Ringrazio Enrico per
queste riflessioni che trovo utili e condivisibili.
Un saluto di pace,
Lisa
11 07 10 Sui fatti della Valsusa del 3 luglio
Sui
fatti della Valsusa del 3 luglio ho sentito ancora altre
testimonianze. Arrivano versioni differenti, da differenti
esperienze, luoghi di presenza, punti di osservazione o di
partecipazione. Io non c'ero, impegnato altrove, ma comunque
sarei stato in dubbio se partecipare.
Mi
convinco sempre più, per ciò che posso sapere e capire, che
le ragioni Notav sono giuste, ma la forma della lotta, pur
generosa e appassionata, non è stata abbastanza meditata,
previdente, preparata, difesa e distinta dagli equivoci, non
si è bene preoccupata di farsi capire dall'opinione
generale, media e onesta, che è quella decisiva in pratica.
Devo
dire qualcosa, da ciò che posso raccogliere, prima sulla
polizia, poi sulle forme della manifestazione di protesta,
infine nel merito della decisione politica sull'opera.
*
1. La polizia ha avuto i suoi torti. Lo dice anche,
tra i presenti, chi critica aspetti sbagliati della
manifestazione. La polizia ha reagito con rapidità eccessiva
e con mezzi violenti ad atti minacciosi. Secondo altri, ha
dato inizio senza necessità ad atti violenti, con strumenti
come i lacrimogeni al gas CS pericoloso e vietato, sparati
ad alzo zero, senza distinguere tra i manifestanti, e senza
separare gli esagitati, come dovrebbe saper fare per sua
funzione professionale.
Sappiamo
da altri spiacevoli segni che la polizia è attrezzata e
educata, salvo belle eccezioni, in modo da essere indotta,
nel caso critico, più a fare violenza che a contenere e
limitare la violenza altrui. Il tarlo è nella stessa
concezione dello stato, che storicamente nasce accoppiato
alle armi, geneticamente armato, che si definisce
classicamente come detentore della “violenza legittima”,
cioè come legittimazione della violenza di chi, essendo più
forte, assume in qualche modo il potere sugli altri.
La
concezione filosofica sottostante a questa forma storica, è
quella di una umanità essenzialmente malvagia e violenta,
che solo una forza superiore può domare e addomesticare,
come si fa con esseri belluini. Tale concezione è
discutibile, e comunque spinge al peggio le bivalenti
possibilità umane: tra l'angelo e la bestia, tra la
grandezza e la miseria, vede, privilegia ed eccita la bestia
e la miseria. Tale “realismo” riduce e abbassa la realtà
umana, che è ambivalente, ma non è fatalmente condannata al
peggio, e non va trattata come tale. Questa semplificazione
negativa è ciò che Ernesto Balducci chiamava “il sofisma
machiavellico”.
Certamente
la democrazia (che scommette sulla ragione umana media
autocorreggibile) e la cultura dei diritti umani (fondata
sulla dignità inviolabile di ogni persona, anche colpevole)
introducono correttivi e attenuazioni in quella concezione,
nella legislazione e nella conseguente pratica, ma ne
portano ancora il peso e le distorsioni: basti dire che
anche gli stati democratici si identificano, persino nelle
feste più civili (in Italia il 2 giugno, festa della
Costituzione), con l'esercito e le armi, cioè con gli
strumenti rozzi e arroganti dell'uccidere, non del
convivere; e che la polizia ha aspetto, foggia, vestiario,
strumenti, simboli e mentalità più militari che di tutela
dell'ordinata convivenza. Non è in primo piano nella mente
della politica e della polizia la differenza tra forza, che
è qualità della vita, e violenza, che è azione di offesa,
dolore e morte. Ogni buon genitore conosce bene questa
differenza nell'educare i figli. La polizia, per
contrastare, ridurre, bloccare atti violenti, deve poter
usare anche la forza costrittiva, ma mai la violenza. Però
non è educata e preparata, culturalmente e psicologicamente,
a questo. Lo stato, per contrastare la violenza, finisce col
confermarla facendola propria, come se ci fosse un male
legale e uno illegale. In questo modo la “politica” - arte
necessaria e nobile del vivere insieme nella “polis”, nella
città – contraddice e smentisce se stessa. Ne seguono danni
umani e dolore. C'è ancora molto, molto, molto da lavorare.
