Un commento di Qualenergia al rapporto Iea 2010 sull' energia, testo che fara' riflettere (si spera).
- Subject: Un commento di Qualenergia al rapporto Iea 2010 sull' energia, testo che fara' riflettere (si spera).
- From: marco palombo <elbano9 at yahoo.it>
- Date: Mon, 15 Nov 2010 15:25:07 +0000 (GMT)
La scorsa settimana è stato presentato il World Energy Outlook 2010 (WEO 2010), il rapporto dell’International Energy Agency (IEA) sulla situazione energetica mondiale, sempre più connessa con le questioni climatiche. Ne avevamo dato un’anticipazione in un nostro articolo (Qualenergia.it, Senza accordo sul clima petrolio alle stelle, parola di IEA) con un accento alle questioni della domanda e dell’offerta di petrolio e sulle politiche da attuare per mantenere sostenibile questa relazione. Ma su questo punto torneremo nei prossimi giorni, visto che le analisi dell’agenzia non sembrano essere in sintonia con diversi studi internazionali sulla effettiva disponibilità di oro nero.
Qui invece
vogliamo evidenziare un elemento interessante presente nel lavoro dell’Agenzia, già affrontato, che è relativo ai sussidi alle fonti fossili, in uno scenario che - secondo la IEA - vedrà crescere tra il 2008 e il 2035 la domanda di energia primaria a livello mondiale del 36%, cioè in media dell’'1,2% l'anno. Un panorama che consoliderà l'energia fossile resterà "dominante", anche se dovrà gradualmente cedere sempre più spazio alle rinnovabili e un po’ al nucleare.
Per la IEA eliminare il “combustibile” dei sussidi alle fonti fossili aumenterebbe il livello di sicurezza energetica, ridurrebbe le emissioni e l’inquinamento atmosferico, oltre a portare notevoli benefici economici. A livello mondiale i sussidi alle fonti fossili ammonterebbero a 312 miliardi di dollari (dato 2009), la gran parte concentrati nei paesi Non-Ocse (vedi grafico della IEA in basso). Ma questo
livello di sussidi – spiega il rapporto WEO 2010 – può variare significativamente a seconda dei prezzi dell’energia sui mercati internazionali, delle politiche nazionali di prezzo e a seconda della domanda. Ad esempio nel 2008 la IEA contabilizzava questi sussidi a 558 mld di $. E va anche detto che a beneficiarne non sono quasi mai i cittadini più poveri.
La tendenza a tagliare tali sussidi è già in atto (proposte del G20 e dell’Apec), ma ancora molto c’è da fare per evitare che i prezzi dell’energia sia artificialmente bassi e rendano poco competitive applicazioni più efficienti e l’uso delle fonti rinnovabili.
La IEA nel suo report valuta che l’eliminazione di questi sussidi entro il 2020 consentirebbe di ridurre la domanda mondiale di energia primaria del 5%, rispetto a quella stimata dallo scenario base in cui i sussidi rimarrebbero invariati. Un risparmio pari ai consumi di Giappone, Nuova Zelanda e Corea. Per quella data, la sola domanda petrolifera si ridurrebbe di circa 4,7 milioni di barili al giorno, cioè il 25% dell’attuale domanda statunitense.
Nell’ottica della lotta ai cambiamenti climatici questo sarebbe un passo fondamentale: le emissioni globali si potrebbero
ridurre al 2020, solo per questa azione, del 5,8% ovvero di 2 Gt di CO2.
A giugno al Financial Times Fatih Birol, capo economista della IEA affermava che i sussidi alle fonti fossili “sono l’appendicite del sistema mondiale dell’energia che bisogna rimuovere per uno sviluppo futuro sano e sostenibile”.
Un approccio, questo indicato nel WEO 2010, che è piaciuto anche a Greenpeace International che ha inoltre apprezzato la sempre maggiore considerazione del ruolo delle rinnovabili e dell’importanza dei global warming nelle analisi dell’agenzia. Tuttavia l'associazione non lesina critiche per quanto riguarda il mix energetico necessario per ottenere lo scenario 450ppm (quel percorso cioè che consentirebbe di contenere entro i 2 °C l’innalzamento della temperatura globale).
Per Greenpeace, così come per altre organizzazioni ambientaliste, l’appunto riguarda il peso rilevante dato alla cattura e del sequestro della CO2 per le centrali a carbone e all’energia nucleare.
Per quanto riguarda la prima tecnologia, la CCS, è detto giustamente che essa non è affatto una applicazione provata; quindi ad oggi dovrebbe considerarsi ancora inaffidabile e per Greenpeace sembra irrealistica l’ipotesi che dopo il 2020 il 98% delle nuove centrali alimentate a carbone sia realizzato con la possibilità di catturare e sequestrare le CO2 prodotta, visto che ad oggi nessun impianto commerciale è stato ancora costruito. Inoltre si fa notare che stanno aumentando i progetti abbandonati per l’impossibilità di stimarne gli effettivi costi e per la mancanza di sostegno pubblico.
Per quanto riguarda invece la seconda tecnologia, l’atomo, questa resta la più
costosa tra le tecnologie energetiche e ancora incapace di risolvere il problema delle scorie. Nello scenario più avanzato si presupporrebbe peraltro l’allacciamento alla rete di un reattore nucleare ogni mese fino al 2035, qualcosa che va ben oltre la capacità dell’industria.
Greenpeace al contrario propone, come spiegato nell’ultima versione ‘Energy [R]evolution: A Sustainable World Energy Outlook’, redatta con EREC the European Renewable Energy Council, un forte impegno sull’efficienza energetica e sulle rinnovabili che può portare alla riduzione delle emissioni di CO2 da 29 (oggi) a 18,4 miliardi di tonnellate entro il 2030, meno della metà delle emissioni previste dallo scenario IEA “Current Policy” allo stesso anno (40 mld di tCO2). Lo scenario più ambizioso del lavoro della IEA
arriva a 22 mld di t CO2.
Nel lungo termine Greenpeace, partendo dagli stessi presupposti di quelli della IEA, ritiene che sia fattibile al 2050 tagliare le emissioni dell’80% e per quella data uscire completamente dal nucleare e arrivare anche ad una riduzione del 90% delle centrali a carbone a livello globale.
LB
Fonte www.qualenergia.it
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