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IL PONTE DI MESSINA NON S'HA DA FARE
- Subject: IL PONTE DI MESSINA NON S'HA DA FARE
- From: "F A B I O C C H I::" <fabiocchi at inwind.it>
- Date: Thu, 23 May 2002 20:16:28 +0200
Un'inutile e pericolosa opera faraonica e una sciagura ambientale IL PONTE DI MESSINA NON S'HA DA FARE I geologi avvertono: il suolo e le coste calabre e sicule si sollevano e si allontanano ogni anno L'ambizioso, faraonico, speculativo progetto di costruire il ponte sullo Stretto di Messina, che collegherebbe la Sicilia al continente, rilanciato dal ministro berlusconiano per le Infrastrutture Lunardi, oltre a essere terribilmente costoso e inutile a coprire le esigenze di trasporto e di sviluppo dei calabresi e dei siciliani è sciagurato e devastante dal punto di vista ambientale. A ulteriore conferma si veda lo studio condotto da un gruppo di geologi italiani e stranieri, pubblicato sulla rivista scientifica dell'Enea, dal quale emerge che i lembi della Sicilia e della Calabria, proprio nelle zone in cui il ponte dovrà affondare i piloni, sono affetti da lenti e continui movimenti tellurici. Insomma, è come costruire un grattacielo sulla sabbia. è grave, per non dire criminale, che i progettisti abbiano ignorato dati essenziali di questo tipo. Anche perché il fenomeno dei movimenti verticali sullo Stretto che avevano fatto sollevare di metri le antiche linee di spiaggia era già noto. Tanto più considerando le gigantesche dimensioni dell'opera: 3.300 metri di campata unica, per capirsi quasi il triplo del ponte di Brooklyn; 60 metri di larghezza per contenere un'autostrada a sei corsie più una per i camion, due corsie indipendenti per l'emergenza più due binari ferroviari; le torri per sorreggere la campata, alte 370 metri, con fondamenta di 55 metri sotto il mare che comportano 9 milioni di metri cubi di materiali di scavo. A ciò si aggiunga la gran massa di materiale che sarà movimentata: un milione e mezzo di metri cubi da prelevarsi in una non meglio specificata zona etnea. Nel dettaglio, lo studio dei geologi Stefano Sylos Labini e Luigi Ferranti, mette in evidenza che a Scilla, la costa calabra si solleva di circa 1,5 centimetri ogni dieci anni, mentre a Ganzirri, in Sicilia, il sollevamento è di 0,4 centimetri. Come se non bastasse i siti si allontanano reciprocamente al ritmo di 10 centimetri ogni 10 anni. Ciò significa che in appena 100 anni la divaricazione ammonterà a un metro. ``Dai primi risultati - afferma Ferrante - si evidenzia uno spostamento della Sicilia Orientale verso Nord-Ovest e della Calabria Meridionale verso Nord-Est. Il risultato netto è una divergenza dei lembi dello Stretto dell'ordine di un metro ogni secolo... vanno tenuti nella massima considerazione - aggiunge - sia i movimenti verticali tra le due sponde, che per altro sono differenziati, cioè più marcati sulle coste calabre e meno in quelle sicule, sia orizzontali di allontanamento delle due sponde, che sono ben più consistenti e che potrebbero causare problemi per la tenuta del ponte''. I progettisti del ponte parlano di una costruzione capace di resistere a scosse di terremoto superiori a quelle di Messina 1908, a maremoti e a raffiche di vento di oltre 200 chilometri all'ora. Ma sono solo ipotesi interessate, la garanzia assoluta non la può dare nessuno. A conti fatti e visto da ogni punto di vista, questo megaponte non s'ha da fare: a parte le scontate infiltrazioni e gli accaparramenti mafiosi, costa un'esagerazione (400 e passa miliardi di euro, circa 8 mila miliardi di vecchie lire), non è sicuro, provoca danni altissimi all'ecosistema marittimo e terrestre e la sua utilità effettiva è effimera. Infatti, farebbe solo risparmiare un'ora di tempo per le auto e due ai treni. Molto meglio sarebbe investire questa cifra per potenziare e modernizzare i trasporti pubblici ferroviari e marittimi, nonché per adeguare la rete autostradale della Sicilia e della Calabria, attualmente in condizioni da Terzo mondo. Molto meglio sarebbe impiegare i suddetti finanziamenti per realizzare le opere legate alla soluzione della crisi idrica siciliana. Quanto al ricatto occupazionale: 4.600 posti di lavoro, 9.250 con l'indotto per 10 anni circa. C'è da dire che la maggior parte della manodopera, essendo superspecializzata, verrebbe da fuori, dal Nord o addirittura dall'estero. La stessa occupazione può essere creata costruendo le grandi infrastrutture pubbliche necessarie alle due regioni interessate e non va dimenticato che una volta costruito il ponte, il personale addetto ai traghetti (329 navi che ogni giorno solcano le acque dello Stretto) verrebbe con tutta probabilità in massima parte licenziato. 22 maggio 2002
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