La Vale - contestata dai missionari in Brasile - è il colosso minerario che rifornisce l'Ilva di Taranto



MINIERE E DIRITTI, “L’INSOSTENIBILITÀ” DELLA VALE

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Un rapporto sulla “insostenibilità” della Vale, il colosso brasiliano del settore minerario, che fa da contrappunto dettagliato a quello ufficiale, smentendone i contenuti e mettendo in luce gli impatti più devastanti sul piano sociale ed ambientale. In 15 pagine, con una veste grafica simile a quella usata dalla Vale stessa, lo hanno stilato e diffuso le organizzazioni riunite nella ‘Rete internazionale delle popolazioni colpite dalla Vale’ (International network of people affected by Vale): dall’Agenzia per lo sviluppo Kanak (Nuova Caledonia), all’Assemblea popolare dell’Acqua (Argentina), al centro di integrità pubblica (Mozambico), al Fsp-Kep (Indonesia), alla Rete brasiliana per la giustizia ambientale, al Minin Watch (Canada), per citarne sono alcune.

“Vale si è autoobbligata ad aderire a un meccanismo, la Global Reporting Initiative un’iniziativa volta al controllo delle imprese che ogni anno sono tenute a stilare un rapporto sulla sostenibilità corredato di dati e dettagli. Abbiamo studiato a lungo il loro rapporto e ne abbiamo preparato uno ‘ombra’, esattamente uguale dal punto di vista grafico e nei capitoli. Ma abbiamo aggiunto quello che loro non dicono: anche noi documentiamo come si comporta, ad esempio, nella gestione dell’acqua, della terra, dell’energia, nei rapporti con le comunità, con gli investitori e gli Stati in cui lavora, come si muove in materia di diritto del lavoro” spiega alla MISNA padre Dario Bossi, missionario comboniano che in Brasile è tra i coordinatori della campagna ‘Justiça nos Trilhos’ (Sui binari della giustizia, presente in internet anche con un link al rapporto), una rete di movimenti che si oppone alla devastazione della natura e contro uno sviluppo ingiusto lungo i binari della ferrovia della Vale nel Corredor de Carajás, nello stato settentrionale del Maranhão.

“E’ un documento importante – aggiunge il missionario – dimostra che non facciamo un’opposizione militante su una base ideologica ma contestiamo i fatti”.

Presente in 38 paesi dei cinque continenti con 138.000 dipendenti, “Vale è diventata un simbolo dei violenti impatti socio-ambientali, delle violazioni dei diritti umani, del disprezzo del diritto del lavoro. A fronte delle denunce sollevate dalle comunità colpite, dai movimenti sociali e dai rappresentanti dei sindacati, la compagnia si è distinta nella pratica di fornire risposte insoddisfacenti, evadendo le sue responsabilità e utilizzando meccanismi legali, economici e politici per ignorare le istanze di gruppi che hanno sofferto le conseguenze delle sue operazioni” si legge nell’attacco del rapporto.

Per la ‘Rete internazionale delle popolazioni colpite dalla Vale’, la politica aziendale si riassume in: “Mettere il profitto al primo posto, estrarre il massimo dalle risorse naturali al costo più basso possibile, sbarazzarsi degli ostacoli alle operazioni a prescindere dai costi, privatizzare i profitti e socializzare le perdite, espandere il mercato e usare come arma principale il potere economico e politico”.

Di Vale, vincitrice quest’anno del riconoscimento per la peggior impresa del pianeta in ambito ambientale e dei diritti umani, il ‘Public Eye Award’, si è parlato di recente anche al Vertice dei Popoli, il summit alternativo alla Conferenza dell’Onu sullo sviluppo sostenibile Rio+20 ospitata a giugno a Rio de Janeiro. Padre Bossi cita in proposito la ‘disavventura’ capitata a Jeremias Vunjanhe, giornalista di ‘Giustizia Ambientale’, organizzazione legata a ‘Friends of the Earth’.

"Jeremias ha scritto molto su Vale – ricorda il missionario – denunciando i conflitti nel nord del Mozambico, nel distretto di Moatize, dove 1300 famiglie che abitavano nei pressi di un giacimento sono state spostate e ricollocate a 40 km di distanza, divise in due comunità, una urbanizzata e una rurale. Quest’ultima, quella che anche noi abbiamo seguito, è costretta a vivere vive in case fatiscenti, non ha sussidi per l’agricoltura, si è ritrovata in una terra molto meno fertile. Ha protestato con manifestazioni e occupando anche i binari del treno per il trasporto del carbone, finendo per essere repressa dalla polizia.

Jeremias era atteso al Vertice dei Popoli – continua padre Bossi – ma, pure avendo esibito tutta la documentazione richiesta, una volta arrivato a San Paolo è stato bloccato dalla polizia federale che, senza offrire spiegazioni, gli ha timbrato sul passaporto la dicitura ‘persona non grata’ rispedendolo indietro. Ma la notizia è circolata subito, e grazie una lettera firmata da 150 associazioni inviata al ministero degli Esteri in Brasile e all’ambasciata brasiliana in Mozambico, gli è stato infine consentito di tornare. Cento persone per due ore lo hanno festeggiato al suo arrivo in Brasile con musica e danze, la stampa ha seguito molto il caso, è diventata la persona più famosa del Vertice dei popoli. Lui ha detto di non avere le prove, ma il motivo più plausibile di questa vicenda è che Vale abbia fatto pressione per fermare una persona scomoda e questo – conclude padre Bossi – la dice lunga…”.

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