Parole di pace dal 12.10 AL 17.10.04



CHI SA ASCOLTARE LA VERITA' NON E' DA MENO DI COLUI CHE LA SA ESPRIMERE (Kahlil Gibran)LA PACE INTERIORE  di Gianfranco Ravasi
12 Ottobre 2004                la tolleranza 

 

Non mi piace la parola "tolleranza", ma non ne trovo una migliore. L'amore ci insegna ad avere per la fede religiosa degli altri lo stesso rispetto che abbiamo per la nostra. La tolleranza non è indifferenza per la propria fede, ma amore più puro e intelligente per questa fede. È chiaro che la tolleranza non è confusione tra bene e male, tra giusto e ingiusto. 
Parole sacrosante, queste di Gandhi (1869-1948), il grande maestro della non-violenza. Parole necessarie ai nostri giorni, piuttosto segnati da fanatismo e intolleranza. Egli aggiungeva che «la tolleranza ci dà un potere di penetrazione spirituale che è lontanissimo dal fanatismo come il polo nord dal polo sud». Certo, egli ha ragione nel dichiararsi insoddisfatto dell'uso di questa parola perché implica una punta di altezzosità e di superiorità nei confronti del "tollerato". Non per nulla il cristianesimo preferisce la parola "amore".
Tuttavia la tolleranza è già un grande passo, soprattutto se educa alla conoscenza e al rispetto dell'altro, del diverso, dell'estraneo. Questo atteggiamento non dev'essere indifferenza, confusione o sincretismo vano e vago. È consapevolezza della differenza ma anche della possibilità - attraverso un dialogo reciproco - di raggiungere una convivenza, un'armonia, una solidarietà. Essa non è solo un non fare male all'altro ma anche un aiutarlo a superare le difficoltà dell'estraneità per sentirsi accolto e rispettato, spegnendo paure e reazioni battagliere. Diceva Gandhi: «La non-violenza è la legge degli uomini, la violenza è la legge dei bruti».

 

13 Ottobre 2004                dominio di sé 

 

Le virtù maestose e degne di rispetto consistono in quel grado di dominio di sé che ci lascia attoniti per la sua sorprendente superiorità.
Adam Smith (1723-1790) è noto soprattutto per le sue teorie economiche di stampo liberistico, ma ha scritto anche di etica, come nel caso di un'opera che in questi giorni sto qua e là leggicchiando, Teoria dei sentimenti morali. In essa trovo la battuta che ho voluto oggi proporre anche ai miei lettori, una frase un po' enfatica ma significativa. A tutti, infatti, è capitato di imbatterci in personalità che ci conquistano per la loro "sorprendente superiorità" e Smith ne ritrova la radice nel "dominio di sé". La sua osservazione ha un'indubbia verità. L'arte dell'autocontrollo, del saper frenare parole e atti impulsivi, è frutto di una fermezza grandiosa, di un'ascesi interiore, di un esercizio costante.
La sboccata superficialità dei dibattiti televisivi, l'incontrollata frenesia verbale di certi politici, pronti a smentire quello che hanno detto un'ora prima, l'agire inconsulto che genera danni spesso irreparabili non possono che far rimpiangere quel dominio di sé ormai andato smarrito. Bisogna, dunque, mettersi seriamente al lavoro su se stessi; si deve ritrovare la pratica dell'esame di coscienza e l'esercizio della virtù della prudenza. Un proverbio medievale diceva: Quidquid agis, prudenter agas et respice finem, qualsiasi cosa faccia, còmpila con prudenza, badando al fine, cioè al suo esito ultimo. Tuttavia, in conclusione, vorremmo anche aggiungere una piccola riserva: guai a quel dominio di sé che diventa orgogliosa e gelida autosufficienza!

 

14 Ottobre 2004                CHI SONO IO? 

 

Affamato di colori, di voci di uccelli, assetato di parole buone, di compagnia., stanco e vuoto nel pregare, nel pensare, nel creare. Chi sono io? Oggi sono uno, domani un altro. Sono tutt'e due insieme?
Il primo servizio che si deve offrire al prossimo è quello di ascoltarlo.
Ecco due considerazioni complementari di Dietrich Bonhoeffer (1906-1945), teologo ucciso dai nazisti ed espressione di un'intensa spiritualità e testimonianza cristiana. La prima nasce da un'esperienza che, prima o poi, tutti attraversiamo. Siamo ansiosi di vita, di luce, di amore; eppure ci sentiamo vuoti e stanchi. Si spegne ogni fremito, si perde il sapore dei gesti che compiamo, si affloscia il desiderio di pregare, pensare e creare. Ci si sente come divisi tra uno stato di attesa e una sconsolata rassegnazione. Il giorno prima ci si illudeva e ci si sentiva mossi dallo Spirito, il giorno successivo si è delusi e senza carica interiore.
Ebbene, quando si è in simili situazioni e, più in generale, quando si è nel tempo della prova, il dono più prezioso che si riceve è quello di avere qualcuno che ci ascolti, come indica Bonhoeffer nella seconda frase. Essere capaci di stare in ascolto dell'altro, sentendo la sua confessione o la sua confidenza, è una realtà che spesso non si sa offrire agli altri, presi come siamo dalla fretta o dai nostri problemi. Ci sono genitori che non sanno più fermarsi coi loro figli, preti che hanno troppi impegni per ascoltare le persone sole e in travaglio intimo, coppie che non dialogano più tra loro. Eppure sapersi veramente ascoltati (e non solo "sentiti") è una fonte importante di sostegno e coraggio.

