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La sfida di Shiva alle multinazionali
- Subject: La sfida di Shiva alle multinazionali
- From: Franco Marenco <franco.marenco at casaccia.enea.it>
- Date: Tue, 18 Jun 2002 12:56:16 +0200
INTERVISTA CON L'ECOLOGISTA INDIANA, PALADINA DEI DIRITTI DEI CONTADINI, IN QUESTI GIORNI IN ITALIA PER IL VERTICE DELLA FAO La sfida di Shiva alle multinazionali <<Nei prossimi anni il Sud del mondo avra' un ruolo fondamentale>> Al modello della globalizzazione a ogni costo, propone di sostituire la tutela delle diversita' e un mercato dalla parte dei consumatori di Denise Murgia Vandana Shiva, ecofemminista indiana, laureata in fisica, direttrice dell'Istituto indipendente "Fondazione di Ricerca per la Scienza, la Tecnologia e l'Ecologia" di Nuova Delhi, da 20 anni dedica la sua vita allo studio e alla ricerca sulle principali questioni ecologiche, portando avanti importanti battaglie per la tutela della diversita' biologica e dei saperi tradizionali delle popolazioni indigene contro i tentativi monopolistici delle grandi multinazionali dell'agrobusiness. Tra gli innumerevoli riconoscimenti (nel 1993 ha ricevuto il Right Livelihood Award, Premio Nobel alternativo), il Premio AcquiAmbiente, premio speciale "Ken Saro Wiwa". E' stato in occasione della premiazione di quest'ultimo, svoltasi ad Acqui Terme il 21 aprile 2002, che abbiamo potuto incontrarla. Lei ha dato vita e opera all'interno del movimento Navdanya. Quali sono i punti fondamentali della vostra azione? <<Cio' che noi sosteniamo e' che dobbiamo avere quattro sovranita' fondamentali: 1) dobbiamo avere la sovranita' sulla nostra terra, e la nostra terra non puo' essere sottoposta al controllo delle multinazionali, e questo e' l'aspetto politico; 2) dobbiamo avere la sovranita' sulla nostra biodiversita', la nostra biodiversita' non puo' diventare monopolio, il monopolio brevettato, di 5 multinazionali in tutto il mondo; 3) dobbiamo avere la sovranita' sul nostro cibo, e il nostro cibo non puo' essere distrutto da quattro o cinque aziende dell'agro-business; 4) dobbiamo avere la sovranita' sulla nostra acqua, che e' stata anch'essa privatizzata. I sistemi di irrigazione che sono stati privatizzati, in India, costano dieci volte tanto. Ecco perche' i contadini stanno morendo: il costo dell'acqua e' aumentato del 20% ovunque sia stata introdotta la privatizzazione>>. Quali vie d'uscita vede? Che le multinazionali falliscano prima che facciano ulteriori danni? <<Esattamente. Credo che un'altra chance sia sapere che loro falliranno, e non aver paura del breve periodo. Dovrebbero riconoscere l'insostenibilita' della struttura, anche per loro stesse. Per quanto riguarda noi ritengo che il modo per sconfiggerle prima che distruggano troppo sia mettere la nostra liberta' contro la loro e difenderla tenacemente, celebrare la nostra diversita', rifiutare la monocoltura, e non permettere che ci governino con la paura, il controllo e la manipolazione, ed essere gioiosi e pieni di speranza>>. Crede che questo sia possibile anche in Europa dove le normative comunitarie in materia di agricoltura vincolano anche i piccoli produttori? <<Credo che la liberta' fondamentale sia fare da se, l'obbligo fondamentale sia fare da se. Fare per se stessi, se si vuole; se non si vuole si puo' andare dal proprio vicino; ma se lo si vuole, le proprie leggi e la propria economia non dovrebbero impedirlo. Questo e' il problema: non e' detto che si produca formaggio ogni giorno, ma se si vuole farlo non devono essere le multinazionali ad impedirlo. La globalizzazione ha portato ad una regolamentazione ossessiva nei confronti dei cittadini, che vengono trattati come se fossero totalmente malati, e allo stesso tempo ad una deregolamentazione per le aziende>>. Con tutto cio' ci vuole dire che occorre uscire dal sistema di mercato? <<No! Non significa stare fuori dal mercato: significa creare un mercato migliore. Noi lo facciamo in India con la vendita diretta. Abbiamo iniziato, rispondendo alle richieste dei contadini, con il creare un mercato diretto, questo significa che portiamo i loro prodotti direttamente sul mercato, in parte perche' noi non sosteniamo i prodotti chimici ma solo quelli organici, ma anche perche' e' ricco