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Ricordo di Nicola Lovecchio, sentinella della salute
- Subject: Ricordo di Nicola Lovecchio, sentinella della salute
- From: "maurizio portaluri" <portaluri at hotmail.com> (by way of Alessandro Marescotti <a.marescotti at peacelink.it>)
- Date: Thu, 07 Apr 2005 16:38:55 +0200
Carissimi,vi invio un intervento per l'anniversario della morte di Nicola Lovecchio che vorremmo pubblicare a più firme. Vi prego di mandarmi tempestivamente l'adesione se ritenete di firmarlo
Maurizio G. Portaluri U.O. Radioterapia Ospedale Perrino S.S. 7 72100 Brindisi tel uff 0831 537641-2 fax 0831537640 tel cell 3485123872SENTINELLA DELLA SALUTE PUBBLICA A MANFREDONIA: RICORDO DI NICOLA LOVECCHIO A OTTO ANNI DALA MORTE.
Otto anni fa, il 9 aprile del 1997, moriva a Manfredonia Nicola Lovecchio, capoturno del Magazzino Insacco dello stabilimento Enichem della cittadina sipontina. Aveva 49 anni e aveva fatto della sua malattia una questione politica. Il tumore al polmone lo aveva scoperto tre anni prima, nel ’94. Nel ’91 si vedeva già sulla radiografia ma il radiologo non se ne era accorto. Ma soprattutto 18 anni prima aveva passeggiato per mesi sulla polvere di arsenico che il 26 settembre del 1976 si era dispersa sullo stabilimento e sulla città a seguito dell’esplosione della colonna di decarbonatazione dell’anidride carbonica, un impianto essenziale per la produzione dell’urea, fertilizzante lì prodotto ed esportato allora in tutto il mondo. Quella che fu chiamata, con una sottile vena canzonatoria, la “Seveso del Sud” sarebbe rimasta nascosta per sempre un uomo coraggioso non avesse deciso di vedere chiaro fino in fondo nella situazione sanitaria del suo “gruppo omogeneo” di lavoratori.
Nicola Lovecchio non va ricordato solo per l’ingiusto destino a cui la nocività della produzione lo ha condannato ma per il merito che ha avuto nel cogliere il nesso tra la sua malattia - e quelle simili di cui si erano ammalati, ed erano anche morti, tanti altri compagni di lavoro - con l’esplosione della colonna del 1976. Un merito che si mostra a noi in tutto il suo incommensurabile valore ancora oggi -come apparì subito allora ai pochi medici che colsero l’importanza del fenomeno sanitario scoperto - di fronte al silenzio ed alle minimizzazioni di chi avrebbe dovuto prevedere e vigilare. Se non fosse stato per lui l’incidente del ’76 e la sua scia di malattia e di morte, che non sappiamo ancora se si sia esaurita, sarebbero rimaste sepolte nelle “isole” dello stabilimento. Le stesse che negli anni in cui Nicola moriva accoglievano l’industrializzazione effimera del contratto d’area e che attendono ancora una radicale bonifica. Così come attendono ancora approfonditi studi epidemiologici la popolazione dell’area a rischio ed in particolare quella del quartiere Monticchio a ridosso dello stabilimento.
Una bella testimonianza quella di Nicola che i nostri tempi sopraffatti dall’egoismo e dal tornaconto personale chiedono di tenere viva. Ha cercato di farlo il giornalista Giulio Di Luzio due anni fa con un libro inchiesta (“I Fantasmi dell’Enichem”, Baldini&Castoldi Ed.) che consegna alla storia questa figura di “medico scalzo” e di volontario tutore della salute pubblica insieme alla ricostruzione della vicenda industriale di Manfredonia - ed in fondo del Sud - negli anni ’60. Un monito a chi la salute pubblica deve tutelarla per mandato istituzionale ed alle nostre collettività perché non deleghino completamente i compiti di controllo ma chiedano continuamente conto ai loro responsabili ed agli esecutori.
A Manfredonia è in corso un processo penale per le morti e le malattie di tanti compagni di Nicola mentre una miriade di processi civili si sono conclusi per lo più vittoriosamente con il riconoscimento dei benefici previdenziali in favore di tanti lavoratori ammalati o delle famiglie di quelli deceduti. Magre ma pur importanti consolazioni per dimostrare che al Sud non ci resta soltanto il carico di malattia e di morte conseguente alle nocività importate.
Ma le storie Manfredonia, Brindisi, Taranto, la Fibronit ci hanno insegnato ad uscire dal ricatto del lavoro offerto ed accettato in cambio della vita? Non ancora e non del tutto sembrerebbe guardando ai programmi industriali in giro per la regione e per il Sud. Rappresentano invece un segno di speranza le lotte popolari degli ultimi anni a Scanzano contro la discarica nucleare, a San Severo contro la centrale termoelettrica, a Brindisi contro il rigasificatore, a Bari per la messa in sicurezza dell’area Fibronit, sulla Murgia per il Parco, in tante città contro l’incenerimento dei rifiuti.
Vuole dire allora che queste storie non sono ancora ben conosciute e bisogna farle diventare patrimonio colletivo in particolare tra i giovani.
Maurizio Portaluri
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