 

15 Ottobre 2004                INTERROGARSI

La vita prosegue coronando i viventi di felicità e di dolore. La vita corona tutti, ma non pone domande, non dà risposte, è sempre in marcia verso nuove nascite, nuove vite. Sono gli esseri umani che s'interrogano.
Oscar Wilde paradossalmente - ma non troppo - diceva che «le risposte sono capaci di darle tutti, ma per fare le vere domande ci vuole un genio». In un'altra forma la scrittrice svedese Ulla Isaksson (1916-2000) in apertura al suo dramma Alle soglie della vita (ed. Iperborea) fa la stessa considerazione. La vita è sempre in azione e in fermento: genera ininterrottamente nuovi viventi, ne scandisce le loro esistenze con gioie e sofferenze, alla fine si ritira per lasciare spazio alla morte. Il suo stesso distribuirsi è misterioso perché, come nota la scrittrice: «Una donna è piena di vita e non può tenere il bambino agognato. Un'altra, ingenua e troppo giovane, viene improvvisamente colta di sorpresa dalla vita» e ha un figlio inatteso. 
  Ebbene, in tutto questo è la persona che deve interrogarsi, che deve scavare in se stessa alla ricerca di un senso, che deve rivolgersi al mondo e al mistero intuendone i segreti disegni. Per questo l'interrogazione, ossia la ricerca, è l'anima stessa dell'essere uomo o donna ed è il cuore della fede. La verità è simile a un mare che non si può possedere se non gettandovisi e navigandolo, passando di orizzonte in orizzonte, in un continuo procedere fino alla meta estrema della nostra vita. 

16 Ottobre 2004                AMARE VUOL DIRE 

Amare vuol dire essere vicino alla persona che si ama/ vicino all'amore col quale sono amato./ Amare è camminare/ con l'immagine della persona amata negli occhi e nel cuore./ Vuol dire vegliare questo amore col quale sono amato/ e scoprire la sua divina e umana bellezza.
Il 16 ottobre 1978 rimane nella storia della Chiesa come una data significativa e cara: veniva in quel tardo pomeriggio annunziata al mondo l'elezione di Giovanni Paolo II. Commemoriamo anche noi questo anniversario con alcune parole del Papa. Esse, in realtà, appartengono a lui quand'era semplicemente Karol Wojtyla: sono, infatti, alcuni versi della poesia Pietra di luce. È suggestiva questa passione costante per la poesia (come lo è stata per il teatro) che è perdurata anche durante il ministero papale. Il respiro poetico s'intreccia intimamente con quello spirituale.
E, nel caso di questi versi, l'incrocio avviene attorno a un tema che è fecondo sia per l'arte sia per la fede. Quanto è stato detto e scritto sull'amore, cadendo talora nell'enfasi o nella vacuità! Il vero amore è, invece, tratteggiato da Wojtyla nel suo cuore più intimo ed esaltante: è vicinanza, anzi, identità, reciprocità, è un dono su cui vegliare perché non sia ferito. Ma soprattutto è necessario intuire «la sua divina e umana bellezza». C'è nell'amore un bagliore, un seme di eternità e di infinito. La battuta attribuita a Pascal è folgorante al riguardo: «Se esiste l'amore, esiste Dio». Una realtà così alta, totale, pura e assoluta non può che avere una sorgente trascendente e divina. E Giovanni Paolo II l'ha insegnato come Papa e come poeta, cantore della «divina e umana bellezza». 

17 Ottobre 2004                NEGRITUDINE 

 

Ti ringrazio, mio Dio,/ d'avermi creato negro/ d'aver fatto di me un groviglio di tutti i dolori./ Il bianco è un colore di circostanza/ il nero, il colore di tutti i giorni./ Noi siamo la Notte, siamo il Mistero./ E per noi sono le Stelle.
Conosco le opere dei cantori della "negritudine" più famosi come L.S. Senghor, A. Cesaire, D. Diop, W. Soyinka e così via, legati alla loro Africa, al suo passato di oppressione e di sofferenza. Nel volume Sulla spiaggia dei mondi (Cem 1980) m'incontro con la voce di un poeta che non conosco, B. Dadié. I suoi versi sono belli e intensi e ci invitano ad allargare i nostri orizzonti culturali e spirituali, superando le grettezze e le paure di questi tempi, in cui il dialogo e il confronto sono difficili e la tentazione di rinchiudersi in un bunker armato e solitario è forte.
Certo, il nero è a prima vista la negazione dei colori: non per nulla da noi è divenuto il segno del lutto e ci parla di morte. La tenebra ci fa paura; la luce e il bianco sono l'emblema della festa, della felicità, delle nascite e delle nozze. Eppure - ci ricorda il poeta africano - è il nero il vero colore dei giorni perché sono più le miserie delle gioie, e più spesso il cielo dell'anima è oscuro per preoccupazioni e amarezze. Tuttavia è proprio nel buio che s'accendono le stelle e risplende la luna ed è dal grembo della notte che fiorisce l'alba. Anche noi, perciò, siamo "neri", pur col candore della nostra pelle; su di noi si stende il sudario oscuro della quotidianità faticosa e pesante. Ma pure per noi sono aperte nel cielo le stelle della speranza e si schiude l'aurora della vita.

 

 In verità, in verità vi dico: "Chi ascolta la mia parola e crede a Colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. (Gv 5,24)


Truly, I say to you, anyone who hears my word and believes him who sent me, has eternal life; and there is no judgment for him because he has passed from death to life.(Jn 5,24)   
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