Lo sfruttamento minerario cinese impazza e inquina il Tibet




A partire dagli anni 60 il governo cinese ha
iniziato a mungere il sottosuolo del Tibet per
sostenere il proprio sviluppo industriale. Vi
erano ingenti quantità di ben 126 minerali, tra
cui oro, litio, cromite, rame, borace e ferro, ma
i ritmi estrattivi hanno portato ad esaurimento
sette tra i quindici minerali considerati
indispensabili per l'economia cinese.

Il Tibet detiene il primato dei giacimenti
d'uranio, con la metà delle riserve mondiali
concentrata nelle montagne attorno a Lhasa e,
nella regione dell'Amdo, si ricava greggio per
più di un milione di tonnellate l'anno.

Ma l'occupazione ha comportato ben più dello
sfruttamento intensivo: se un tempo il Tibet
rappresentava una garanzia per la sua posizione
strategica tra l'India e la Cina, oggi il suo
tasso di militarizzazione è fonte di apprensione
a livello internazionale. Nella parte più elevata
dell'Amdo settentrionale è ormai acclarata
l'esistenza di tre diversi depositi missilistici
e, secondo alcune fonti, ve ne sarebbero altri a
150 miglia da Lhasa. Inoltre pare che
sull'altopiano siano disseminati vari
stabilimenti di produzione e le relative basi in
cui si eseguono frequenti esercitazioni.

In base ai dati in possesso dell'Amministrazione
Centrale Tibetana in esilio a Dharamsala, il
paese ospita 300.000 soldati e un quarto della
forza missilistica di tutta la Cina. In più il
governo ha scelto d'inviare in Tibet ingenti
quantità di scorie nucleari da smaltire. Non a
caso già vent'anni or sono la China Nuclear
Industry Corporation offriva tale servizio
all'occidente, al prezzo di 1.500 dollari al
chilogrammo.

Nei dintorni delle basi atomiche e dei siti in
cui vengono interrate le scorie radioattive sono
state segnalate perdite dei raccolti, morie di
bestiame e, tra gli abitanti, una più elevata
incidenza di tumori e difetti congeniti. Lo
stesso si è verificato nei pressi delle miniere
di uranio dove, peraltro, la manodopera è quasi
esclusivamente locale. Ormai la contaminazione
radioattiva si è estesa ai corsi d'acqua e,
tramite i grandi fiumi, rischia di propagarsi ad
altri paesi.

Pare esistano rapporti, mai divulgati in via
ufficiale, che riportano di un'aumentata
mortalità a causa dell'approvvigionamento idrico
nei pressi di una miniera di uranio a Ngapa,
nella regione dell'Amdo. Gli abitanti hanno
chiesto più volte se e da cosa sono inquinate le
falde acquifere, ma la risposta è giunta solo per
via indiretta, quando le autorità hanno messo in
guardia gli immigrati cinesi. Nulla, invece, è
mai trapelato circa eventuali test nucleari: le
fonti ufficiali ne ammettono la realizzazione
esclusivamente nello Xinjiang, la più grande
provincia della Cina.

L'esistenza di scorie radioattive in Tibet era
stata già denunciata dal Dalai Lama nel 1992,
durante una conferenza stampa a Bangalore, in
India. In quell'occasione Pechino negò
recisamente e, tre anni dopo, si limitò ad
ammettere l'esistenza di una discarica di venti
metri quadri nei pressi del lago Kokonor, il più
grande di tutto l'altopiano. Invece la dottoressa
Tashi Dolma del vicino ospedale di Chabcha ha
riscontrato casi di cancro in giovani nomadi,
addetti al pascolo del bestiame nella zona a
rischio, ed un suo collega americano ha
dichiarato che i sintomi sono simili a quelli
causati dai bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki.

Fonte: http://www.cfa-monferrato.it/news_dettaglio.php?id=9479