di diversita'. Adesso abbiamo un incredibile festival d'arte, i contadini portano i loro raccolti alle nostre fiere alimentari e vengono con le loro ricette tradizionali che le casalinghe di citta' vogliono imparare. Due anni fa ogni bambino a Delhi beveva solo Coca Cola o Pepsi, adesso puo' andare da qualsiasi parte e avere una bevanda tradizionale>>. A quanto pare i contadini rispondono alla vostra politica, vedono i benefici di tutto questo. E i consumatori? In fondo sono loro che acquistano i prodotti e fanno la differenza tra il mercato per la produzione globale e quello per la produzione locale. <<Si'. Noi rispondiamo alle richieste dei contadini, a nostra volta. Per quanto riguarda i consumatori, Navdanya ha creato un'unione di consumatori e produttori e noi li portiamo insieme ai festivals e alle fiere; i nostri soci consumatori ordinano cio' di cui hanno bisogno, i nostri contadini ci dicono cio' di cui hanno bisogno, e noi cerchiamo di unire le due cose>>. Su cosa sta lavorando attualmente? Navdanya? E cos'altro? <<Navdanya ha creato un movimento vasto; continuiamo con l'attivita' di conservazione dei diversi semi (la salvaguardia dei semi e' una cosa che ho imparato dai contadini), con l'agricoltura biologica, con la vendita diretta. Ma, oltre a cio', abbiamo ampliato il lavoro di Navdanya per creare movimenti di base democratici e fare passi avanti contro la globalizzazione. Noi li chiamiamo democrazia della terra perche' si tratta della democrazia di tutto il mondo, democrazia per tutte le specie. Questo significa liberta' per tutti, non solo per qualcuno o per qualche multinazionale. E' una democrazia basata sul principio dell'autogoverno locale, dell'economia locale, votata ad affrontare i problemi della violenza, che sta aumentando, i problemi della proprieta' e i problemi della sostenibilita'. Vediamo la democrazia della terra come il prossimo passo del nostro movimento per il mantenimento della diversita'. Non e' solo il problema della biodiversita', ma comprende anche quello della diversita' culturale nella democrazia. Perche' dopo l'11 settembre, dopo le leggi antiterrorismo, con i governi che ovunque creano sistemi che danno vita a una societa' che diventa sempre piu' violenta e intollerante, abbiamo bisogno di un altro modo di pensare la nostra vita e il nostro mondo e per noi questo modo e' la democrazia della terra. In indhi la chiamiamo Jaiv Panchayats, jaiv - che significa vivere - e panchayats che in India e' la democrazia locale; percio' democrazia della terra e' democrazia viva in contrapposizione alla democrazia morta>>. Il prossimo mese di settembre si terra' a Johannesburg il Vertice delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile. A dieci anni dal Vertice della Terra di Rio de Janeiro, quali sono stati, secondo lei, i fallimenti di Rio, e che aspettative ha per Johannesburg? <<Il principale fallimento del Vertice di Rio e' che i governi hanno portato avanti l'agenda della globalizzazione e non hanno rafforzato gli obblighi sottesi all'agenda stessa. Si tratta di un fallimento intenzionale. Riguardo Johannesburg c'e' un tentativo di presentarlo come se non avesse niente a che vedere con l'ambiente. Vanno in giro dicendo "non usate la parola Terra in relazione all'incontro, non chiamatelo il Vertice della Terra". Per me e' il vertice della Terra, il vertice della terra della gente, perche' mobiliteremo la gente, i bambini intorno ad esso. Prima della Rivoluzione industriale, anche in Europa la gente vedeva la terra come un qualcosa di vivente, non come una cosa morta. In seguito la terra vivente non fu piu' generatrice di vita e le donne che continuavano a relazionarsi con questa terra viva, usando piante medicinali e operando guarigioni, furono bruciate come streghe. Un'inquisizione simile e' in atto in questo momento, prima furono bandite le parti viventi della terra, adesso vogliono bandire la terra, e far credere che il cibo locale, che viene dal suolo e dalla biodiversita' o dai semi, venga dalla Monsanto. Vorrebbero farci credere che sono i soldi e la tecnologia a far andare avanti il mondo e non la gente e la natura. La sfida della vita e' riconoscere che noi dipendiamo dalla natura, ma anche che la gente e' il filo dell'economia, della