[Ecologia] Ex Ilva, le stoccate della Corte Europea all’Italia: “Prosegue nel solco dell’illegittimità”
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- Date: Tue, 27 Oct 2020 01:24:42 +0100
di Maria Cristina Fraddosio | 22 OTTOBRE 2020 - IL FATTO QUOTIDIANO
L’Italia non rispetta la sentenza emessa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che il 24 gennaio 2019 ha condannato per la prima volta il nostro Paese per le violazioni commesse a danno dei cittadini nella gestione della più grande acciaieria d’Europa, l’ex-Ilva di Taranto (Sentenza Cedu Ilva). Sono tornati a scrivere al Comitato dei ministri del Consiglio europeo, l’organo preposto al controllo dell’esecuzione delle sentenze, Daniela Spera, presidente del comitato Legamjonici, e gli avvocati Sandro Maggio e Leonardo La Porta. Sono stati loro a presentare il primo ricorso a Strasburgo nel 2013 con 52 cittadini firmatari, seguito poi due anni dopo da un altro firmato da 150 tarantini (ricorso n. 54414/13). La Corte europea ha stabilito che lo Stato italiano ha violato gli articoli 8 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Si tratta del diritto al rispetto della vita privata e familiare e del diritto ad un ricorso effettivo “davanti ad un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali”.
Con le nuove proroghe all’Autorizzazione integrata ambientale concesse dal Ministero dell’Ambiente, i decreti “salva Ilva” sono diventati 14. Lo hanno denunciato i comitati locali e gli stessi ricorrenti a Strasburgo che lunedì hanno inviato al Comitato dei ministri ulteriori informazioni sulle inadempienze del nostro governo. “Lo Stato italiano non fa che dimostrare che non sta andando nella direzione della sentenza, anzi continua a rimandare obblighi di legge”, fa sapere Daniela Spera. A marzo la Corte europea attendeva che Roma inviasse un cronoprogramma per l’attuazione del piano ambientale. Ciò non è accaduto. È stata concessa una proroga fino a giugno, anch’essa però non risulta rispettata. Infatti sono gli stessi giudici di Strasburgo a scrivere: “Le informazioni finora fornite non indicano risultati concreti”. E ancora: “Si suggerisce al Comitato di richiedere queste informazioni aggiuntive alle autorità e di sottolineare l’importanza di attuare pienamente il piano ambientale, indipendentemente dalle questioni che attualmente riguardano la gestione e la proprietà dell’acciaieria. Per quanto riguarda l’impatto dell’acciaieria sulla salute umana e sull’ambiente, le informazioni disponibili non sono sufficienti a fugare dubbi. Ciò suggerisce la persistenza di una situazione potenzialmente pericolosa per la popolazione di quella zona” (Il documento).
Non essendo seguita alcuna integrazione da parte dell’Italia, dopo le prime due segnalazioni inviate a Strasburgo dai rappresentanti dei ricorrenti nella causa “Cordella e altri c. Italia”, rispettivamente il 28 maggio e il 20 luglio scorsi, lunedì è stato recapitato un ulteriore aggiornamento: “Ad oggi nessuna concreta azione è stata intrapresa dall’Italia per rimuovere le violazioni accertate dalla Corte – scrivono – al contrario, i provvedimenti governativi, adottati dopo la sentenza, evidenziano perseveranza nel voler proseguire nel solco dell’illegittimità”. Infatti, con il decreto ministeriale del 29 settembre sono stati ulteriormente prorogati i termini per la realizzazione della chiusura dei nastri trasportatori nel capoluogo ionico e nel comune limitrofo di Statte (DM 29092020). Arcelor Mittal avrà tempo per farlo entro il 30 aprile del prossimo anno. Gli obblighi a suo carico sono contenuti nella prescrizione n.6 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 2014, poi confermata nel dpcm del 29 settembre 2017 (Gazzetta ufficiale). “Il Gestore – si legge – è autorizzato alla realizzazione dell’intervento finalizzato alla chiusura completa dei nastri trasportatori. Il relativo cronoprogramma sugli stati di avanzamento dei lavori e gli eventuali aggiornamenti dovranno comunque mantenere la coerenza con il termine ultimo per la realizzazione degli stessi, fissato al 31 maggio 2020”. Con la pandemia i tempi si sono dilatati e un mese fa è arrivata la conferma: Taranto dovrà attendere ancora, nonostante la Corte europea sia stata chiara: “Il piano ambientale dovrà essere attuato il più rapidamente possibile”.