Il mercato finanziario ha trovato un nuovo grosso affare:
dare un prezzo alla biodiversità e metterla in commercio. Una invenzione
mostruosa contro cui è nata, pochi giorni fa a Bruxelles, una coalizione
internazionale di associazioni e movimenti: leggete con attenzione e
diffondete. Grazie.
Natura bond
di Rebecca
Rovoletto
Nel mondo anglosassone è detto biodiversity offsetting, o
ecosystem offsetting: è il nuovo strumento di cui si sta dotando il
mercato finanziario globale per mettere definitivamente le mani sugli
ecosistemi e la vita che essi ospitano. Al confronto, la privatizzazione
dell’acqua sembra una quisquilia…
Si tratta di un nuovo passo operativo per rendere effettivo
l’approccio ideologico che chiamiamo finanziarizzazione della natura:
rispetto ai danni all’ambiente causati dai grandi progetti infrastrutturali
(energetici e trasportistici) o estrattivi che si stanno avviando in Europa,
le istituzioni finanziarie e diversi governi, Regno Unito in testa, stanno
proponendo l’introduzione del concetto della “compensazione traslata” del
danno ambientale, in particolare di habitat protetti e biodiversità.
Un principio ben diverso da quello esistente di compensazione: se la
ratio della Via (Valutazione di impatto ambientale), è quella di
causare il minor danno possibile, evitare le zone protette e attuare forme di
compensazioni in loco, il nuovo meccanismo permette al costruttore di
realizzare l’opera in ogni caso, semplicemente “calcolando” il danno
arrecato ad ambiente/habitat/ biodiversità e investendo nella tutela di un
territorio ubicato altrove con caratteristiche simili a quello distrutto.
Parallelamente, si sta creando un mercato di titoli collegati alla
biodiversità e agli habitat naturali da avviare alla compravendita, come per
qualsiasi altro titolo di investimento altamente speculativo. Insomma, una
pratica del tutto simile a quella in atto da anni dei famigerati crediti di
carbonio, che permette alle aziende responsabili del danno di dichiararsi
investitori nella protezione dell’ambiente, con conseguente ritorno d’immagine
e greenwashing dei loro prodotti e servizi. La protezione
dell’ambiente si trasforma in un sottoprodotto commerciale.
Il paradosso è che le più grandi aberrazioni in tema di ambiente vengono
concepite proprio in occasione dei grandi vertici internazionali, spacciati
per momenti di bilancio e autocritica, per ricercare soluzioni alle
drammatiche emergenze dell’umanità e del pianeta. Già il Protocollo di Kyoto
aveva sostenuto la logica dei “permessi di inquinamento” che ha partorito i
citati crediti di carbonio, ma il momento topico per quello che sta
avvenendo in materia di habitat risale al giugno 2012. In occasione del
vertice di Rio +20, viene fatta recapitare la “Dichiarazione sul
Capitale Naturale e sui Servizi resi da un ecosistema”,
elaborata dai grandi attori del settore finanziario mondiale. Ecco i due
artificiali pilastri concettuali sui quali si regge la nuova narrazione del
“mercato delle indulgenze ambientali”: capitale e servizi.
“Il Capitale Naturale comprende gli asset [beni patrimoniali e
merci] naturali della Terra (suolo, aria, flora e fauna) e i servizi degli
ecosistemi forniti da questi, che rendono possibile la vita umana. I beni e i
servizi degli ecosistemi del Capitale Naturale ogni anno ammontano a trilioni
di dollari e sono il cibo, le fibre, l’acqua, la salute, l’energia, la
sicurezza climatica e altri servizi essenziali per ognuno. Né questi servizi,
né la base del Capitale Naturale che li fornisce, sono valutati adeguatamente
in paragone al capitale sociale e finanziario. Nonostante siano fondamentali
per il nostro benessere, il loro uso quotidiano rimane quasi non registrato
all’interno dei nostri sistemi economici. Usare il Capitale Naturale in questo
modo non è sostenibile.”