*
2. La manifestazione – lo abbiamo già detto –
doveva pensarsi e organizzarsi in modi, forme visibili,
atteggiamenti psicologici e interiori, totalmente
alternativi ai modi con cui lo stato non discute ma solo
difende e impone una decisione politica. La manifestazione
doveva sapere che sarebbe stata inquinata da intrusi
smaniosi di violenza, o per volontà di rovinarla e
boicottarla, o per rozzezza mentale. I manifestanti
valsusini avrebbero dovuto usare forme così miti che non
avessero neppure l'apparenza dell'aggressività: invece, un
corteo di massa, partito con la dichiarazione di voler
occupare e riprendere la zona recintata del cantiere, senza
escludere esplicitamente la forzatura materiale, di fatto
eccitava i poliziotti da una parte, i violenti dall'altra.
Mi sembra chiaro che i manifestanti avrebbero dovuto esporsi
in gesti capaci di comunicare all'opinione pubblica le serie
ragioni del no all'opera, e il diritto a ricorrere
giuridicamente contro l'occupazione dei terreni agricoli.
Purtroppo l'attenzione pubblica, complici i media, sa vedere
solo il fracasso e la violenza, facilmente condannate, e non
sa altrettanto ascoltare le ragioni critiche, travolte nella
condanna. Ma chi protesta contro un atto politico che
giudica ingiusto, questo lo sa benissimo, deve evitarlo, e
non deve prestarsi alla condanna della sostanza insieme alla
forma. Vuoi sfogare te stesso o affermare la causa? Non è
ingiusta l'illegalità in nome della giustizia, come fu la
esemplare marcia del sale di Gandhi, ma deve essere pura da
ogni violenza su cose e persone, deve saper patire la
violenza senza restituirla, deve essere pronta a pagare le
conseguenze penali, come gli obiettori di coscienza che nel
mondo accettano la prigione, o peggio, per disobbedire alle
armi. Se non si è in grado di avere questa forza, si discute
con pubblici messaggi, ma non si fa disobbedienza civile,
non manifesta sul terreno. Altrimenti si fa il gioco degli
avversari. Gandhi interrompeva le sue campagne e se ne
dissociava, quando qualche frangia passava alla violenza.
La
critica sociale, motivata e non pregiudiziale, alla politica
statale, sta realizzando nel nostro tempo dei progressi
(accenno: referendum italiani, rivoluzioni arabe, democrazia
partecipativa), che sono significativi proprio perché fanno
valere ragioni senza violenza contro poteri violenti o
arroganti senza ragione. In questa linea promettente, è
essenziale che la nonviolenza attiva, positiva, politica,
diventi cultura e metodo sempre più affinato ed efficace,
sempre più libero da vecchie abitudini e scorie mitiche.
*
3.
Sono serie le ragioni tecniche, ambientali, economiche,
sociali che dicono sbagliata questa “grande opera”,
destinata a pesare, senza utilità corrispondente, sulle
casse pubbliche per decenni, in nome del mito sviluppista,
che deve ridursi, se finalmente, dopo i danni fatti,
impariamo che nel mondo limitato la crescita non può essere
infinita. Il calcolo speculativo dei privati fa conto
sull'esecuzione dei lavori enormi, affidati a trattativa
privata, pagati dallo stato (dal 1991 i costi sono lievitati
di oltre il 400%), ma non si impegna nella gestione
dell'opera, di cui non prevede la redditività.
Oggi
il direttore di Itaca, Istituto per l'approvazione e la
trasparenza degli appalti, Ivan Cicconi, scrive al
segretario del PD, Bersani (che ha dichiarato inaccettabile
che frange violente fermino i cantieri; che da ministro
aveva approvato un progetto con finanziamento paritario fra
Italia e Francia, poi mutato dal governo Berlusconi, con le
norme speciali della legge obiettivo, per due terzi a carico
dell'Italia): «Restano da trovare nelle casse dello Stato
almeno 18,4 miliardi, cifra per la quale non vi è la
benché minima ipotesi di copertura». «Non credi sia da
irresponsabili prendere a pretesto il comportamento di
alcune frange violente e glissare totalmente sulle ragioni
del no di una intera comunità e dei loro rappresentanti?».
«Posso assicurarti che tutte le procedure e gli atti
connessi adottati dalla società Ltf sono quanto di peggio
posssa essere nesso in atto a fronte delle norme europee e
nazionali». Cicconi afferma che «i numeri usati per
sostenere la fattibilità non hanno il minimo di
credibilità», sono basati su «previsioni semplicemente
false». «Posso testimoniare che da quando mi occupo di
questo progetto non ho mai avuto occasione di misurarmi
con ragioni tecniche del sì minimamente affidabili». Sta
avvenendo un «confronto dissociato fra le ragioni tecniche
e scientifiche del no ad un'opera inutile, e le ragioni
del no alle frange violente. (…) Un paravento che solo la
disinformazione può tenere in piedi» (Il Fatto
quotidiano, 10 luglio 2011, p. 9).
Enrico
Peyretti, 10/07/11