societa', della cultura; e l'economia non sono i 3 miliardi di dollari che si muovono al giorno, questa non e' un'economia, e' una falsa economia. Questo significa che sono le multinazionali a dire quello che vogliono fare, se vogliono volontariamente etichettare gli organismi geneticamente modificati ce lo diranno loro, noi dovremmo lasciarle libere di fare. Io ho un messaggio molto semplice per Johannesburg e tutti gli stati del pianeta: fate che la gente stia al centro, fate che la natura stia al centro, mettete le multinazionali sotto controllo e rendete i governi responsabili>>. Andra' a Johannesburg? <<Si', ci andro'. Non voglio che passi un messaggio negativo. Voglio che passi un messaggio di speranza, di democrazia, di fiducia, responsabilita>>. Quale puo' essere l'equilibrio tra il modello che lei prospetta e il modello industriale occidentale? Crede che i paesi occidentali siano pronti ad affrontare un simile cambiamento? <<Il primo elemento della globalizzazione e' che ci viene imposto un cattivo modello. Per me il primo passo deve essere quello di bloccare la distruzione di culture ed economie sostenibili, il che avviene attraverso l'esportazione di modelli alternativi in tutto il mondo, attraverso aiuto, sussidi e coraggio. Quindi, se riusciamo a proteggere il Terzo mondo dalla distruzione l'occidente stesso sara' in grado di cambiare dall'interno. Il dibattito in questo momento non e' se l'Occidente vuole cambiare, bensi' se ha il diritto di distruggere il Terzo Mondo>>. Quali sono i contenuti che il Sud del mondo puo' dare al paradigma politico della sostenibilita'? <<Credo che il primo elemento sia la biodiversita', solo il Sud sa come conservarla e usarla in modo sostenibile. In secondo luogo, la maggior parte del Sud non e' ancora bloccato in un sistema di mercato obbligatorio, percio' puo' ancora fare un'altra scelta. Credo che l'insegnamento piu' importante per la sostenibilita' che il Sud puo' dare, sia il fondamentale riconoscimento che le risorse della terra sono pensate per sostenere l'intera vita, non possono essere trasformate in merci, trasformate in proprieta' di cinque multinazionali dell'acqua che cercano un mercato da tre miliardi di dollari, o di cinque aziende delle sementi e della biotecnologia che ugualmente cercano un mercato di tre miliardi di dollari. Oggi cinque multinazionali vogliono prendere tutta l'acqua, tutti i semi e dirci che dobbiamo pagare loro i diritti di proprieta': ci devi pagare per bere ogni sorso d'acqua, ci devi pagare per piantare ogni seme. Il Sud invece vive ancora in una cultura che riconosce che i semi appartengono alla natura e devono ritornare alla natura ed che e' nostro dovere piantarli nuovamente; e per questo non possiamo essere trattati come ladri>>. E' contraria ai brevetti? <<Sono totalmente contraria ai brevetti sulla vita>>. Quando parlate del riconoscimento dei saperi tradizionali delle popolazioni indigene, che cosa intendete? <<Riconoscere significa riconoscere l'esistenza di qualcosa e che nessuno ha il diritto di possedere questo qualcosa. Parliamo di proprieta' comune, di proprieta' collettiva. E in realta' non e' neanche una proprieta'. Vogliamo il riconoscimento dell'acqua e della biodiversita' come beni comuni, di cui dobbiamo prenderci cura insieme. La comunita' ha il diritto di usare le risorse, ma ha il diritto di usarle, non di possederle, il diritto di usarle e il diritto di evitare certi tipi di abusi, ma non si tratta di diritti di possesso esclusivo. Infatti, e' stato il colonialismo a mettere la nostra terra sotto proprieta', noi potevamo usare la terra, potevamo coltivarci il cibo, ma non era nostra da poterla comprare e vendere, furono gli inglesi ad introdurre il concetto di privatizzazione delle risorse, le merci, che passando di mano in mano diventano una proprieta' privata. Il termine privato deriva dal latino privare, che significa significa togliere agli altri, non condividere. E cio' di cui abbiamo bisogno e che il Sud puo' dare, e che le donne possono dare e' il riconoscimento che se tu vuoi avere parte della mia tazza di caffe', e' mio dovere dartela, non ho diritto di dire "pagami">>. [ La Nuova Sardegna, venerdi' 14 giugno 2002 ]
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