Che gli esseri viventi “quotidianamente” respirino, bevano, mangino, si
riscaldino, si proteggano senza rendere conto al sistema economico è insomma
“insostenibile”… Non esiterei a paragonarla a una dichiarazione di guerra
al pianeta e ai suoi abitanti, a mezzo di un ribaltamento del pensiero e del
linguaggio che impone una sofisticata e sordida anschluss
semantica della Natura al mondo del Mercato. E questo sta
avvenendo mentre ovunque nel mondo ci si batte per la difesa dei territori,
per la sovranità alimentare e l’accesso alla terra, per il diritto alla
gestione e tutela dei beni comuni naturali da parte delle comunità.
Il 25 e 26 ottobre scorsi si è svolto a Bruxelles un primo incontro di
lavoro, organizzato dal fronte delle avanguardie indipendenti che si occupano
di analizzare e smascherare le manovre dei mercati finanziari ai danni
dell’ambiente e dell’uomo. A Bruxelles si sono riunite oltre 30 organizzazioni
di rilevanza nazionale e internazionale: in testa FERN, ATTAC, Re:Common,
World Rainforest Movement, Carbon Trade Watch; diverse associazioni del Regno
Unito, della Spagna (che ha appena varato la legge sull’habitat
banking), della Francia, della Polonia, dell’Olanda;
presenti anche accademici, gruppi e comitati territoriali, compresi il
movimento No TAV valsusino e Opzione Zero veneziano. Si è approfondito il
tema, confrontando i casi pilota esistenti e le modifiche legislative in corso
e ponendo le basi per organizzare azioni a tutti i livelli.
Qui il
manifesto-appello http://no-biodiversity-offsets.makenoise.org/italiano/
già sottoscritto da numerose organizzazioni contrarie a qualsiasi tentativo di
includere l’offsetting della biodiversità nel quadro normativo, negli
standard e nelle politiche pubbliche – in vista di una campagna internazionale
cui ha già aderito anche l’African Alliance for Rangeland Management and
Development.
Il prossimo passaggio sarà già il 21 novembre prossimo a
Edimburgo quando verrà costituito il Forum on Natural Commons ( www.naturenotforsale.org), negli
stessi giorni e nella stessa città in cui si riuniranno le Nazioni Unite, i
governi e le istituzioni finanziarie nel primo Forum Mondiale sul Capitale
Naturale, per pianificare il modo di “assegnare un prezzo alla natura” e
favorirne la mercificazione.
Già, perché nel sistema globalizzato non c’è istituzione normalizzata
che non sostenga questa visione, dall’UNESCO al WWF, il quale ha
sottoscritto la Dichiarazione di Rio (http://www.naturalcapitaldeclaration.org/support-from-other-stakeholders/)
e sposato questa falsa soluzione in un’ottica di investimento di capitali
finanziari in alcune riserve protette, a discapito però di tutte le altre aree
aggredite, il che apre scenari inimmaginabili.
La natura è unica e complessa ed è impossibile misurarne la biodiversità,
allora come e chi stabilisce il valore di un ecosistema? Alcuni ecosistemi
hanno impiegato centinaia o migliaia di anni per raggiungere il loro stato
attuale: possono essere riproducibili? Che valore hanno e che fine fanno
gli abitanti (umani e non umani), la sussistenza, le economie, la cultura?
La natura ha un ruolo sociale, spirituale e di sostegno per le comunità, che
definiscono il proprio territorio sulla base di interrelazioni tradizionali
con la terra e la natura: come si può pensare di sfollare una comunità verso
un altro luogo?
Domande oziose, certo. Per il Mercato il valore si riduce al
prezzo calcolato da discutibili software. Infatti i golem tecnologici
del Mercato stanno già risolvendo anche questi dettagli, come si vede
in questo sito (http://www.environmentbank.com/),
che mette addirittura a disposizione un simulatore di calcolo di soli 3
(dico 3!) parametri generici per stimare il valore della biodiversità e
trasformarlo in crediti di natura: basta con un click. Il calcolatore è
destinato ai proprietari di beni naturali (terreni, foreste, ecc.) che
vogliono immettere sul mercato finanziario titoli legati ai propri
possedimenti e offrirli come offset. Nasceranno istituti per
certificare i valori degli habitat, società di rating per stabilire
le classifiche degli investimenti più redditizi, broker e intermediari
per un mercato dalle infinite e infernali potenzialità.
