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I: Antropologia, ecologia e biodiversità - Allevamento, ripopolamento e caccia - Comunicazione Culturale Aperta
- Subject: I: Antropologia, ecologia e biodiversità - Allevamento, ripopolamento e caccia - Comunicazione Culturale Aperta
- From: "caterina.regazzi at alice.it" <caterina.regazzi at alice.it>
- Date: Sun, 27 May 2012 20:36:46 +0200 (CEST)
----Messaggio originale----
Da: bioregionalismo.treia at gmail.com
Data: 27-mag-2012 14.16
A: "Paolo D'Arpini"<circolovegetariano at gmail.com>
Ogg: Antropologia, ecologia e biodiversità - Allevamento, ripopolamento e caccia - Comunicazione Culturale Aperta
Antropologia, ecologia e biodiversità - Allevamento, ripopolamento e caccia
Ritorno all'habitat originario?
“Non so qual’è il confine fra l’uomo e gli animali, quali sono i loro reciproci diritti e doveri, qual’è il punto d’incontro della sopravvivenza reciproca, senza causare sconvolgimenti ecologici, non so nulla di questo, mi limito io stesso a sopravvivere, a volte combatto a volte recedo, non mi pongo modelli, sono anch’io un animale che ha bisogno della natura, sono una espressione della natura”. (Saul Arpino)
Gli interventi dell'uomo nel tentativo di "aggiustare" le presenze del mondo animale sono diventati talmente pesanti da mettere a rischio la stessa esistenza umana. Infatti il controllo sulle altre specie coinvolge anche l'uomo, che non è separato dal mondo animale.
Le regole della vita sono molto semplici, ogni specie sia vegetale che animale ha una interrelazione mutualistica con il suo habitat e con tutte le specie che lo condividono. Le piante hanno bisogno degli animali per la loro riproduzione e propagazione, gli erbivori sono controllati dai carnivori e così si mantiene un equilibrio fra ambiente e suoi abitanti.
Ma dove l'uomo è intervento immediatamente questo equilibrio è andato perso. Lo abbiamo visto con la desertificazione del nord africa e del medio oriente causata da un esagerato incremento dell'allevamento domestico e di transumanza. Questo più l'abitudine venatoria nei confronti di specie ritenute nocive o -al contrario- utili all'economia umana hanno trasformato talmente l'habitat da renderlo irriconoscibile... Tuttò ciò in passato avveniva in modo quasi impercettibile, poichè gli avvenimenti sopra descritti si protraevano per lunghi periodi di tempo, secoli, se non millenni, ed era alquanto diffilcile per l'uomo riconoscerne gli effetti (legati al suo comportamento).
Ben diversa è la situazione attuale. Oggi l'intervento umano ha una conseguenza pressochhè immediata e non si può far a meno di considerare le cause -come gli effetti strettamente interconnessi- delle mutazioni ambientali in corso. Dove l'uomo interviene immediatamente la natura e la vita recedono..
Persino ove l'uomo cerca di rimediare ai mali del suo operato anchè lì combina guai peggiori. Lo abbiamo visto ad esempio con la politica dei ripopolamenti artificiali di specie faunistiche scomparse in una data bioregione e recuperate in altri luoghi del pianeta per esservi reimmesse. Questa politica di recupero ambientale è invero deleteria. I danni causati all'habitat dall'introduzione di specie non autoctone sono enormi. Tantè che di tanto in tanto, con la scusa del sovrappopolamento, ci si inventa partite di caccia per il contenimento di dette specie.
A dire il vero la mia impressione è che questa politica ambientale è solo funzionale ad interessi altri.. che non sono quelli della natura. La natura, se lasciata a se stessa, trova sempre il modo di armonizzarsi, creando una altalena di presenze fra specie predate e specie predatorie.. ma dove interviene l'uomo appare il caos... Ma é impossibile che la natura sia lasciata a se stessa, dovrebbe scomparire l'uomo. L'uomo é aumentato numericamente a dismisura e non ha predatori, né le grosse epidemie che secoli fa decimavano la popolazione umana, e cibare tutte queste persone, carnivori o vegetariani che siano, porta comunque ad un'alterzione dell'habitat naturale.
Inoltre gli animali sono sempre più visti come oggetti di abbellimento -se inseriti nei parchi- o d'uso alimentare o industriale -se allevati intensivamente.
Il rapporto fra uomo ed animali è andato nel corso di questo ultimo secolo deteriorando sino al punto che essi, un tempo simboli di vita, totem, archetipi e divinità, sono relegati nelle riserve o negli zoo ed utilizzati come cavie o produttori di carne da macello, come fossero “oggetti” e non esseri viventi dotati di intelligenza, sensibilità e coscienza di sé. Anche se etologi famosi, come ad esempio K. Lorenz e tanti altri, hanno raccontato le similitudini comportamentali e le affinità elettive che uniscono l’uomo agli animali, il metodo utilitaristico, che per altro si applica anche nella società umana verso i più deboli ed i reietti, ha preso il sopravvento.
