Osservatorio Italiano di Salute Globale - G8 di Evian: la solita retorica e nessun impegno tangibile



G8 di Evian: la solita retorica e nessun impegno tangibile

Un'analisi dell'Osservatorio Italiano di Salute Globale



Eduardo Missoni

Presidente

Osservatorio Italiano sulla Salute Globale



Ad Evian i G8 si sono presentati con nuove promesse "riconosciamo che sono
necessari fondi addizionali", "confermiamo il nostro impegno attraverso
ulteriori azioni in ambiti quali lo sviluppo istituzionale, le partnership
pubblico-privato, lo sviluppo delle risorse umane, le attività di ricerca e
la promozione della sanità pubblica a livello di comunità"; "riaffermiamo
il nostro appoggio al Fondo Globale per la lotta all'HIV/AIDS, la
tubercolosi e la malaria". Non un solo impegno concreto sottoscritto da
tutti. L'affermazione più verificabile è "diamo il benvenuto e sosteniamo
la proposta di ospitare, in collaborazione con il Fondo Globale, una
conferenza internazionale di donatori e sostenitori Ša luglio a Parigi. Il
proposito sarà quello di sviluppare strategie per mobilitare risorse per
assicurare finanziamenti sostenibili e di lungo periodo al Fondo". Si
rimanda all'ennesima, inutile, dispendiosa conferenza internazionale.



Nel 2000, l'Organizzazione Mondiale della Sanità aveva stimato che per far
fronte all'epidemia di HIV/AIDS fossero necessari circa 10 miliardi di
dollari all'anno e che per rispondere congiuntamente anche a tubercolosi e
malaria quella cifra avrebbe dovuto raggiungere i 20 miliardi di dollari.
Su quelle premesse i G8, con il segretario generale delle nazioni Unite -
Kofi Annan - come sponsor, nel 2001 a Genova lanciarono il Fondo Globale
per la lotta a HIV/AIDS, tubercolosi e malaria. Il Fondo però non sarebbe
stato gestito dalle Nazioni Unite (secondo il suggerimento paradossalmente
avanzato proprio da Kofi Annan), ma da una organizzazione indipendente -
una Global Public Private Partnership - alla cui direzione e
amministrazione avrebbero partecipato di diritto anche  i rappresentanti
dei maggiori contribuenti, ivi incluse le multinazionali. Ciò nell'ipotesi
che una simile struttura sarebbe stata più agile, riducendo "i costi di
transazione" che si considerano legati alla tradizionale burocrazia, e che
avrebbe attratto risorse dal settore privato nella nuova partnership
globale pubblico-privato.

A quasi due anni di distanza il Fondo Globale rischia la bancarotta. Può
contare su 3,4 miliardi di dollari di impegni da distribuire su otto anni,
ma nemmeno i soldi promessi per il 2002 sono stati ancora interamente
trasferiti al Fondo. Solo per far fronte alle richieste già approvate (153)
e quelle che si pensa possano esserlo nel prossimo round di settembre, ci
vorrebbe l'immediata disponibilità di un altro miliardo e mezzo di dollari.
Senza contare che solo 9 delle richieste approvate nel 2002 hanno iniziato
a ricevere effettivamente i fondi. Per quanto riguarda la partecipazione
del settore corporate questa è molto al di sotto delle aspettative; in
particolare solo tre compagnie hanno contribuito (Wintherthur, Eni,
Statoil) per complessivi 1,5 milioni di dollari. Ha fatto decisamente di
più Bill Gates che attraverso la sua Fondazione ha trasferito al Fondo
cento milioni di dollari, garantendosi tra l'altro un posto nel Consiglio
di amministrazione.



Ad Evian il presidente Bush si è presentato con la promessa di un
contributo  di 15 miliardi di dollari (su cinque anni) per la lotta
all'AIDS. Nessuna certezza però: ogni quota annuale (3 miliardi) per poter
essere spesa dovrà prima essere tradotta in stanziamenti in sede di  legge
finanziaria dal Congresso americano. Di quei soldi, poi, solo un miliardo
all'anno sarebbe versato al Fondo Globale e quello solo se gli altri
partner ne mettono il doppio. Ma i quattro rappresentanti europei al G8
hanno parlato di un possibile contributo dell'UE di solo un miliardo
all'anno (rimandando comunque un impegno più concreto al prossimo Summit
europeo di Salonicco (26 giugno). In realtà i soldi americani saranno
gestiti secondo interessi bilaterali degli Stati Uniti, probabilmente per
acquistare farmaci dalle multinazionali americane ai prezzi speculativi che
quelle vorranno stabilire, tanto più che anche sul tema dell'accesso ai
farmaci per i paesi più bisognosi i G8 non si sono scoperti, rimandando
ogni valutazione alla Conferenza Ministeriale del Organizzazione Mondiale
del Commercio, che si terrà dopo l'estate a Cancun. Piuttosto, anche per
l'accesso ai farmaci e ai servizi sanitari si propongono nuove Global
Public Private Partnerships (GPPP). E' il modello che va di moda:
incentivare il contributo del settore privato per coprire il proprio
disimpegno.



Riproporre per ogni problema e per ogni malattia una nuova organizzazione,
un nuovo gestore privato (seppure a partecipazione pubblica) delle risorse
pubbliche, indebolisce e, di fatto, delegittima le organizzazioni e le
agenzie specializzate delle Nazioni Unite, accrescendo la confusione nel
campo della governance della cooperazione con i paesi del Sud del Mondo.
Nuove organizzazioni comportano nuovi costi di struttura e di personale (a
costi internazionali) e, come ha dimostrato fin qui il Fondo Globale - che
del modello GPPP è ormai considerato un prototipo - nuove procedure
burocratiche con costi addizionali sulle già precarie risorse delle
istituzioni nei paesi in via di sviluppo. Senza considerare l'indebolimento
dei sistemi sanitari derivanti da un approccio selettivo per malattie e per
progetti avulsi da un piano sanitario nazionale, nonché  la limitazione di
sovranità cui devono sottostare i paesi beneficiari per accedere ai fondi.
Quanti chiedono comunque "più fondi per il Fondo", facendosi giustamente
interpreti della tragedia che stanno vivendo i paesi più poveri,  non
sembrano avere adeguatamente soppesato questi aspetti.









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