I casi studiati dimostrano come si tratti di una pratica che incentiva lo
sfruttamento delle risorse naturali e mina la pianificazione di normative atte
a prevenire la distruzione. La logica dell’offsetting della
biodiversità separa le persone dall’ambiente e dai territori in cui vivono,
marginalizzandole fino a minacciare lo stesso diritto alla vita. Ecco
alcuni esempi di politiche e progetti in corso, relativi al
biodiversity offsetting:
- Brasile: il nuovo codice forestale permette ai proprietari di
terre di distruggere territorio forestale contro l’acquisto di “certificati
di riserve ambientali” emessi dallo stato e commercializzati alla Borsa
Verde di Rio (BVRio), il “mercato di titoli verdi” creato di recente dal
governo brasiliano.
- Istituzioni finanziarie pubbliche come la Banca Mondiale,
l’International Finance Corporation (IFC, il ramo della Banca
mondiale che presta alle imprese private) e la Banca europea per gli
Investimenti (BEI) stanno cercando di includere l’offsetting
della biodiversità nei propri standard e nella pratica, come strumento per
“compensare” il danno permanente causato dalle grandi infrastrutture che
queste stesse istituzioni finanziano.
- Il governo del Regno Unito sta cercando di introdurre
l’offsetting nel proprio quadro normativo. I suoi proponenti stanno
interferendo nei processi legislativi, compromettendo l’iter decisionale
democratico e indebolendo le voci delle comunità.
- Notre Dame des Landes, Francia: il progetto di aeroporto che
dovrebbe sorgere in un’area di oltre 1000 ettari di zona umida, dove
l’attività agricola ha permesso di mantenere il paesaggio tradizionale e la
biodiversità. L’offsetting è stato richiesto dalla normativa
francese, ma l’azienda Biotope ha definito una nuova metodologia basata
sulle “funzioni” dell’ecosistema e non sugli ettari di territorio,
proponendo che il costruttore, l’azienda Vinci, provvedesse
all’offsetting di soli 600 ettari. Da 40 anni l’opposizione degli
abitanti ha permesso di bloccare il progetto e ha messo in discussione lo
schema di offsetting. La Commissione europea sta intervenendo.
- Strategia europea 2020 sulla biodiversità: l’Ue sta considerando
di dotarsi di una legislazione sull’offsetting, che includa la
creazione di una “banca degli habitat” per consentire l’offsetting di
specie e habitat naturali all’interno dei confini europei. Lo scopo è quello
di annullare la “perdita netta” (no net loss) della biodiversità, obiettivo
assolutamente diverso da quello precedentemente perseguito di garantire
“nessuna perdita” (no loss).
- La Banca mondiale ha finanziato il mega progetto di estrazione mineraria
di nichel e cobalto Weda Bay in Indonesia. Operatore del progetto è
l’azienda mineraria francese Eramet (http://wedabaynickel.com/),
parte del programma “business e biodiversità” (BBOP – Business and
Biodiversity Offsets Program: http://www.business-biodiversity.eu/default.asp?Menue=133&News=43).
Il progetto è in attesa di ricevere altri finanziamenti dalla Banca
mondiale, dalla Banca asiatica di sviluppo, dalla Banca giapponese per la
cooperazione internazionale (JPIC), dalle francesi Coface e Agenzia di
sviluppo (AFD) proprio per il programma di offsetting. Gli impatti
sulle persone e sul territorio sono enormi e il progetto è contestato dalle
comunità indonesiane e da organizzazioni della società civile
internazionale.
È chiaro che ci troviamo di fronte a un giro di boa fondamentale nella
folle corsa che sta sistematizzando il paradigma della
finanziarizzazione globale della natura, all’interno del noto orizzonte
sviluppista-speculativo e della retorica mistificante che si appella alla
sostenibilità e alla salvaguardia, alla partecipazione e all’equità. Un
paradigma dalle profonde implicazioni, queste sì, davvero eversive dell’ordine
naturale del creato.
http://www.democraziakmzero.org/2013/11/08/natura-bond/