, leggere i riconoscimenti ad esponenti della società civile come Alessandro Marescotti e Fabio Matacchiera. Ma dove sono i reati dei Vendola, dei Florido e degli Assennato, al di là di una generica insufficienza dei controlli? Le loro responsabilità appaiono solo politiche, mentre in uno Stato di diritto devono necessariamente essere corredate da prove certe e legate a precise violazioni del codice penale. C’è da augurarsi che la sentenza di secondo grado centri meglio questi punti. Intanto, il ministro Urso chiarisce: nell’ex Ilva «lo Stato ci ha messo molto denaro e ci metterà altri 2 miliardi, ma abbiamo il dovere di sapere come queste risorse saranno spese per recuperare il declino». In soldoni: chiusura o proprietà pubblica con risanamento trasparente. Il resto è soltanto un nuovo gioco del rinvio e del cerino.
I nodi da sciogliere ora in azienda
(Domenico Palmiotti, Sole 24 Ore)
Il deposito delle motivazioni si incrocia con un momento particolare per l'ex Ilva. Che dal sequestro di luglio 2012, da cui sono scaturiti il processo in Assise e le condanne, è stata prima commissariata dal Governo facendo uscire i Riva da proprietà e gestione (giugno 2013), poi è stata ceduta in fitto ad ArcelorMittal (novembre 2017) per passare infine (aprile 2021) alla nuova società Acciaierie d'Italia dove convivono il privato Mittal (maggioranza) e il pubblico Invitalia (minoranza). E proprio l'attuale coesistenza tra privato e pubblico è il nodo da sciogliere, col ministro delle Imprese, Adolfo Urso, che ha posto la necessità di riequilibrare la governance della società. Dopo la sospensione di 145 imprese dell'indotto da parte di Acciaierie d'Italia, Urso - che più volte ha invitato l'azienda a recedere dalla decisione presa - ha detto che nell'ex Ilva “lo Stato ci ha messo molto denaro, ci metterà altri 2 miliardi, ma noi abbiamo il dovere di sapere come queste risorse saranno spese effettivamente per recuperare il declino”. I due miliardi citati dal ministro sono rispettivamente nei dl Aiuti Bis e Ter e servono il primo per operazioni sul capitale e rafforzamento patrimoniale della società e il secondo per la costruzione dell'impianto per la produzione del preridotto di ferro che dovrà esser usato negli impianti riducendo la carica di carbon coke e minerali. Urso ha anche toccato la condizione produttiva della fabbrica che chiuderà il 2022 a circa 3 milioni di tonnellate quando i vertici manageriali più volte avevano dichiarato che nell'anno sarebbero stati prodotti 5,7 milioni di tonnellate, 300mila in meno di quei 6 milioni di tonnellate che sono il livello per ora autorizzato e mai raggiunto. “Oggi - ha detto il ministro - la produzione dell'ex Ilva, Acciaierie d’Italia, non è in condizione di poter reggere uno stabilimento e una produzione come quella che l’Italia merita”.
Impianti a Taranto sequestrati e confiscati
Tra gli aspetti critici da affrontare nell'ambito del riassetto della governance, c'è la duplice condizione in cui versano gli impianti: sequestrati dal gip (sia pure con la facoltà d'uso) e confiscati dalla Corte D'Assise (anche se la confisca diverrà esecutiva solo se confermata dal giudizio in Corte di Cassazione). Proprio sulla confisca, la Corte d'Assise nelle motivazioni del processo ha scritto che “la situazione emersa dal dibattimento - attualizzata al momento della decisione finale - evidenzia la mancata esecuzione del piano ambientale, sicchè deve dirsi concreto e attuale il pericolo di ulteriori conseguenze negative in termini di ambiente e salute”.
“Con i Riva razzismo ambientale"
(Francesco Casula e Andrea Tundo, Il Fatto Quotidiano)
Ad avviso dei giudici, che hanno ripercorso episodio per episodio le decine di contestazioni agli imputati, dentro il perimetro dell’Ilva si consumava una “sistematica violazione dei diritti dei lavoratori”, c’era “incuranza verso le norme in materia di sicurezza“, tra un “numero elevatissimo” di casi di malattie professionali e infortuni, e allo stesso tempo veniva portata avanti una “costante opera di tacitazione di ogni voce discorde”, compresa quella dei sindacati.
La spiegazione da parte dei giudici delle pene inflitte in primo grado è uno spaccato di oltre vent'anni di degenerazione del laissez faire: "Agghiacciante quanto emerso. Costante illecita opera di minimizzazione dell'impatto inquinante con la connivenza a tutti i livelli delle istituzioni. Tacitavano tutte le voci. Ambientalisti e alcuni sindacalisti hanno consentito l'emersione in tutta la sua gravità di un fenomeno tanto evidente quanto a lungo sottaciuto"
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Ilva, a Taranto la cittadinanza attiva ha incrinato l’accordo avvelenato fra industria e politica
(Alessandro Marescotti, blog del Fatto Quotidiano)
Le motivazioni della sentenza di Taranto raccolgono un’imponente documentazione che testimonia la gravità dell’inquinamento e del pericolo per la salute. Ci metteremo molto tempo per leggere le 3800 pagine. Ma non ci vuole molto tempo per capire che quanto è accaduto a Taranto ha avuto una radice squisitamente politica. Il disastro ecologico è stato frutto di un disastro politico. Non poteva avvenire senza il compiacente consenso di chi era incline al compromesso a danno dei cittadini e del bene comune.
Il processo Ilva è stato per Taranto una svolta storica: una boccata di ossigeno in una città inquinata dalle ciminiere.
La Corte d’Assise di Taranto ha fatto un lavoro spaventoso per ampiezza e per coraggio.
Ha puntato il dito sul puzzo di compromesso che avvolgeva una città “da sacrificare”.
Quel pessimo compromesso politico è stato incrinato e spezzato dalla cittadinanza attiva. Dal basso delle lotte civili, dalle manifestazioni e anche dalle denunce si è levato il grido di dolore e di giustizia.