Pare… ma non è detto che al momento opportuno si risvegli nella coscienza umana la consapevolezza della comune appartenenza alla vita.
Ma oggi vorrei solo toccare alcuni aspetti dell’incongruenza nel rapporto umano con gli animali. Da una parte vi sono quelli cosiddetti “da compagnia” -e cioè i cani e gatti- che godono di una relativa protezione ed anzi contribuiscono assieme all’uomo allo sfruttamento delle altre specie -in chiave alimentare, sotto forma di allevamenti intensivi da carne- e poi vi sono gli “ultimi selvatici” quelli che apparentemente vivono in libertà ma è solo una finzione costruita per favorire l’uso della caccia.
Spesso leggiamo (nelle notizie di cronaca) di delibere di vari enti di abbattere un certo numero di animali selvatici (ma immessi dall'uomo) dichiarati “in eccesso” in una certa area. Cervi, caprioli, cinghiali.. etc. Questo fatto causa ogni volta un polverone mediatico e politico, estrinsecato nel gioco delle parti. Ovvero l'antagonismo fra associazioni venatorie da una parte e le associazioni animaliste dall’altra, con le istituzioni nel mezzo che cercano di soddisfare entrambe, ben sapendo che è tutta una finzione e che la selvaticità e la difesa della vita o il diritto alla caccia sono solo funzionali alle entrate economiche previste (turismo o carne, o tutti e due).
La verità è che i "selvatici" sono stati “immessi” sul territorio non per il loro bene ma a scopo speculativo, essi non sono dissimili dalle capre, pecore, maiali, etc. allevati dall’uomo. Ma come fare un discorso ragionevole con tanti scalmanati a parlare? Il fatto è che bisogna stare molto attenti al numero di ungulati o facoceri che pascolano in un territorio, questo non solo nel caso di greggi difese dall’uomo, ma anche per gli pseudo selvatici che vi vengono immessi, queste bestie ai giorni nostri non sono soggette alla falcidiatura naturale causata dai predatori. Qui in Italia il lupo, la lince e l'orso sono praticamente estinti e nei boschi i caprioli od i cervi non hanno nemici naturali che limitino la loro prolificazione, per cui si "deve" ricorrere a battute di caccia.
Come il deterioramento nel rapporto uomo/animali porta al deterioramento nel rapporto fra umani e l'habitat.
Insomma bisogna capire le “ragioni” di queste immissioni…. che certo non avvengono per amore delle bestie anzi… vi è la certezza che siano operazioni di ripopolamento legate ad interessi manipolatori od -al meglio- a false speranze di recupero naturalistico. Basti vedere quanto è avvenuto -ad esempio- con i grossi cinghiali dell’est europeo che, come sappiamo, sono stati liberati sul territorio del centro Italia proprio per la loro prolificità e stazza, con il risultato che hanno soppiantato i cinghialetti italici ed ora imperversano a centinaia di migliaia e con le loro disastrose incursioni procurano anche un danno all’erario (per via dei rimborsi dovuti ai contadini). La storia dei caprioli e dei cervidi è la stessa, un ripopolamento voluto dagli assessorati alla caccia di varie province d'Italia.
E così avviene ogni anno con lepri e fagiani e simili, che massimamente vengono importati da allevamenti della Slovenia e viciniori a prezzi stratosferici. Questi animali “liberati” servono solo alla categoria dei cacciatori -tra l’altro- anch’essi ben salassati da imposte e tasse varie. In verità la caccia è tutto un bussines basato sulla morte ed è anche causa -per inciso- di inverse speculazioni da parte di associazioni che fanno da contro-canto ponendosi contro la caccia e ricevendo anch’esse prebende e fondi pubblici dallo stato.
Potete allora vedere che questo gioco delle parti danneggia tutti i cittadini e la natura stessa che è continuamente manipolata pro e contro questo e quello. Insomma un pretesto affaristico in una società che non considera l’animale diversamente da un plusvalore qualsiasi.
Io personalmente sono vegetariano ma sono pure ecologista e quindi non sono affatto favorevole all’immissione di nuove specie in natura, ed è per questo che ritengo che la caccia andrebbe completamente vietata in Italia per il semplice fatto che è un esercizio “vizioso” inutile e dannoso in assoluto.
Giacché la caccia non è un’attività libera e naturale ma una specie di gioco di ripopolamento ed uccisione, un divertimento sadico e crudele.
Ma anche l'allevamento di armenti e animali da cortile va ripensato. Consentendolo solo allo stato brado o semi-brado e limitando il numero dei capi in considerazione di quanti ne possono vivere al pascolo in un dato fondo, riequilibrando così la ciclicità della presenza animale con l'uso agricolo del territorio.
Paolo D’Arpini
Rete Bioregionale Italianabioregionalismo.treia at gmail.com
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Di questo e simili temi se ne parlerà durante l'Incontro Collettivo Ecologista del solstizio estivo 2012, previsto ad Aprilia dal 22 al 24 giugno 2012 - Programma: http://retebioregionale.ilcannocchiale.it/post/2718386.html
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