la decenza di osare la speranza



..sono un lettore silenzioso. e uno di quelli col casco, e qui spiego
perché. senza offesa per nessuno, spero. il paio di parole relativamente
forti che vengono usate non sono rivolte ad alcuno in particolare in
questa lista, o almeno spero. Perché spero che nessuno qui voglia
compiere quella totale torsione di senso e di realtà che mi
provocherebbe quel paio di parole relativamente forti.

luca tornatore

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A Vicenza io avevo il casco e stavo in prima fila. La polizia ha cercato
di sequestrarlo, a me e ad altre 200 persone, al casello dell'autostrada.
Dicevano che è brutto per loro vedersi di fronte centinaia di persone
con il casco. Capiamo perfettamente la sensazione, abbiamo risposto: ci
capita sempre e in più quelli con il casco hanno anche manganelli,
pistole, scudi, blindati e gas tossici.
Dicevano che non è accettabile che in manifestazione ci siano centinaia
di persone non riconoscibili. Siamo perfettamente d'accordo, abbiamo
risposto ancora: è increscioso che nessun carabiniere e poliziotto,
quelli armati e col casco, abbia alcun segno indentificativo.
Non restava molto da dirsi a quel punto: in realtà non eravamo d'accordo
su nulla, parliamo lingue troppo differenti.
Noi dicevamo dignità e loro rispondevano obbedienza; loro dicevano
ordine e noi rispondevamo libertà; noi dicevamo comunità e loro
rispondevano legge; noi diciamo godere e i loro mandanti gridano
consumare; noi amiamo condividere e i loro mandanti bramano di privatizzare.

Io avevo il casco e allora me lo sono tenuto stretto perché sapevo che
di fronte a me avrei trovato centinaia di persone non riconoscibili con
il casco anch'esse, nero, grigio o blu puffo, armate di tutto punto che
avrebbero cercato di fermarmi e fermare le mie idee sfruttando
vigliaccamente il fatto che ho un corpo che prova dolore e che può
morire. Non potrebbero fermarci altrimenti, e anche così ci riescono
solo per poco e per pochi metri.
Sarò vigliacco anch'io ma non bramo di provare quel dolore e vorrei che
questo corpo restasse integro: mi serve, a tante cose, fra le quali
anche ribellarmi e riprendere, insieme ad altri corpi, gli spazi invasi
dalle basi di guerra.
Lo vorrei fare ridendo e ballando, facendo l'amore e cantando,
rotolandomi sui prati e godendone i profumi. Ma altri si oppongono a che
i nostri corpi si godano tutto questo.
Oso pensare che ciò non sia una colpa nostra e che non dobbiano espiarne
il fìo.

Ho un cervello dentro questa testa che si può rompere, e per quel che
vale mi serve a tante cose, prima fra tutte a pensare me stesso in
relazione di fratellanza con altre e altri, in una libera comunità che
si è scocciata di pagare con la propria vita presa in ostaggio le
ricchezze di pochi.
Ho un cervello per pensare ed un cuore per amare la vita, mia e degli
altri e ci tengo a tenermeli in buona salute.
Ma questo non mi impedisce di metterli a rischio per difendere ciò che
penso e ciò che amo: non farlo sarebbe la vera vigliaccheria; non posso
permettere che la violenza di quei vigliacchi fermi il mio corpo per
impedire alle mie idee di camminare.
Non potrei non difendere ciò che penso e ciò che amo: non potrei se
volessi e non vorrei se potessi, altrimenti non amerei più ciò che penso
e non penserei più veramente a ciò che amo. Lo difendo con il corpo
tutto e non solo con il cervello e il cuore: l'amore si fa e non si dice
e basta. Difendere la terra dalle basi di guerra è farlo, insieme alla
mia gente.
Un cervello ed un cuore, come potrei separarli dal resto del corpo? Se
il cervello pensa e il cuore ama, il corpo si muove. Non conosco altro
modo, né mi interessa esperire un corpo separato dal suo cervello e dal
suo cuore.

Li proteggo come posso: un casco, un velo di plastica, un fazzoletto
bagnato di acqua e bicarbonato. Chi dice che così sono “armato” è un
miserabile pezzente, perché privo di cervello e di cuore. Una simile
torsione del senso, del linguaggio e della verità non meriterebbe altra
risposta che un dignitoso silenzio. Eppure serve parlare perché è
necessario trasmettere questa esperienza, questa realtà, a chi non l'ha
vissuta, a chi ancora crede davvero che sia possibile fare diversamente.
Non è colpa nostra se il gioco democratico è definitivamente saltato, se
mai ha funzionato. Non è colpa nostra se ogni via di autonomia e
partecipazione viene chiusa per superiori ragioni di stato o di impero.
Le decisioni sono già prese, dicono per ogni cosa: Chiaiano, la tav, il
no dal molin, il nucleare, ogni cosa.
Da chi e per chi non è dato sapere. Non è dato sapere di chi sia la
sovranità e dove essa stia, se risieda ancora sulla terra o stia in
qualche non-luogo dell'impero.
È colpa nostra forse?

L'unico gioco democratico che resta agibile è l'assenso. O l'assenza. Si
può solo applaudire. O farsi da parte quando la polizia con i suoi
manganelli, i suoi blindati, le sue pistole e i suoi uomini non
riconoscibili comunica che la decisione è già presa e che ogni altra
strada, tranne la ritirata, è preclusa.
Ebbene, noi giachiamo all'assenza di assenso. Non ce la sentiamo proprio
né di assentire a tutto o né di essere assenti ogni volta.

Allora con il coraggio e l'entusiasmo proprii dei grandi cuori e dei
grandi slanci ideali, i corpi avanzano perché non rimane che liberare lo
spazio occupato, quello fisico, reale, dove i corpi vivono, soffrono e
subiscono l'oppressione e la repressione quotidiani. Così come altrove
altri corpi soffrono gli orrori che conseguono da una base di guerra.
Corpi vivi, come i nostri, non corpi de-menti che pontificano distaccati
dai luoghi del reale, lasciando accadere ogni e qualsiasi cosa per la
paura di macchiarsi di un'astratta violenza, come se il lasciar accadere
non fosse una collaborazione con l'orrore.

Benvenuti nel paese delle meraviglie, dove si osa la speranza.